Un libro che consacra l’emblema del potere, la massima icona dell’immagine dell’assolutismo, il Re sole. Un saggio straordinariamente attuale ancora oggi.
Nel 1700 il pittore Hyacinthe Rigaud, uno dei più importanti ritrattisti del suo periodo, raffigurò in un grande dipinto, (un olio su tela di 277 x 194 cm), il re francese Luigi XIV. Quel quadro divenne, forse a dispetto anche di quanto lo stesso artista catalano potesse immaginare, la più famosa rappresentazione del Re Sole e, di conseguenza, del potere.
I calzoni alla “ringravio”, decisamente alla moda, le calze fermate dalle giarrettiere che mettono in risalto le gambe di cui il re era particolarmente orgoglioso; le scarpe in seta bianca con il talon rouge, rigorosamente proibito a ogni suddito; il “giustacuore” nella parte superiore; la camicia sbuffante; l’ampio mantello regale con il ricamo di gigli d’oro su un ricco sfondo blu; la voluminosa parrucca di ricci, sono solo alcuni dei tratti salienti dei ricercati accessori indossati da Luigi XIV. Cose che diventeranno tratti distintivi di una moda che fu prima che motivo stilistico, fatto assolutamente politico, ostentazione incondizionata di potere di uno dei più grandi sovrani della storia dell’umanità.
All’immagine pubblica, alla creazione del mito del Re Sole, lo storico inglese Peter Burke, uno dei maggiori esponenti della cosiddetta storia sociale, emblematico in tal senso fu il suo saggio Cultura e Società nell’Italia del Rinascimento, che dedicò nell’ormai lontano 1992 un fondamentale e al tempo stesso incomparabile saggio che nell’edizione originale fu intitolato, e non a caso, The Fabrication of Luis XIV.
La nuova pubblicazione
Oggi, a distanza di venticinque anni, la casa editrice “il Saggiatore”, con un’operazione meritoria, ripubblica quel testo scegliendo l’icastico titolo di “Il Re Sole”.
Un lavoro che, già all’epoca, raccolse inevitabili plausi per l’indubbia originalità dettata dal taglio decisamente insolito, che lo faceva essere un unicum nel fitto e compiuto campo delle biografie dedicate al monarca francese. L’attualità, infatti, di questo saggio sta nel porsi come una lettura non meramente biografica di Luigi XIV ma come affresco straordinario del culto dell’immagine.
Burke, infatti, analizza come a partire dalla stessa infanzia, si sia sviluppato un fenomeno che ha reso già in vita immortale il re borbonico.
Quadri, medaglie, stampe, statue, monili ma anche libri, poesie, rappresentazioni teatrali, libelli agiografici e polemici, architetture, sono solo alcuni degli strumenti attraverso i quali l’immagine del divino monarca fu creata, diffusa ed eternata. Mai prima e forse dopo un uomo pubblico fu davvero tale, inserito al centro di un progetto perfetto, in cui ogni minimo dettaglio fu accuratamente studiato per non fallire e che trovò probabilmente nella realizzazione della sfarzosa reggia di Versailles, la più concreta e incredibile consacrazione, “un simbolo del suo proprietario, un’estensione della personalità, un mezzo della sua autorappresentazione”.
In una fase storica e sociale in cui l’apparire in pubblico e il culto della personalità rappresenta un altare presso il quale moltissimi esseri umani giornalmente e religiosamente si genuflettono, il saggio di Burke risulta quanto mai moderno, proprie perché sviluppa, al netto delle evidenti differenze dettate da epoche oggettivamente diverse, quelle strategie messe in atto per attuare un simile progetto che sono rimaste, nonostante tutto, pressoché invariate.
Nelle duecentocinquanta pagine di cui si compone l’opera, utilissime sono le tre appendici finali dedicate alle medaglie e all’iconografia di Luigi XIV nonché alla letteratura pubblicata contro il monarca francese.
Emerge con incredibile chiarezza, una peculiarità della storiografia inglese, la fabbricazione del Re Sole, il ruolo pubblico del sovrano francese, il suo diventare simbolo vivente, modello, icona di un’intera epoca che nelle capacità politiche ma ancor prima di un re che salì al trono a soli quattro anni, regnando incontrastato per i restanti settantadue, divenne già in vita l’incarnazione del potere assoluto, la simbiosi perfetta fra potere e sovrano, fra pubblico e privato.
Non, quindi, una semplice biografia, ma uno studio accuratissimo, svolto attraverso l’analisi certosina di tutti i tasselli che contribuirono alla creazione di un mosaico riproducente un mito in carne ed ossa. Alla nascita ma anche alla permanenza di un evento che segnò non solo la sua epoca ma inevitabilmente anche quelle avvenire. Mai prima di Luigi XIV e forse neppure dopo, un solo essere vivente ha così perfettamente incarnato il concetto di rappresentazione, inteso, in una delle sue più indicative accezioni semantiche, come “esibizione” come “immagine che riporta alla mente e alla memoria oggetti assenti”.
Con la morte di Luigi XIV nel 1715 finì oggettivamente un’epoca, quella dell’Ancien regime.
Un’epoca in cui il potere si personificava inevitabilmente con la figura del sovrano; quando i valori edificanti della futura Rivoluzione francese, libertè, egalitè e fraternitè
erano ancora parole prive di senso, pure farneticazioni. Ma con la morte del monarca non finì, comunque, il culto dell’immagine che, seppur con declinazioni diverse, rimase quanto mai vitale anche in ere successive, si pensi solamente ai dittatori del Novecento, in primis Mussolini, traendo forza proprio dal fulgido esempio di Luigi XIV.
Nessun grande uomo politico, infatti, anche quelli apparentemente più discreti e avulsi da un simile sistema, rimase, tuttavia, immune dalla forza attrattiva dell’egemonia e dalla sua più estrinseca rappresentazione. Gli stessi protagonisti della Rivoluzione non ne furono del tutto esenti. Nessuno, comunque, lo visse appieno come il Re Sole. Un individuo speciale, l’unico davvero capace forse, con buona pace di successivi e pallidi imitatori, di sposare appieno, senza timore di apparire ridicolo, l’appellativo di unto dal Signore, affiancandosi, di diritto, ai medioevali re taumaturghi, di cui si occupò per primo lo storico Marc Bloch nel 1924 con un insuperabile saggio.
Il più grande merito di Luigi XIV e della sua mastodontica ed efficiente corte, che proprio sotto le effigie del Re Sole raggiunse vette non più riproponibili, fu nel creare artificiosamente e dal nulla, un regno che agli occhi di molti, non del solo poeta Racine e dei sudditi francesi, appariva “un’ininterrotta serie di meraviglie”, un eldorado, un paradiso in terra, dal quale, però, alla fine del XVIII secolo fuggire fu inevitabile.
Maurizio Carvigno
[…] tutti i sei trattati di pace, quello stipulato nell’incanto del palazzo che il Re Sole si era fatto costruire per fuggire da Parigi ma anche per tenere sotto il suo diretto controllo la […]