The Adam Project: un buddy-movie temporale tra presente, passato e futuro

the adam project recensione

Chi da bambino non ha fantasticato, almeno una volta, sulla possibilità di poter sbirciare nel futuro per intravedere la propria versione adulta? Tra l’ingenuo desiderio di voler crescere il prima possibile e il fascino della rottura degli schemi spazio-temporali, personalmente avrei tanto voluto fare come il piccolo Adam in uno dei tanti divertenti momenti di The Adam Project, disponibile su Netflix dall’ 11 marzo 2022, interrogando il mio futuro me per sapere se all’università avrei fatto tanto sesso!

Dopo il successo di Free Guy, Shawn Levy ritrova Ryan Reynolds (che dirigerà nuovamente in Deadpool 3), continuando a portare il suo cinema leggero ed empatico, ma non per questo superficiale. Intenzionata a tener vivo ed esplorare il rapporto tra l’adulto e il bambino che è in noi, la sua filmografia riesce a parlare tanto ai grandi quanto ai piccoli, ponendo sempre l’accento sulle dinamiche familiari. Non dimentichiamo che, tra le altre cose, è anche il produttore esecutivo di una delle serie di punta del catalogo Netflix e che apertamente affronta temi generazionali e familiari in tinte nerd: Stranger Things!

Che sia però la storia di un padre che non può deludere nuovamente il figlio (Una Notte al Museo), di una famiglia problematica che si ritrova nuovamente sotto lo stesso tetto per un lutto (This is where I live you) o che sia costretta al trasferimento (Una scatenata dozzina), è evidente che questa volta Levy abbia voluto fare ancora di più. Il confronto tra presente, passato e futuro non è più astratto ed emozionale ma, per il protagonista di The Adam Project, diviene tangibile. Prendendo uno script che girava negli studi di produzione dal 2012 e servendosi del genere sci-fi, il regista gioca con il tempo e con le possibilità, portando l’adulto faccia a faccia con il suo Io dodicenne e con quei genitori di cui ha soltanto ricordi contraffatti dalla rabbia e dal tempo.

E se i viaggi nel tempo esistessero già?

2050. Il pilota Adam Reed (Ryan Reynolds) è in fuga dal suo tempo e, nonostante volesse far visita al 2018, finisce accidentalmente nelle vicinanze di quella che era la sua casa nel 2022. Incontra così la giovane versione di sé stesso (Walker Scobell), al quale rivela la sua identità e la motivazione del suo viaggio: impedire che il loro defunto padre (Mark Ruffalo) possa creare i viaggi nel tempo.

1 a 0 per i buoni!

Reynolds continua con la rappresentazione dell’antieroe spiritoso e chiacchierone che contraddistingue tutte le sue ultime performance. Una rinascita la sua che ha dell’incredibile anche perché, per quanto sia indubbiamente simpatico e bello, non possiamo di certo dire che sia un mostro di recitazione. Ha però trovato nei suoi limiti una chiave vincente e, in questo buddy-movie temporale, la sua performance dalla battuta sempre pronta viene supportata dall’altrettanto carismatico Walker Scobell. L’attore tredicenne si rivela essere un co-protagonista capace di mettere nell’angolo la propria controparte adulta a più riprese. Strizzando l’occhio a Spielberg, Shawn Levy ci presenta il piccolo Adam come il piccolo nerd coraggioso, preso di mira dai bulli e che, a causa del vuoto lasciato dalla perdita del padre, non sa come relazionarsi con la madre.

Giocando continuamente con le citazioni di film che hanno fatto del salto temporale la propria ragion d’essere, nei ruoli genitoriali ritroviamo la coppia Jennifer Garner e Mark Ruffallo dopo quel fatidico desiderio di 30 anni in un secondo, di ben 18 anni fa. Se la prima ci regala la miglior performance emozionale dell’intero lungometraggio, portando a schermo una mamma stanca, spezzata e innamoratissima del figlio, il secondo si adegua alle dinamiche del Reynolds-movie, con un interpretazione più improntata alla gag e alla leggerezza, spesso sopra le righe. Dopotutto: tale padre, tale figlio!

A completare il cast, troviamo una Zoe Saldana sicura, che ha fatto ormai suoi il ruolo della combattente (Gamora in Guardiani della Galassia, insegna) ma, per contro, una Catherine Keener davvero fuori posto, qui ringiovanita nella sua versione 2018 con l’uso della computer grafica. Una scelta visiva che allontana e che accentua la più grande mancanza di questa narrazione: un’antagonista di rilievo. La sua Maya Sorian è una villain abbozzata e piatta, motivata da un generalista brama di potere che non dice nulla. Il tentativo di giustificare la sua trasformazione in dittatrice temporale senza scrupoli, con l’accenno a una mancata vita privata per la sua totale devozione all’azienda che ha fondato, affonda definitivamente il personaggio.

Un futuro un po’ troppo prevedibile

Nei suoi 100 minuti di durata complessiva, The Adam Project diverte e appassiona, ma più per le dinamiche relazionali tra il protagonista adulto e la sua piccola versione di sé, che per i risvolti narrativi che non nascondono sorprese. Non si necessita di un particolari qualità extra-sensoriali o di una formula matematica per viaggiare nel tempo per prevedere l’epilogo del film. Tutto va esattamente come deve andare, senza intoppi e va bene così perché la bontà dell’opera sta nell’insegnamento che i due Adam traggono dal loro incontro. Impareranno insieme a elaborare il lutto, chi a soli due anni di distanza e chi a trenta, con il più giovane che riporterà alla memoria la realtà di quei ricordi modificati dal rancore. Se è vero che: è più facile essere arrabbiati che tristi, lo è anche il fatto che mentire a noi stessi per preservarci dal dolore non è la soluzione. Come non lo è prendersela con il primo genitore (o figlio) che capita a tiro.

Non è dunque importante se l’ultima fatica di Shawn Levy presenti qualche imperfezione o risvolto semplicistico. Non è importante se gli effetti visivi sono altalenanti. Giocando con la cultura pop del viaggio del tempo cinematografico, dalle alterazioni temporali di Ritorno al futuro ai Multiversi del Marvel Cinematic Universe, The Adam Project riesce nel suo intento di avvicinare nuovamente l’adulto al bambino. Intrattiene e non annoia, nonostante ci sia un piccolo calo di ritmo nella parte centrale, riportandoci a sognare di viaggi nel tempo, spronandoci a intraprenderli con la mente. Ritrovare il proprio passato, il proprio Io di tanti anni fa, abbracciarlo riscoprendoci viaggiatori fantastici, non è mai sbagliato. Possiamo imparare ancora molto anche se bambini non lo siamo più.

Michele Finardi

IL VOTO DEL PUSHER
Regia
Sceneggiatura
Interpretazioni
Area tecnica (trucco, costumi, luci, effetti speciali)
Michele Finardi
Planner di salotti cinefili pop fin dalla tenera età, vorrei disperatamente vivere in un film ma non riesco a scegliere quale!
the-adam-project-recensioneSeconda collaborazione per Shawn Levy e Ryan Reynolds, con il primo che continua il suo percorso di riscoperta del fanciullo e della famiglia, questa volta in salsa sci-fi. Giocando con i salti nel tempo, porta con un pilota a contatto con il suo io dodicenne e, da questa strana alleanza, dipenderò il destino del mondo.

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