Un’epidemia di amnesia colpisce i cittadini di un’Atene astorica e analogica nell’elegante racconto di Christos Nikou, regista di Mele (Mila), film della sezione Orizzonti che ha aperto il Festival di Venezia.
Aris, un uomo solitario, è una delle tante vittime di una nuova malattia inspiegabilmente irreversibile e il cui sintomo principale è l’amnesia.
Un giorno si ritrova in un autobus senza nessun ricordo e senza documento di identità e viene, di conseguenza, portato in ospedale. Qui inizialmente gli viene suggerito di aspettare che la sua famiglia lo reclami.
Ma col passare dei giorni e dopo il fallimento di vari test sulla memoria, il protagonista accetta di prendere parte a un progetto sperimentale che permette la ricostruzione di una nuova identità.
L’unico ricordo vivido che Aris ha è la sua passione per le mele, frutto di cui non riesce a fare a meno.
Prendendo parte al trattamento sperimentale Aris inizierà la sua nuova vita e avrà a disposizione una casa e una Polaroid con la quale scattare le foto istantanee che dovranno testimoniare la sua crescita personale.
Aris imparerà per la seconda volta ad andare in bicicletta; dovrà tuffarsi da un trampolino posto a un’altezza di dieci metri; dovrà andare a ballare in discoteca e portarsi a letto una donna “che non gli deve neanche piacere tanto” per imparare a flirtare .
Tuttavia il suo incontro con Anna, una donna attraente che partecipa allo stesso progetto di rieducazione, lo spingerà a riflettere sulla sua esistenza e a ripensare il proprio futuro.
Nikou ambienta la sua storia in un’Atene astorica. In che anno si muovono i protagonisti? O perlomeno in quale decennio? Non è dato saperlo.
Ciò che deduciamo è che, nonostante ci troviamo in un momento successivo all’uscita di Titanic di James Cameron (film del 1997 di cui discutono Aris e Anna), siamo catapultati in un’epoca analogica in cui i messaggi vocali sono registrati e riprodotti da nastro e in cui in discoteca si balla Let’s twist again, brano del 1961.
Lo stesso formato del film in 4/3 è sintomo di un tempo non “contestualizzabile”.
Mele: la recensione del film
Mila (Mele) è un film cinico, alienante e demoralizzante: la smemoratezza è la cifra principale della narrazione.
Lo spettatore frustrato non sa niente di più di ciò che vede, proprio perché segue la vicenda di un protagonista che non ricorda nulla se non quello che vive nella sua quotidianità.
Nikou ha lavorato in passato come assistente alla regia in Dogtooth di Yorgos Lanthimos e ne è stato chiaramente influenzato.
Infatti Mele, il suo primo lungometraggio, ha la stessa impassibile sensibilità.
Il nuovo cinema greco sempre più al centro dell’attenzione in tutti i più importanti festival, procede elaborando un’estetica originale che provoca lo smarrimento dello spettatore.
Tuttavia, come egli stesso ammette, Nikou trasmette una cifra più umana rispetto ai colleghi della Nouvelle vague greca:
Con questo film ho voluto creare un mondo familiare ambientato in un passato recente, in una società in cui la tecnologia non è così presente. Una società di persone sole, in cui l’amnesia si diffonde come un virus.
Mila comincia in un ambiente distopico, ma ben presto passa a un approccio più antropocentrico.
Valeria de Bari
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