“Rock & Arte” il libro che tutti gli amanti del rock dovrebbero avere

storia del rock hoepli

Si chiama “Rock & Arte,  quando il rock incontra l’arte” il nuovo libro uscito per i tipi della Hoepli, casa editrice che ha dedicato un’intera collana alla musica. Scritto a sei mani da Ezio Guaitamacchi, Leonardo Follieri e Giulio Crotti, già dal titolo si potrebbe intuire che è libro da vedere e da leggere allo stesso tempo.

Uno di quei libri che da piacere anche solo sfogliare, per cercare immagini e foto di artisti che si riconoscono. È solo dopo un po’ di tempo che lo si prende in mano e lo si sfoglia più volte che si decide di approfondirne il contenuto. Si tratta di un volume di quattrocento pagine molto denso di immagini e foto su carta spessa. Ed è solo leggendolo che si scoprono innumerevoli aneddoti, storie e personaggi che hanno ruotato intorno ai più  grandi divi e dive del rock, per poterne creare delle vere e proprie icone artistiche. Le storie sono innumerevoli, vanno dagli inizi del rock&roll ai giorni nostri e sono tutte molto interessanti.

Una piccola anticipazione del tipo di contenuti che possiamo trovare nel libro ce li ha forniti uno degli autori, Ezio Guaitamacchi, al quale sono riuscito a porgere alcune domande.

Cominciamo dal titolo “Rock & Arte”: un connubio che ha funzionato sin dagli esordi della musica rock. Si è capito subito che questa nuova musica portava con sé una carica estetica diversa, un valore artistico che rompeva con tutti i canoni precedenti. Se dovesse puntare il dito verso un artista, chi sarebbe il primo da imputare di aver fatto di sé stesso o del proprio lavoro un’opera d’arte?

Ce ne sono tanti, visto il tema del libro e come viene affrontato, anzi potremmo forse dire che più o meno tutti gli artisti (e non per forza in maniera consapevole) hanno fatto di loro stessi un’opera d’arte. Ma se proprio dovessimo sceglierne soltanto la scelta ricadrebbe forzatamente su Elvis.

E non è una risposta scontata. Anche da questo punto di vista, “The King” ha rappresentato l’inizio vero e proprio della rivoluzione. Da quando si mette a frequentare la boutique di Lansky su Beale Street a Memphis comincia a creare quel look particolare che lo accompagnerà fino alla morte. Elvis non va sottovalutato nemmeno come anticipatore dei tempi, se pensiamo al completo in pelle nera disegnato da Bill Belew della IC Costume Company per il ’68 Comeback Special, il celeberrimo programma televisivo trasmesso dalla NBC che segna il suo ritorno alla musica dopo la lunga parentesi hollywoodiana. Dieci anni dopo avremmo visto gruppi punk vestiti allo stesso modo.

[dt_quote type=”pullquote” layout=”right” font_size=”big” animation=”none” size=”1″]Nel libro,  tra le “quote” che accompagnano la normale lettura, viene citato Marc Bolan, leader dei T.Rex, che diceva: “Le persone sono opere d’arte e se hai un bel viso tanto vale giocarci un po’. Sennò sai che noia?”[/dt_quote]

Inutile sottolineare che chi non ha avuto bisogno di affermare questo messaggio, ma lo aveva compreso appieno già di suo, è stato David Bowie (nato peraltro anche lui l’8 gennaio come Elvis, ovviamente in anni diversi). Tutta la sua arte e tutto il suo continuo trasformismo hanno veicolato anche la sua ispirazione musicale sempre diversa, ma sempre con un imprinting riconoscibile nelle sue varie fasi. Anche lui ha fatto di se stesso un’opera d’arte.

Rock & Arte è stato frutto di molte collaborazioni, l’arte nel rock è stata molte cose: una fotografia scattata al momento e all’artista giusto, una bella copertina di un album così come una locandina di un concerto o un videoclip. Non sempre, però, è stato compreso a pieno il valore artistico del rock, come si è evoluta nel tempo questa considerazione?

Ogni lato artistico legato al rock ha avuto il suo periodo di rilevanza superiore rispetto ad un altro. Forse il primo esempio è quello delle copertine perché rappresentavano il primo contatto immediato, ancor prima dell’ascolto del disco, tra gli artisti e i potenziali fan. Le copertine forse diventano importanti dal Sgt. Pepper’s dei Beatles in poi con la grande idea partorita da Peter Blake o dalla banana lisergica per Velvet Underground & Nico voluta da Andy Warhol.

Tutto però inizia da quando si diffonde maggiormente il 33 giri rispetto al 45: la possibilità di inserire più brani in uno stesso supporto fisico amplia necessariamente (e fortunatamente per noi che ascoltiamo) l’ispirazione degli artisti e di conseguenza anche i creatori degli artwork non sono da meno: non solo The Dark Side Of The Moon, ma tutte le copertine realizzate da Storm Thorgerson per i Pink Floyd sono forse l’esempio migliore in questo senso, ma anche Blake e Warhol prima non sono citati a caso perché sono inseriti in un’apposita sezione, “L’Ottava Arte”, che si occupa degli artisti e designer più versatili, influenti e creativi rispetto alla norma.

Oggi consideriamo copertine, poster, foto e tutta l’arte legata al rock come oggetti di culto e quindi da collezione. Nella maggior parte dei casi ci troviamo di fronte a vere e proprie opere d’arte, a giudicare dai prezzi che vengono battuti all’asta, dai musei in cui sono esposte e dalle mostre (David Bowie Is, Rolling Stones Exhibitionism e via dicendo) che ormai rappresentano un vero e proprio trend mondiale per l’idea di rock di questi ultimi anni.

Nel vostro libro, che per altro ha una bellissima impostazione, dalla copertina alle tantissime immagini e storie di cui il libro è pieno, si passano in rassegna tantissimi artisti che hanno cavalcato le scene del rock per molti anni. Qual è lo stato dell’arte oggi? C’è ancora questo senso artistico nel mondo del rock?

Si e ci sarà sempre finché c’è il rock e il senso artistico del rock sarà sempre figlio dei suoi tempi. C’è da un lato la “retromania” con le edizioni deluxe che spesso escono in occasione degli anniversari a cifra tonda e dove anche gli artwork vengono riproposti nella forma e nel packaging originale, ma vengono anche aggiornati con altro materiale raro e artistico, tanto quanto quello musicale. Dall’altro ci sono sempre le copertine, i poster o le foto rock di gruppi attuali, ma adesso viene diffuso il tutto principalmente tramite smartphone o social network, per cui la fruizione è cambiata ed è molto più “usa e getta”, come spieghiamo soprattutto alla fine della sezione dedicata ai poster.

Dal punto di vista dei film o della cinematografia rock forse non ci siamo mai fermati e siamo andati oltre con i tanti docufilm sul rock e sulle rockstar. In questi giorni sta uscendo poi Bohemian Rhapsody, il film dedicato a Freddie Mercury e ai Queen, e da alcuni anni nelle sale cinematografiche possiamo rivedere interi concerti, penso ad esempio tra i tanti al Celebration Day dei Led Zeppelin o The Wall di Roger Waters. Poi ci sono stati anche ibridi interessanti come 20,000 Days On Earth con uno strepitoso Nick Cave o la bellissima serie di documentari dei Foo Fighters che ha arricchito l’uscita del loro album Sonic Highways.

Secondo lei le nuove tecnologie stanno influenzando il mondo del rock? Penso alla rappresentazione che molti artisti fanno di loro stessi durante la loro quotidianità, non si perde un po’ quella sana mitizzazione che ha caratterizzato a lungo le rockstar?

Stanno influenzando il mondo del rock e continueranno a farlo, perché, come ha detto Marilyn Manson: “L’arte non è mai una cosa unica”. È vero che si perde la mitizzazione delle rockstar con l’immediatezza dei post su un social network, però sappiamo anche che le rockstar non sono diventate famose per gli algoritmi, ma per il loro talento, così come quelle del futuro diventeranno famose se avranno qualcosa di rilevante da proporre non solo per la classifica o le visualizzazioni su YouTube, ma per il loro valore artistico. Tuttavia in alcuni casi (non tutti) può essere comunque un regalo vedere subito un’esibizione dal vivo della sera precedente se i nomi sono per esempio Paul McCartney e Bruce Springsteen insieme sullo stesso palco.

Proviamo a fare un focus in casa nostra. Se devo pensare all’accostamento artistico con la musica rock mi viene in mente il progressive (debitamente citato nel libro), che forse si è avvalso di qualche disegnatore doc; poi qualche artista come Schifano, intorno al quale giravano molti personaggi del rock. Come si è comportato il nostro paese, artisticamente, verso questo movimento musicale?

Dal punto di vista del progressive molto bene perché con merito anche a casa nostra abbiamo saputo rinnovare il rock. In Rock & Arte parliamo di prog e parliamo in particolare di un grande personaggio come Gianni Sassi. Era un intellettuale, era la mente dietro la Cramps, l’etichetta fondata insieme a Franco Mamone che aveva prodotto gli Area, Finardi, Battiato e tanti altri artisti che in maniera riduttiva possiamo etichettare come prog, ma che avevano davvero qualcosa di innovativo da affermare. Lui aveva creato ad arte (è il caso di dirlo!) alcune copertine, ma riusciva soprattutto a gestire collettivi o gruppi di lavoro, magari anche solo grazie a cene in cui partecipavano allo stesso tempo John Cage, l’attrice Paola Pitagora, operai dei Cobas e altri artisti che poi venivano prodotti dall’etichetta.

Nel libro viene citata una dichiarazione di Eugenio Finardi che ricorda proprio questi momenti che divenivano grande fonte d’ispirazione anche per lui che in quegli anni pubblicava i suoi primi album. Si trattava di artisti di talento che a Milano vivevano in una situazione ottimale, anche perché erano guidati da un grande come Gianni Sassi.

C’è qualche artista o gruppo che, per motivi biografici o di altra natura, rimpiange di non aver lasciato quanto dovuto?

Forse c’è qualche artista che non è riuscito a diventare famoso per motivi diversi rispetto alla musica e rimpiange più questo. Joni Mitchell ha creato diverse sue copertine e si autodefinisce come una pittrice prestata alla musica, eppure per noi rimane soprattutto una splendida e leggendaria singer songwriter. È un discorso che affrontiamo nell’ultima sezione del libro con le rockstar che si danno ad altre forme d’arte.

Pensando alle copertine, chissà se Barry Godber, il giovane autore della copertina di In The Court Of The Crimson King dei King Crimson, avrebbe creato altri lavori così importanti, considerando che la sua unica opera a volte viene utilizzata come immagine rappresentativa dell’intero movimento prog, visto che l’album era stato pubblicato nel 1969 e per qualcuno fu quello l’inizio della nuova ondata. Quando ci ha lasciato aveva solo 24 anni…

Non penso ci siano artisti o gruppi che rimpiangono di non aver lasciato quanto dovuto.

[dt_quote type=”pullquote” layout=”right” font_size=”big” animation=”none” size=”1″]C’è chi come Bob Dylan, grazie a quello che ci ha lasciato e ci sta ancora lasciando, ha vinto un Nobel per la letteratura, sdoganando definitivamente il rock, ammesso che ce ne fosse ancora il bisogno, e sdoganando l’idea della sottocultura o della controcultura che da sempre sminuisce l’importanza storico-sociale di un movimento del genere.[/dt_quote]

Forse c’è semplicemente il rimpianto per noi di non essere riusciti a vedere cosa avrebbero potuto ancora creare tutte le rockstar che ci hanno lasciato prematuramente, ma spesso quello che ci hanno lasciato è molto di più di quanto pensiamo… arte legata al rock compresa.

Tommaso Fossella

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