“El arte de volver”, opera prima del regista spagnolo Pedro Collantes, è stato appena presentato nella sezione “Biennale College”.
Dal 2012 il Festival di Venezia ha inserito questa sezione, collegata ad un programma di sviluppo istituito per sostenere i filmmaker alla loro prima o seconda opera.
“El arte de volver” è un film malinconico, la cui trama si svolge nell’arco di una giornata, che comincia in una sala d’attesa.
Noemí (Macarena Garcìa), una giovane attrice, aspetta di fare un provino, ma se ne va appena una collega la riconosce in una foto su una rivista. Poi la seguiamo negli incontri della giornata: il nonno malato e ricoverato in clinica, la sorella minore, il cane del nonno l’amico storico, l’amica che inaugura la sua mostra, il tassista che la riporta a casa.
Sei anni prima, Noemí si è trasferita a New York, per cercare di dare una svolta alla sua carriera, ma non sembra essere andata poi così bene.
Rientra (momentaneamente?) in Spagna per far visita al nonno, le cui condizioni di salute si sono aggiravate e per fare un provino per una serie televisiva che si chiama proprio “El arte de volver”, ossia “L’arte del ritorno”. Anche la trama di questa serie TV sembra ricalcare in parte il tema del film, ovvero la difficoltà di far ritorno a casa, per chi ha cercato fortuna fuori. Ottenere la parte consentirebbe a Noemí di tornare a vivere in Spagna.
La prima difficoltà del ritorno è che la protagonista non ritrova più il suo mondo come lo aveva lasciato. La vita degli altri è andata avanti senza di lei e in conseguenza delle scelte che ha fatto lei.
La recensione del film “El arte de volver” non può essere positiva.
L’opera prima di Collantes non convince. Nel film ci siano alcuni elementi fastidiosi, innanzitutto nella trama degli incontri. Il regista ha spiegato:
Mettendo fianco a fianco gli incontri che si accumulano nel corpo e nell’anima di Noemí, intendo catturare il frammentarsi inconscio delle relazioni personali con il miscuglio di momenti allo stesso tempo commoventi, spensierati e divertenti.
Peccato che tutti questi personaggi abbiano qualcosa da dire su Noemí, soprattutto da rimproverarle e da rinfacciarle e lezioni da impartirle.
L’amico Carlos le rimprovera di parlare e comportarsi come se la tua vita dovesse ancora cominciare, di fare l’adolescente. La sorella le rinfaccia di non leggere i suoi messaggi con attenzione.
È un film che non lascia niente di memorabile allo spettatore.
Sembra lanciare molti messaggi condivisibili sui sentimenti di chi ha lasciato il proprio Paese o la propria città. Ma niente viene raccontato in modo originale.
Ad esempio, la scena più intensa è quella della visita al nonno ricoverato in ospedale, piena di tenerezza e di dolcezza. Ma il dialogo inanella una serie di luoghi comuni, anche un po’ stucchevoli. Il nonno le dice di aver avuto una bella vita e che nessuno al suo funerale potrà dire che se n’è andato troppo presto. Ma ci tiene anche a dirle che “la vita è una. Non ci sono prove. Uno deve stare nel posto dove è felice”.
La pellicola è confezionata in modo carino, la fotografia è ben fatta, gli attori sono adeguatamente espressivi. Ma i dialoghi e le scene, con metafore e similitudini, fanno sembrare “El arte de volver” solo un compito fatto bene.
All’inizio promette più di quanto riesca a mantenere nei 90 minuti della sua durata. Ci auguriamo che Pedro Collantes, che mostra buone capacità registiche, riesca a far meglio con il prossimo film. Per ora, non vediamo un nuovo Pedro Almodóvar nell’orizzonte del cinema spagnolo.
Stefania Fiducia
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