Everything Everywhere All at Once: il Multiverso A24 in cui tutto è possibile

Everything Everywhere all at once

Dovevamo aspettarcelo. Per mesi abbiamo potuto ascoltare quel coro levatosi dagli Stati Uniti fin dalla scorsa primavera che, con inequivocabile chiarezza, dipingeva la produzione multiversale targata A24 come uno dei film più interessanti dell’anno.
Dovevamo aspettarcelo, ma forse la verità è che avevamo bisogno di vederlo con i nostri occhi. Magari appiccicandoci anche in fronte l’adesivo di un terzo occhio, nella speranza che ci potesse aiutare a credere allo spettacolo che da lì a poco ci avrebbe travolto.

Perché Everything Everywhere All At Once, diretto dai Daniels (Dan Kwan and Daniel Scheinert) e disponibile nelle sale italiane dal 06 ottobre 2022, è un’opera unica nel suo genere destinata a diventare un vero e proprio cult movie. Un film di una follia visiva e stilistica tale che, come si suol dire, fa il giro e diventa pura e semplice genialità, senza però tralasciare una morale universale e più attuale che mai.

Tutto inizia in una lavanderia..

Evelyn Wang (Michelle Yeoh) gestisce con non pochi problemi una lavanderia a gettoni, districandosi tra una vita familiare basata sul non detto e i ripetuti controlli fiscali. Tuttavia, proprio quando la nostra protagonista crede di aver toccato il punto più basso della sua esistenza, tutto è destinato a cambiare.

Il corpo del gentile Waymond (Jonathan Ke Quan) viene temporaneamente “occupato” da una sua differente versione proveniente dall’Alphaverse, l’universo parallelo nel quale è stato ideato il salto-verso, nel tentativo arruolare Evelyn per affrontare un’entità malvagia che minaccia l’intero multiverso: Jobu Tupaki. Prendendo in prestito le abilità delle sue differenti versioni multiversali e trovandosi di fronte alle infinite possibilità di una vita migliore che avrebbe potuto avere, quella che fino a poco prima era una semplice proprietaria di una lavanderia, è destinata a diventare l’ultima speranza per la salvezza di tutti gli universi.

Everything..

Nell’industria cinematografica contemporanea c’è una parola che, più di tutte le altre, si è incessantemente fatta largo, soprattutto grazie alla nuova impronta narrativa che i Marvel Studios hanno optato per il loro franchise MCU, idealmente capace di risolvere con agilità le più diverse problematiche produttive, contrattuali e stilistiche: Multiverso. Un concetto non propriamente semplice da mostrare e da rendere digeribile al grande pubblico e di cui, come confessato da Doctor Strange in Spider-Man: No Way Home, “conosciamo spaventosamente poco”. Una citazione ormai di uso comune, ma che nasconde al suo interno sia il potenziale pressoché infinito che l’utilizzo delle dimensioni parallele può scatenare sul grande schermo, sia il caos che potrebbe generarne una cattiva gestione. Se nella canonicità Marvel, il multiverso viene sfruttato per ingigantire la portata della minaccia che incombe sui nostri supereroi, in Everything Everywhere All At Once esprime metaforicamente e visivamente il desiderio dell’individuo di sfuggire dall’anonimato.

Nel primo dei tre capitoli del film – intitolato appositamente Everything – scopriamo la vita tristemente vera della nostra protagonista, ormai disillusa dalla mediocrità e interpretata da una Michelle Yeoh strepitosa, capace di adattarsi a ogni repentina sterzata di un’opera totalmente esagitata. Osservandola, sin dai primi minuti ci risulta difficile immaginare un passato nel quale lei e il marito, il felicemente ritrovato Jonathan Ke Quan (ve lo ricordate ne I Goonies e in Indiana Jones e il tempio maledetto?), siano stati una coppia affiatata. Nonostante Waymond provi ripetutamente a cercare di parlarle, Evelyn non ha tempo – e nemmeno voglia – di stare a sentire cos’abbia da dire il coniuge, chiusa nella sua bolla di faccende da sbrigare e fallimenti da evitare. Un comportamento superficiale e distaccato che porterà Evelyn all’egocentrismo, andando inevitabilmente in rotta di collisione con la figlia adolescente Joy (Stephanie Hsu). Tra Jamie Lee Curtis che le sta col fiato sul collo nelle vesti dell’esattrice delle tasse Deirdre Beaubeirdre, alla quale socialmente non può ribellarsi, e l’ombra di un padre intransigente che l’accompagna, la protagonista sfoga la sua mancata realizzazione nella dimensione familiare che inevitabilmente sta per andare in frantumi.

Più ci addentriamo nei multiversi di Everything Everywhere All At Once e più le crepe dei muri di casa Wang (nascoste malamente, come verrà detto in una delle prime battute del film) risultano evidenti, non solo attraverso il desiderio di annientamento di Jobu Tupaki al motto di “niente è davvero importante”, ma soprattutto per il desiderio di Evelyn di restare ad ammirare gli squarci di migliori vite alternative cui poteva ambire. Come le dirà Alpha-Waymond: Negli altri universi sei capace di tutto, perché qui non sei capace di nulla, amplificando il malessere della protagonista e dello spettatore, entrambi desiderosi di evadere da un’esistenza qualunque. E se la prima potrà farlo assumendo il ruolo della possibile salvatrice del multiverso, forte delle sue migliori versioni di sè, il secondo è destinato a vivere ancora una volta il riflesso un’avventura proiettata sul grande schermo, in un viaggio che ha però lo scopo ultimo di riportarli alla loro realtà con un attaccamento nuovo.

Everywhere..

In questo c’è da ammettere che Everything Everywhere All at once si presta in più frangenti a essere interpretato attraverso citazioni e concetti derivativi dalla filmografia del Marvel Cinematic Universe. Perché proprio come in Avengers: Endgame, i nostri eroi venivano ammoniti da Thanos con le parole: “Non potevate sopportare il vostro fallimento. Dove vi ha condotto? Di nuovo da me”, allo stesso modo Evelyn (e con lei lo spettatore) saranno costretti a tornare alle loro dimensioni d’appartenza per affrontare a viso aperto i demoni di quella vita inappagata.

Quello di ipotetici “What if..“, o della fantasia alla Sliding Doors se volessimo rendere ancora maggiormente l’idea, è un trucco immaginario di fuga da una realtà che è sempre lì ad attenderci. Lo capirà molto bene Evelyn durante il suo caotico viaggio e, dopo essere passata dalla sua piccola dimensione terrena all’enormità del multiverso, dovrà effettuare il percorso inverso per risolvere alla base quei problemi che minacciano l’esistenza di ogni cosa. Cambiando il punto d’osservazione, quel distruttivo “niente importa” di Jobu Tupaki, verrà rielaborato in una versione solidale e pieno di vita: nulla importa, perciò prendiamoci cura di noi stessi e siamo gentili gli uni con gli altri. Apriamo il nostro cuore all’amore e non al dolore, alla vendetta o al rimorso come, ancora una volta, diceva l’MCU nell’incompreso Thor: Love & Thunder.

All at once!

Questa contaminazione tematica può sembrare un caso, ma lo è fino a un certo punto. Infatti, l’opera seconda dei Daniels è attualissima nei contesti e negli intenti. Divertendosi a sembare una scheggia impazzita tra le varie realtà e l’assurdità di molte di esse, esaspera il concetto con quella divertentissima trovata dei cosiddetti “tappeti elastici” per eseguire il salto-verso. Tuttavia, sotto quella maschera folle si nasconde un’opera dal piccolo budget (appena 25 milioni) che mischia i più disparati generi cinematografici, per portare alla luce l’ossessione tutta contemporanea di una vita diversa, dove magari siamo ricchi e famosi, abili cuochi o cantanti, persino supereroi! Dove ci ripetono che siamo speciali, che siamo qualunque cosa.. tranne noi stessi.

Un messaggio che viene mostrato attraverso le innumerevoli citazioni ad altre pellicole all’interno del film e che non dobbiamo confondere con mancanza di originalità. Chi non ha mai desiderato di poter fermare i proiettili alzando un braccio come Neo in Matrix? Chi non si è mai trovato, di fronte al grande schermo o alla TV, fantasticando sul prendere parte a quella narrazione o persino di potarsela fuori dallo schermo? Tutti lo abbiamo fatto, almeno una volta nella vita. Ed Everything Everywhere all at once sembra saperlo molto bene, suggerendoci di utilizzare l’universo pluridimensionale dell’illusione per arricchirci, per aspirare a essere la migliore versione possibile di noi stessi, non commettendo però l’errore di utilizzare il fantastico come metro di paragone per far sprofondare la nostra realtà nell’abisso. É imperfetta, ma è la nostra dimensione e non ci è permesso fuggire, se non per una breve time-out.

In conclusione, Everything Everywhere all at once è un’opera stordente e rivoluzionaria, nel vorticoso connubio tra gongfu, wuxia, melò dalle atmosfere di Wong Kar-Wai, commedia grottesca e fantascienza, dove non si può certo fare a meno di qualche sequenza animata. Anche se non privo di difetti, primo fra tutti una lunghezza forse un po’ eccessiva, siamo dunque di fronte a un vero e proprio omaggio al mezzo cinematografico, capace di coglierne la contemporaneità con acume e freschezza. E dato che siamo in questo presente dominato dalle produzioni supereroistiche (che oggi ho citato in continuazione), lasciatemi concludere sulla stessa falsariga, dicendo che: se i supereroi Marvel lottano per il salvare il multiverso da chissà quale minaccia, il nuovo film A24 ci spinge a continuare a pensare in grande, ma ricordandoci di essere gli eroi gentili della nostro universo.

Michele Finardi

IL VOTO DEL PUSHER
Regia
Sceneggiatura
Interpretazioni
Area Tecnica
Michele Finardi
Planner di salotti cinefili pop fin dalla tenera età, vorrei disperatamente vivere in un film ma non riesco a scegliere quale!
everything-everywhere-all-at-once-recensioneEverything Everywhere All At Once è la più recente produzione A24 sbarcata in Italia e firmata dal duo dei Daniels. Completamente folle ed esagitato, grazie a un montaggio e una direzione eccellente, il film esplora il desiderio d'evasione di una proprietaria di una lavanderia a gettoni, schiacciata da una vita famigliare piena di non detti e dei doveri verso il fisco. Cercando di affrontare una minaccia multiversale, la protagonista dovrà dunque affrontare i suoi demoni in quello che, per chi vi scrive, è destinato a diventare un vero e proprio cult movie.

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