Halftime su Netflix: Jennifer Lopez e la sua fame di credibilità

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Jennifer Lopez ha compiuto 50 anni e ne dimostra sempre dieci di meno: è pimpante e determinata a far ancora parlare di sé. Nel corso degli ultimi vent’anni l’abbiamo vista recitare, ballare e cantare fino a diventare un’icona mondiale: non ci dimentichiamo che Google Immagini è nato per la ricerca del suo jungle dress Versace indossato ai Grammy Awards del 2000. Tuttavia, ancora devo capire di preciso cosa sappia fare bene e, da quanto emerge in Halftime, il docufilm a lei dedicato su Netflix, questo non è un problema solo mio.

Trailer

Cosa sa fare davvero Jennifer Lopez?

J.Lo è sicuramente poliedrica, ma non possiamo ritenerla un’attrice da Oscar o una cantante talentuosa. Il problema non è la versatilità, prerogativa di tutte le star Oltreoceano: molte cantanti tentano anche la strada cinematografica, e l’ultima che ha avuto più successo è sicuramente Lady Gaga. Tuttavia, anche se Lady Gaga non ha ancora vinto un Oscar come migliore attrice, tutti riconducono la sua fama e la sua credibilità al suo talento come musicista, quindi in realtà nessuno si aspetta qualcosa da lei come attrice, e se dimostra un talento in più… tanto di guadagnato. Lo stesso vale per tutte quelle attrici che nel corso della carriera hanno dimostrato anche di saper cantare, come Meryl Streep, di cui nessuno mette in discussione la bravura nella recitazione. Il canto è un valore aggiunto.

Jennifer Lopez, invece, ha iniziato la carriera come ballerina, per poi proporsi come attrice e infine come cantante. Tuttavia, non è riuscita a distinguersi davvero in nessuna delle tre arti nonostante il successo “mainstream”: forse è per questo che non si riesce proprio a considerarla qualcosa di più di una diva. La difficoltà sta proprio nell’identificarla in un ruolo specifico. Non è tanto una questione di gusti, quanto più una riflessione oggettiva. J.Lo non convince mai pienamente, e da questo punto scaturisce la frustrazione di un’artista che ce la mette tutta, ma alla fine non riesce mai a risultare credibile nonostante i numeri (e i soldi) che fa.

La preparazione dello show al Super Bowl 2020

Nel docufilm Halftime la frustrazione emerge con forza. J.Lo è presissima dalla preparazione dello show omonimo del Super Bowl 2020, dove sarà protagonista insieme a Shakira. Per Jennifer lo spettacolo significa tutto e diventa un momento per affermare chi è e portare in scena i diritti dei latino americani durante il governo Trump. Il messaggio diventa così ossessivo che la cantante arriva a inserire delle gabbie in scena e delle bambine – tra cui la figlia Emme – che cantano e ballano “Born in the USA”, scatenando così le perplessità della National Football League.

Anche dividere lo show con Shakira sembra essere un problema. Torna quindi alla ribalta il problema del razzismo: perché lo spazio dell’Halftime, che di solito viene conferito ad un’unica star, deve essere diviso a metà tra due donne sudamericane? Sembrerebbe un affronto. Per rimarcare bene il concetto di libertà e uguaglianza, il documentario si chiude con Jennifer Lopez che canta “This land is your land” durante l’insediamento del nuovo presidente Biden, gridando “Let’s get loud”, il titolo della sua hit, nel bel mezzo della performance.

Una questione di credibilità

Durante la preparazione dello spettacolo per il Super Bowl, seguiamo Lopez anche nelle varie premiazioni del film Le ragazze di Wall Street, da lei prodotto e interpretato. Assistiamo quindi alla forte delusione di non ricevere alcuna candidatura agli Oscar nonostante i complimenti della critica e l’ennesimo messaggio di parità dedicato – in questo caso – alle donne che lavorano. E quanto più le istituzioni canoniche non considerano Jennifer, tanto più lei si impegna per essere vista e riconosciuta, rendendo il suo lavoro un continuo messaggio verso qualcosa di “più alto”.

Se osserviamo la differenza di Performance al Super Bowl tra lei e Shakira notiamo subito il registro differente. La cantante colombiana gioca sul palco, si diverte, non ha bisogno di dimostrare niente. Jennifer Lopez, invece, ne fa un caso di Stato e porta sul palco un’esibizione molto effetto wow e decisamente più costruita.

Capisco la nobile necessità, per chi ha tanta visibilità, di diffondere messaggi sui diritti umani, ma forse il Super Bowl non era il momento migliore per combinare balletti e inni all’integrazione. Ricordiamo che si tratta di uno show di intrattenimento durante una manifestazione sportiva, e alla fine già essere invitati come performer è un messaggio forte nel contesto dell’uguaglianza. Lo stesso vale per l’incitamento di J.Lo a far “sentire la propria voce” durante la performance della canzone patriottica per l’insediamento di Biden. Sarà stato un gesto opportuno?

Jennifer Lopez vuole strafare: c’è un senso di rivalsa in lei che ha bisogno di essere sfamato, ma che allo stesso tempo la porta ad auto-sabotarsi. Troppe cose tutte insieme, troppa confusione. Non si riesce a capire cosa le piaccia fare a parte far parlare di sé. Vuole affermarsi e questo non è un problema finché non diventa un’ossessione. Il documentario mi è piaciuto molto, ma quello che mi lascia in dubbio è la brama di credibilità che Lopez ha bisogno di raggiungere, nonché la sua frustrante corsa verso un altro tipo di successo. Lecito, ma forse un po’ troppo pesante e a volte fuori luogo.

Mi dispiace se soffre per dei mancati riconoscimenti: mi sembra una donna genuina, che sa quello in cui crede e si impegna tantissimo. Però ricordiamo anche quanto ci sia voluto per far vincere un Oscar a Leonardo DiCaprio. E parliamo di uno dei migliori attori di Hollywood degli ultimi anni. Quindi, per concludere, quello che mi chiedo è se questo documentario di Amanda Micheli non abbia voluto martirizzare troppo la figura di Jennifer Lopez, che alla fine dei giochi è una star miliardaria che sicuramente sarà ricordata per molte cose. Magari non come migliore cantante, magari non per aver vinto un’Oscar, ma facciamocene una ragione.

Alessia Pizzi

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Alessia Pizzi
Laurea in Filologia Classica con specializzazione in studi di genere a Oxford, Giornalista Pubblicista, Consulente di Digital Marketing, ma soprattutto fondatrice di CulturaMente: sito nato per passione condivisa con una squadra meravigliosa che cresce (e mi fa crescere) ogni giorno!
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