Taking Off: il conflitto generazionale secondo Miloš Forman

Taking off recensione film

Titolo originaleTaking Off
Regia: Miloš Forman
Sceneggiatura: Jean-Claude Carrière, Miloš Forman, John Guare e Jon Klein
Cast principale: Lynn Carlin, Buck Henry, Paul Benedict, Audra Lindley, Georgia Andel, Linnea Heacock
Nazione: Stati Uniti d’America
Anno: 1971

Opera-ponte tra il periodo ceco e quello americano, Taking Off racchiude il meglio di Miloš Forman: la sua ironia, il gusto per il dettaglio, il “bozzetto” come cifra umana e stilistica, lo sguardo lieve – e per questo più acuto – sulle contraddizioni dell’epoca. Scritto insieme a Jean-Claude Carrière tra la Francia e gli USA, montato in due anni e poi prodotto dalla Universal (dopo il rifiuto della Paramount), il film si pone come un lento acclimatamento nel Nuovo Mondo, pur circoscritto al recinto privilegiato, quasi europeo, dell’East Village newyorkese.

Cenni di trama

La storia è esile, eppure funziona: la quindicenne Jeannie (Linnea Heacock) scompare di casa e i genitori Larry (Buck Henry) e Lynn (Lynn Carlin) chiedono aiuto agli amici Margot (Georgia Engel) e Tony (Tony Harvey). La cercano invano e finiscono per ubriacarsi in un bar, non dopo aver chiacchierato (le donne, s’intende) del loro ménage erotico-sentimentale. La ragazza, che è stata a un incontro hippie, torna in famiglia per poi fuggire di nuovo, esasperata dall’ansia genitoriale. Larry e Lynn riprendono la ricerca, fino a scoprire la “Società Genitori Figli Scappati” (SGFS), che raccoglie adulti nelle loro stesse condizioni e invita al consumo di marijuana per capire i pargoli anticonformisti. Da qui è un profluvio di gag, episodi comico-grotteschi, rovesciamenti di segno e un lungo, serpeggiante, senso di smarrimento.

L’occhio-mondo di Miloš Forman

Il regista sa bene quanto la borghesia americana somigli a quella ceca, pur nella maggiore agiatezza e nell’apparente, posticcia, disinibizione. Ogni cosa è connessa in tempi di disordine sotto il cielo; i genitori perdono la bussola, i figli cercano vie alternative finendo, di fatto, per riprodurre un conformismo altro, arrotolato su se stesso, incapace di offrire orizzonti di gloria o liberazione. Lo mostra bene il musicista capellone che guadagna cifre astronomiche, o la ragazza che suona nuda il violoncello perché, con gli abiti indosso, nessuno presta attenzione alla sua musica.

Forman è un maestro nel cogliere i volti, i gesti, le occhiate di questa ridda agitata e stanca, fissata al culmine della confusione, tra strip poker, erba, audizioni lunghissime e stressanti. Il suo è un occhio-mondo, capace di cogliere la massificazione della controcultura, quel suo farsi status da riprodurre sulle magliette, sui posacenere, buono per atteggiarsi in società e divenire fenomeno pop e (già) vintage, mentre gli adulti annaspano alla ricerca di soluzioni, di chiavi interpretative per valutare il mondo dei figli, ai quali hanno riservato invadenza e nervosismo.

Genitori e figli: incertezza e confusione

La lunga sequenza dell’audizione teatrale, sviluppata per partizioni nell’arco della pellicola, mette in luce il desiderio di cambiamento dei giovani, la voglia di rovesciare il mondo «dalla piramide alla base», come direbbe Vasco Pratolini. Eppure ogni sguardo, ogni movimento, rivelano l’incapacità di uscire dal recinto, di pensare la liberazione oltre il perimetro del proprio mondo. È quanto accadeva anche ne Gli amori di una bionda (1965), in cui la dolce Andula (Hana Brejchová, sorprendentemente simile a Linnea Heacock nelle movenze e nelle espressioni), che si illude dei modi gentili dell’amante per poi scoprirne il volto meschino, banale, ostile.

Come nota Emanuela Martini (Forman in Wonderland, 2017), «Forman affronta ciò che non gli è familiare (la media borghesia newyorkese e i suoi figli) utilizzando gli strumenti espressivi che ha già maturato in Patria: il dialogo impossibile tra genitori e figli, la propria sincera simpatia verso questi ultimi, la ricerca continua del particolare, del gesto automatico, della gaffe […]». Il canto, prima di Hair (1979), diviene strumento espressivo, tentativo sghembo di ordinare le emozioni, di dar forma ai propri grumi. È un atto di coraggio, causticamente azzardato da un forestiero, da uno che tratterà l’istituzione manicomiale (in Qualcuno volò sul nido del cuculo, 1975) come metafora allargata della società tutta, dall’America all’URSS – senza soluzione di continuità.

Tre motivi per vedere il film:

  • La sequenza dell’audizione
  • La prova di Buck Henry, scrittore, e la sua memorabile interpretazione di Stranger in Paradise
  • I consigli dello psicologo ex figlio dei fiori

Quando vedere il film:

Dai 20 ai 40 anni, ora che non si smette mai di essere “figli”. E di interrogarsi sul perché.

Ginevra Amadio

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IL VOTO DEL PUSHER
Regia
Sceneggiatura
Interpretazioni
Area tecnica (fotografia, effetti speciali, luci, scenografia)
Ginevra Amadio
Giornalista pubblicista, laureata in Lettere e Filologia Moderna. Lettrice seriale, amante irrecuperabile del cinema italiano e francese.
taking-off-milos-forman-recensioneOpera a cavallo tra il periodo ceco e quello statunitense, "Taking Off" conserva i tratti tipici della regia di Forman, attento al dettaglio, allo scandaglio di volti, gesti, espressioni. Ne emerge un ritratto di borghesia "psichedelica", frustrata, sospesa tra le ansie del futuro e tentativi di comprensione mancata.

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