L’attesa è finita. Il film evento del 2021 è finalmente in sala e, dopo aver fatto registrare numeri da record ancor prima dell’accensione dei proiettori a livello di prevendite, il 27° lungo MCU si prepara a scalzare Avengers: Endgame come film più redditizio del franchise. Solo il tempo ci dirà se l’amichevole Spider-Man di quartiere, interpretato da Tom Holland, riuscirà nella difficile impresa ma possiamo già affermare, con assoluta certezza, che è riuscito a riportare in massa il pubblico al cinema come non accadeva da anni.. da Endgame, appunto!
Una campagna pubblicitaria basata sul mistero, della quale ricordiamo con affetto i simpatici siparietti tra gli attori protagonisti e i Marvel Studios relativi alla divulgazione del titolo, ha generato un incessante numero di news, teorie e leaks che hanno assillato milioni di appassionati. Un effetto collaterale snervante, dove l’incubo dello spoiler si nascondeva dietro ogni video su YouTube o frame social, ma che ora possiamo relegare a lontano ricordo. Perché Spider-Man: No Way Home è finalmente tra noi e, nonostante alcune problematiche che andremo a sviscerare in seguito, è capace di unire i fan dell’Uomo Ragno di qualsiasi età, di lunga e nuova data, regalando a tutti una stretta al cuore impossibile da dimenticare.
Attento a ciò che desideri, Parker
Al termine di Far from home, eravamo rimasti con il clamoroso servizio del Daily Bugle che, rilasciando un video manipolato da Beck, ribaltò gli avvenimenti di Londra, rendendo Mysterio un martire e Spider-Man un criminale. Il mondo impazzisce quando viene rivelata la vera identità dell’amichevole eroe di quartiere ed è proprio qui, nello stupore generale, che ha inizio la narrazione di No way home. La vita di Peter diviene insostenibile e, costantemente in fuga dai media e dall’opinione popolare, si rende conto che a soffrire ingiustamente sono i suoi affetti più cari. Sentendosi responsabile di aver indelebilmente compromesso il futuro di MJ e Ned, nonché di aver trascinato Zia May e Happy in un vortice mediatico, Peter chiede aiuto a Doctor Strange per far sì che il suo segreto venga ripristinato. A causa delle costanti interferenze del ragazzo però, l’incantesimo dell’ex Stregone Supremo apre uno squarcio dimensionale, attirando chiunque conosca la vera identità dell’Uomo Ragno, da qualsiasi universo!
La origin story di Spider-Man è completa
Concedetemi di partire con l’analisi di quest’atto conclusivo dalla Home Saga da lontano. Anzi, da molto lontano! Aprendo uno squarcio multidimensionale, andiamo a riprendere gli insegnamenti appresi nella Trilogia del Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan, scomodando DC Comics. In The Dark Knight, Bruce Wayne capisce fin da subito che il bisogno di nascondere il proprio volto dietro a una maschera, nasce dalla necessità di proteggere prima di tutto le persone che gli sono più vicine. Tornando ora all’universo Marvel, lo stesso Spider-Man del “Ciclo Raimi” veniva colpito al cuore (negli affetti) da Goblin, ritrovandosi a fare un passo indietro di fronte alla dichiarazione di Mary Jane, in quel bellissimo finale, pur di non metterla nuovamente in pericolo. Una lontananza nata dalla responsabilità di dover proteggere, che sarà poi fulcro della narrazione nel successivo capitolo, e con la quale dovrà confrontarsi anche il Peter Parker di Tom Holland in questo No Way Home.
Divenuto in un attimo l’uomo più famoso del pianeta, il senso di colpa crescente per la sua “influenza negativa” sulle persone care, lo porterà a chiedere aiuto a Strange. Seppur estremamente forzato, l’incipit narrativo è brillantemente reso accettabile dall’innocenza del ragazzo: “non hai pensato di chiamare la scuola prima di farmi fare il lavaggio del cervello al mondo“, gli dirà infatti l’insostituibile Benedict Cumberbatch e, conoscendo il buon Peter Parker di Holland, il tutto è perfettamente plausibile. Tuttavia, questo tentativo di sistemare la situazione non è nient’altro che il primo vero gesto d’azione nella crescita del personaggio di Tom Holland.
Nei due capitoli precedenti, e nei vari film corali in cui compariva, lo Spider-Man MCU si limitava a reagire a una determinata situazione di pericolo, seguendo ordini o per evitare una morte certa. Nei primi minuti di No Way Home invece, in maniera totalmente autonoma e responsabile cerca di trovare una soluzione. Si tratta del primo vero atto di responsabilità di un nuovo Spider-Man, non più di reazione ma d’azione, forgiato dal dolore.
ATTENZIONE! SPOILER!
Da grandi poteri derivano grandi responsabilità
L’intero film non è altro che la perdita dell’innocenza di Peter Parker e la nascita di in eroe nuovo. Andando contro il volere di Strange, il personaggio di Tom Holland si assumerà la responsabilità delle sue azioni nel tentativo di “guarire” i villain dei precedenti universi Sony, targati Raimi e Webb. E quando questa decisione gli si ritorcerà contro nel peggiore dei modi, non potrà far altro che lasciarsi andare al dolore ma, per sua fortuna, al suo fianco avrà due mentori d’eccezione.
Complice il fatto di non aver mai avuto un background solido, la costruzione della moralità del Peter Parker MCU è passata soprattutto attraverso le sue “figure paterne”. Che sia stato prima Tony Stark (Homecoming e tutto il precedente) e Nick Fury poi (Far From Home), tutto ha portato Peter al punto di disobbedire all’unica figura super di riferimento che gli è rimasta (Doctor Strange), per inseguire quella “cosa giusta da fare“, ultimo regalo di una Zia May indimenticabile. Una scelta che lo segnerà indelebilmente, trasformandolo nell’eroe dei giusti per eccellenza.
Fondamentale è l’intervento di quei due mentori di cui vi ho parlato prima che, forti delle loro esperienze passate in cui hanno ceduto alla rabbia, hanno permesso al contemporaneo Peter di non smarrirsi. Sto ovviamente facendo riferimento agli Spider-Man di Tobey Maguire e Andrew Garfield che, tornando a indossare nuovamente i loro costumi, spingeranno la loro controparte a essere (forse) il migliore tra loro. Peter capisce che, avere un dono come il suo, comporta il dovere di essere responsabile delle vite altrui oltremisura. Ed è proprio da questo concetto che nascerà lo struggente finale dove anche il segno di una ferita che “non fa quasi più male ormai” non può essere dimenticato. Un dolore ancora fresco che non può tollerare nuovamente e, per questa ragione, si priverà della felicità.
Non sbaglieremmo nel dire che questa Home Saga è una trilogia di origine che, nel suo atto finale, ha il sapore di un soft reboot portando lo Spider-Man di Tom Holland, almeno per il più recente futuro, lontano dagli avvenimenti del resto del franchise. Tuttavia, avvicina il personaggio anche alla visione più classica di Peter Parker: solitario, squattrinato ma incredibilmente ultra sfaccettato.
Chi non muore si rivede
Se da un lato c’era grande speculazione da parte dei fan sulla presenza di Tobey Maguire e Andrew Garfield nell’ultima fatica MCU, dall’altra era certa la presenza dei più pericolosi villain dei loro rispettivi universi. Uniti dal destino di morire combattendo Spider-Man, questi tornano per un’ultima battaglia, desiderosi di restare nel nuovo mondo appena scoperto. Trionfali sono le apparizioni del Dottor Octopus, di Goblin e di Electro, ancora una volta rispettivamente interpretati da Alfred Molina, Willem Dafoe e Jamie Foxx, ai quali si affiancano meno esplorati Lizard e Sandman.
Il nostro amichevole Spider-Man di quartiere si troverà dunque a fronteggiare cinque dei più pericolosi super-cattivi del Multiverso che, come per Jamie Foxx, hanno subito qualche piccolo upgrade estetico. A spiccare tra tutti, è indubbiamente il malvagio Goblin che possiamo qui ammirare in un costume più vicino al character design fumettistico e impreziosito dall’espressività di un Dafoe senza rivali. Purtroppo però, se grandiose sono le loro entrate in scena, visivamente dimenticabili sono le loro dipartite.
Tante emozioni ma tecnicamente discontinuo
Le emozioni scaturite dal rivedere eroi del passato e i più iconici avversari dell’Uomo Ragno tutti insieme, riescono a rendere meno amara la consueta mediocrità registica di Jon Watts che, ancora una volta, quando la questione si fa interessante, perde il controllo. Se nella prima ora ogni aspetto estetico è stato ben curato e calibrato, la seconda parte non regge il paragone.
Nelle parti più action è evidente che non si sia investito a dovere per rendere davvero incisive le gesta corali, pensando erroneamente che bastasse qualche bel frame per portare a casa il risultato. In un certo qual modo, l’emozione nel vedere i tre Spider-Man all’opera e coordinarsi può inebriare e disintegrare l’oggettività dell’appassionato, ma è indubbio che seguire i loro movimenti è difficoltoso e le loro figure risultano troppo spesso semplici macchie in movimento. Purtroppo, anche lo scontro definitivo con Goblin ha diverse criticità e, nonostante si parta da un buon campo lungo che progressivamente si avvicina ai duellanti, tutto ciò che avviene in seguito è gestito maldestramente. Un montaggio scellerato vorrebbe mettere una pezza all’età di Dafoe o, più semplicemente, al fatto di non aver coreografato a dovere il momento, senza successo.
Tuttavia, il problema non è esclusivo delle scene d’azione e anche i momenti più introspettivi o di confronto hanno una buona carica emotiva ma con la camera che si limita a osservare, senza infamia ne lode. Resta dunque il rammarico di non aver visto un tassello fondamentale della storia di Spider-Man sul grande schermo in mano a un autore vero, capace convincere sotto ogni aspetto tecnico, ed elevare il racconto senza affidarsi unicamente alla sceneggiatura, al carico emotivo delle parti in causa o alla bravura del cast.
Non fraintendetemi: la lacrima è dietro l’angolo in più momenti, le risate sono tante e i colpi al cuore parecchi! Tuttavia, anche in fase di scrittura ci sono alcuni problemi e spesso il “non farsi domande” è la scelta opportuna. Si percepisce che il tutto è calibrato per poter, a volte, forzare gli eventi e regalare allo spettatore un enorme giostra emotiva. Il fan service però non disturba ma aiuta ad affezionarsi ancora di più all’attuale versione di Spider-Man, portatore dell’ingrato fardello di una precedente scrittura del personaggio poco attenta. Con No Way Home ora siamo tutti al fianco del Peter Parker di Tom Holland, avendo condiviso insieme lui la perdita e la rinuncia, stringendo un legame che sarà indissolubile.
Non resta altro da fare che attendere l’inizio della nuova trilogia che, come dalla prima scena post credit, vedrà probabilmente il nostro universitario squattrinato fare la conoscenza del simbionte. Grazie al cielo, con un’altra trovata forzatissima ma necessaria, Venom potrà essere riscritto da zero dopo il disastro perpetrato da Sony. Una cosa è però certa: No Way Home è un film dai tanti difetti ma dal grande cuore e, tante volte, questo è sufficiente. La condivisione dello stupore in sala è un’esperienza che mancava da troppo tempo e dovremmo ringraziare il nostro amichevole Spider-Man di quartiere per essere stato, ancora una volta, l’eroe di tutti.
Michele Finardi