L’atto d’amore di Kenneth Branagh per la sua Belfast

Belfast film recensione

Belfast di Kenneth Branagh esce al cinema il 24 febbraio e meriterebbe di sbancare ai premi Oscar 2022.

Esteticamente impeccabile, Belfast è un’esplosione di vitalità irlandese e un omaggio ad una città e ad una comunità che raramente abbiamo visto al cinema.

Nella città di Belfast, capitale dell’Irlanda del Nord, il regista Kenneth Branagh è nato nel 1960 e questo film è molto autobiografico. Tanto è vero che qualcuno lo annovera tra i film-testamento, quelli in cui il regista/autore ripercorre quella parte iniziale della propria vita che più ha segnato il suo percorso.

E se Paolo Sorrentino con È stata la mano di Dio ha raccontato il momento della sua adolescenza in cui inaspettatamente è diventato adulto, con Belfast potremmo dire che Branagh racconta quel momento della sua infanzia in cui ha scoperto cosa significa essere irlandese.

Dimenticate i film shakespeariani degli esordi, ma anche le ultime pellicole raffinate e un po’ “fredde” con cui Branagh ci ha riproposto i classici di Agatha Christie.

Belfast  è un’opera più personale e sentita. L’accuratezza con cui è stata realizzata lascia intuire quanto il regista ci tenesse a raccontare la propria infanzia e l’amore per la sua famiglia e la sua città.

Tanta cura e tanta maestria hanno già portato al film un Golden Globe per la migliore sceneggiatura originale allo stesso Branagh e molte candidature “pesanti” ai prossimi premi Bafta e Oscar, che meriterebbe di vincere.

La trama e i temi di Belfast raccontano le origini di Kenneth Branagh

In un incipit a colori il film ci mostra con immagini aeree e panoramiche la città del titolo come appare oggi. In breve ci catapulta nella scena affascinante in bianco e nero di un quartiere popolare della Belfast dell’agosto 1969. Mentre Buddy (Jude Hill) gioca con gli amici nella strada dove abita, un gruppo di protestanti sferra un attacco contro i cattolici che vivono lì, urlando la loro volontà di cacciarli.

È l’inizio di quelli che passeranno alla Storia – eufemisticamente – come i “Troubles”, il conflitto trentennale nordirlandese tra la maggioranza protestante (gli Unionisti, a fianco della corona britannica) e i cattolici, all’epoca demograficamente in minoranza, che sentivano l’appartenenza dell’Ulster al Regno Unito come una dominazione e sognavano il ricongiungimento con la Repubblica d’Irlanda.

Buddy è un bambino di famiglia protestante. Come i suoi familiari non vede motivi per odiare, cacciare o combattere i cattolici, con cui convive nello stesso quartiere e studia nella stessa scuola.

Ha un fratello già adolescente e un padre che lavora come elettricista in Inghilterra e torna ogni due settimane a casa. Entrambi sono costantemente e minacciosamente presi di mira dai fiancheggiatori protestanti che vogliono convincerli a partecipare ai disordini e alle rappresaglie contro i cattolici. La madre di Buddy cresce i figli praticamente da sola, tra i sacrifici necessari a pagare i debiti che il marito ha accumulato con il fisco.

Il clan di Buddy è arricchito anche da una cugina più grande che lo coinvolge in avventure da teppista, dagli zii presenti e, soprattutto, dai nonni/babysitter che lo consigliano su come farsi notare dalla compagna di classe di cui si è innamorato.

Non c’è solo il conflitto tra protestanti e cattolici a raccontarci la Belfast dell’infanzia di Kenneth Branagh

Belfast è un omaggio del regista alle sue origini, alla città dove è nato e dove ha passato l’infanzia e alla sua famiglia in senso ampio, ma è anche una narrazione sul popolo irlandese, in particolare quella parte che vive in Ulster.

Attraverso gli occhi del piccolo Buddy, con leggerezza, ironia e, allo stesso tempo, serietà, lo spettatore scopre i grandi drammi che gli irlandesi hanno dovuto affrontare nei decenni passati: il conflitto tra protestanti e cattolici e le diseguaglianze tra i due gruppi; la disoccupazione, la povertà di larghe fasce di popolazione e la conseguente massiccia e costante emigrazione verso altri paesi, compresa l’Inghilterra e gli altri Paesi del Commonwealth. Non a caso il film è dedicato a quelli che sono partiti, a quelli che sono rimasti e a quelli che si sono persi e la secolare diaspora irlandese è sintetizzata dall’esilarante zia di Buddy, quando dice che, se gli irlandesi non emigrassero, non ci sarebbero buoni pub nel resto del mondo.

Un film raffinato e visivamente potente dove nulla sembra essere lasciato al caso.

Un esempio su tutti è la scelta del bianco e nero, che Kenneth Branagh sostituisce con il colore solo in tre scene: da un lato, le inquadrature panoramiche della città di oggi all’inizio del film e alla fine, per sottolineare il collegamento e, al tempo stesso, la distanza che ci sono tra la Belfast dell’infanzia dell’autore e la Belfast a noi contemporanea; dall’altro, la scena in cui la nonna porta Buddy a teatro. Qui, possiamo vedere un richiamo all’identità artistica di Branagh, attore e regista shakespeariano tra i più celebri in assoluti e un omaggio a ciò che ha significato per lui: mentre gli spettatori in platea sono rappresentati in bianco e nero, la recita sul palco è a colori, come gli occhiali inforcati dalla nonna (Judi Dench).

La regia è caratterizzata da efficaci primi piani e inquadrature dal basso, che creano la dinamicità necessaria ad una sceneggiatura piena di dialoghi vivaci e momenti poetici. Forse, vista l’ambientazione storica e i temi drammatici ci saremmo aspettati più pathos nella sceneggiatura. Invece, siamo rimasti soddisfatti dalla scelta di levità di Branagh.

A tratti, il piccolo Buddy ci ricorda il protagonista di Jojo Rabbit, con il suo sguardo curioso e stupito sui drammi che accadono davanti ai suoi occhi e la capacità di alimentare comunque la propria vitalità, tipica dei bambini. Il legame tra i suoi genitori, invece, raccontato in quel bianco e nero così raffinato, ricorda quello della coppia (meno fortunata) di Cold War che un altro regista, Pawel Pawilkovski, ha dedicato alla storia d’amore dei propri genitori. La differenza è che Branagh racconta un rapporto di coppia che arranca ma non si lascia sopraffare dalle circostanze storiche, diversamente da quello dei protagonisti del film del regista polacco, sconfitti dal clima sociopolitico dei Paesi del blocco sovietico.

Il film è bellissimo, non solo per merito di Kenneth Branagh

Le nomination ai prossimi Oscar e Bafta dicono molto dei meriti collettivi di questo film. Alle candidature come miglior film, miglior regia e miglior sceneggiatura originale, si aggiungono quelle per gli attori non protagonisti. Tra questi spiccano gli interpreti degli affettuosi nonni di Buddy: la perfetta Judi Dench e un altro bravissimo attore di Belfast, Ciaran Hinds.

L’esordiente Jude Hill nel ruolo di Buddy è eccezionale, ma sono sorprendenti anche, nei ruoli dei genitori, Caitríona Balfe e Jamie Dornan, che dimostra di non essere adatto solo come il bel Cristian Grey di Cinquanta sfumature di grigio o il conte Fersen di Marie Antoinette.

Probabilmente ha svolto un ruolo importante il fatto che molte delle persone che hanno lavorato nel film siano nate a Belfast: oltre a Branagh e a Hinds, anche Jamie Dornan e Van Morrison, autore della colonna sonora, a volte travolgente, a volte struggente.

Tanto amore per la propria comunità di appartenenza ha prodotto un film molto affettivo e molto curato.

Last but not least, un plauso va alla perfetta fotografia di Haris Zambarloukos il quale, oltre che nel musical Mamma mia, ha lavorato in molti film con Branagh, compresi gli ultimi due tratti dai gialli di Agatha Christy, dove le immagini sono curatissime. Ma in Belfast ha superato se stesso.

Stefania Fiducia

IL VOTO DEL PUSHER
Regia
Sceneggiatura
Interpretazioni
Area tecnica (fotografia, trucco, costumi, luci)
Stefania Fiducia
Splendida quarantenne aspirante alla leggerezza pensosa. Giurista per antica passione, avvocatessa per destino, combatto la noia e cerco la bellezza nei film, nella musica e in ogni altra forma d'arte.
belfast-recensione-kenneth-branaghEsteticamente impeccabile, visivamente potente, racconta il dramma di un popolo e dell'emigrazione con ironia attraverso la storia di una famiglia. Capolavoro di Kenneth Branagh. è imperdibile.

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