Marco Damilano, giornalista e direttore de “L’Espresso”, a Bari presso la libreria Feltrinelli, presenta “Un atomo di verità – Il Caso Moro e la fine della politica in Italia “.
“Datemi da una parte milioni di voti e toglietemi dall’altra un atomo di verità, ed io sarò perdente”.
Marco Damilano, riprende questa citazione di Aldo Moro, puntando sulla potenza e la semplicità delle sue parole. Il libro esce in occasione del quarantennale del rapimento ed uccisione di Aldo Moro.
Damilano, come altri illustri personaggi del panorama culturale e politico italiano, si impegna nel promuovere in giro per la penisola la figura di Moro.
È ancora notevole il sentimento di rammarico e indignazione che muove nell’opinione pubblica e in parte dell’intellighenzia italiana. Di conseguenza continua la missione divulgativa circa la macchinazione legata alla “stagione delle stragi” . Rimangono numerose le zone d’ombra e le insabbiature sul caso non ancora svelate.
“Non abbiamo ancora rinunciato ad essere Italiani”.
Questa la risposta di Aldo Moro rivolta ad un noto politico tedesco. Moro rifiuta, infatti, una proposta di compravendita di voti al Mezzogiorno. In cambio gli viene promessa l’attivazione di nuovi siti industriali teutonici nel Sud Italia. L’onestà intellettuale e la profonda umanità in senso religioso e civile. Questi sono i tratti che maggiormente caratterizzano la visione della persona di Moro.
Lo statista è narrato amorevolmente e magistralmente da Marco Damilano anche grazie al racconto di aneddoti e visioni politiche e private.
Dove politica e quotidiano s’intrecciano. Moro agisce per allontanare quel distacco tra i poteri alti rinchiusi in fortezze inarrivabili. Strutture di potere erte sul disagio sociale della comunità.
“Che la mediazione politica non significhi oliare la macchina del finanziamento pubblico” (Aldo Moro).
Uno sguardo d’insieme dunque quello di Moro, verso quegli elettori visti soprattutto come cittadini vivi di diritti e di doveri. Marco Damilano comunica una profonda stima dell’uomo e del politico. Evidenzia come Moro e tutte le personalità coinvolte in omicidi politici e di Mafia, debbano trionfare nell’immaginario comune, come cittadini attivi nella società e non solo come “cadaveri eccellenti”.
A moderare l’incontro è Giuseppe De Tomaso direttore della Gazzetta del Mezzogiorno.
Presenti inoltre a infittire la numerosa platea accorsa per l’evento, numerosi esponenti del panorama politico pugliese passato e odierno. È importante sottolineare la presenza dell’ex vice capogruppo parlamentare del Pd Gero Grassi. Pugliese, strenuo è stato il suo lavoro durante il corso degli anni, per accertare le verità e i dubbi insoluti sul crimine di Stato. La sua attività di ricerca è sfociata nella partecipazione alla seconda “Commissione parlamentare d’inchiesta sul rapimento e la morte di Aldo Moro”. L’indagine in particolare si è conclusa a fine dicembre 2017. La relazione finale è stilata e presentata in Parlamento dallo stesso.
La rassegna stampa, la documentazione e l’archivio fotografico raccolti da Gero Grassi.
Dall’immensa operazione di analisi infine è emerso un corposo archivio di articoli giornalistici. Interventi relativi all’intero arco temporale dell’ attività politica di Aldo Moro. Sul sito dell’onorevole Grassi inoltre sono consultabili anche gli atti delle due Commissioni istituite nel 1979 e nel 2014.
Perchè operazioni come quelle di Marco Damilano e di Grassi ci ricordano soprattutto che nasce un popolo dove viene coltivata la memoria storica.
Damilano testimonia che le fonti per il suo reportage, le ha attinte principalmente dall’ “Archivio Sergio Flamigni”. Il giornalista ha potuto consultare gli originali delle “lettere dal carcere” di Moro, conservate presso l’Archivio di Stato di Roma. Per questa ragione occorre nutrire l’interesse e l’approfondimento della storia delle istituzioni politiche del nostro Paese. Per comprendere in tal modo, gli autori e le numerose cesure del rinnovamento sociale, civile, economico e penale in termini democratici dell’Italia.
Moro al governo.
Marco Damilano riporta di fatto l’attenzione sul ruolo di Moro nella concretizzazione, dei maggiori dibattiti culturali, sociali e politici dell’epoca, in leggi. A tutti gli effetti attraverso il suo intervento di mediatore come Presidente del Consiglio(1963 -1968 / 1974 -1976) incuba i primi segnali di svecchiamento nazionale. Riserva di conseguenza un occhio di riguardo alla moderazione per le diatribe tra le parti politiche dell’arco costituzionale.
Nel 1960 blocca l’esperienza, tristemente nota, del Governo Tambroni.
Inaugura successivamente una stagione di democrazia prolungata. Da allora infatti Moro lavora con Fanfani alla stagione di “apertura a sinistra” delle politiche di governo. L’Italia giova così, in questo periodo, di un forte sviluppo economico e sociale.
In un contesto che vede l’italia sfiancata dagli attentati terroristi legati alla “Strategia della tensione”.
Il Paese è in preda alla morsa del terrorismo:La “Strage di piazza Fontana”, la “Strage di piazza della Loggia”, la”Strage dell’ Italicus” ect. I tentativi di colpi di stato: il “Piano Solo” , il “Golpe Bianco” , il “Golpe Borghese” e la stagione dell’“Autunno caldo”.
Durante i governi che presiede, Moro si ritrova a fronteggiare enormi difficoltà.
Il “disastro del Vajont” nel 1963, di poco successivo alla legge per la nazionalizzazione dell’energia elettrica: la nascita dell’Enel nel 1962. L’alluvione di Firenze allarma la nazione circa l’emergenza della regolamentazione dei piani urbanistici. Occuparsi dunque della tutela del paesaggio e della vita dei cittadini.
A tal proposito Moro contribuisce alla nascita della Protezione Civile.
Allo stesso modo si deve al suo governo la legge Mancini. Proposta come freno alla massiccia industrializzazione e allo sviluppo urbanistico sfrenato di quegli anni. Operazioni spesso sventate, attribuite in particolar modo al losco operato di una parte della Democrazia Cristiana.
Le spinte rinnovatrici durante i Governi Moro.
Fin dall’inizio della sua carriera in politica, tramite il suo illluminato contributo alla stesura del testo della Costituzione, afferma la preminenza nel riconoscimento della persona sul cittadino. Moro inoltre è fautore della riforma che prolunga l’obbligo alla formazione scolastica sino alla terza media.
Aiutato dal nuovo mezzo televisivo:la Rai nasce nel 1954 dall’Eiar.
Moro s’interessa personalmente di iniziative come il programma “Non è mai troppo tardi” , condotto dal maestro Alberto Manzi. Riesce perciò a proporre una soluzione pratica al problema dell’alto tasso di analfabetismo della popolazione italiana, legato all’ambiente agrario e sottoproletario.
Marco Damilano ricorda come Moro, sia riuscito a mettere in discussione il principio di sovranità limitata che vede l’ autonomia dell’Italia, ostacolata dall’ “ombrello della Nato”.
L’Italia, come ricorda Damilano, esce dal secondo conflitto mondiale come potenza sconfitta al fianco però degli Alleati. Gli americani provvedono alla protezione militare e agli ingenti investimenti finanziari. Garantiscono inoltre una posizione di sicurezza e unità alla Penisola. Al contrario di quello che succede in Germania. Il pegno per l’Italia è un rigido, spesso illecito controllo ed intervento strategico degli Usa nei fragili equilibri politici italiani.
Moro riesce ad imporre una linea politica indipendente, intervenendo nel dibattito internazionale sulla “Guerra dei sei giorni”.
Nel 1967, come rappresentante italiano alle Nazioni Unite, conferma la linea politica indipendente del nostro Paese rispetto al conflitto. L’Italia dunque non si schiera con gli israeliani, appoggiati dagli americani. La soluzione al contrasto fra i due popoli deve partire, secondo Moro, dalla soluzione al problema umanitario dei profughi palestinesi. L’attività di mediazione con le potenze straniere, culmina con la firma di Moro alla legge sulla cooperazione internazionale del 1971. L’Italia deve tutelare certamente l’indiscussa posizione di “Paese di frontiera” fra i due blocchi continentali “post Jalta”.
“Ma la televisione ha detto che il nuovo anno porterà una trasformazione e tutti quanti stiamo già aspettando”.
Durante la presentazione Marco Damilano cita la realizzazione della più famosa delle dinamiche politiche italiane del XX sec: il “Compromesso storico” . Moro comprende difatti che uno dei principi basilari per la salvaguardia della democrazia, è l’inclusione. La solidarietà democratica, promossa da Moro già dal 1963, può accellerare il processo di rinnovamento dell’assetto istituzionale dello Stato . Intervento di cui l’Italia necessita in particolare per le riforme costituzionali. Operazione che però permane in un apparente oblio.
Il primo obiettivo è raggiungere la pacificazione e la partecipazione delle parti politiche nell’amministrazione del Paese.
Il progetto di convivenza civile delle forze politiche si realizza e si esaurisce con il “Governo di solidarietà nazionale” o “Governo della non sfiducia” . Il Pci, la seconda forza politica del paese, si impegna infatti a non dare la sfiducia a Giulio Andreotti.
Il 16 marzo 1978, quando deve verificarsi il voto di fiducia a questo governo, nato dall’impegno di Moro, avviene la strage di Via Fani.
La feroce azione di fuoco brigatista termina con la morte dei cinque agenti della scorta:Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Raffaele Iozzino, Francesco Zizzi e Giulio Rivera. Le Brigate Rosse portano a termine “l’attacco al cuore dello Stato” .
Qui s’inserisce l’oscuro capitolo della trattativa tra lo Stato e il gruppo terroristico.
Marco Damilano richiama l’attenzione sull’atteggiamento del partito democristiano, di fronte alla possibilità di salvare Moro. Giudicato infatti tramite un delirante e sommario “processo” nella “prigione del popolo” , Moro riceve la “condanna a morte” dai brigatisti . Secondo Giovanni Moro, figlio dell’allora Presidente della Dc e sociologo: “Si decise di non decidere”. Per Rino Formica del Psi: “ Non vinse il partito della fermezza ma quello dell’immobilismo”. Ogni occasione di fermento nello scenario politico e civile, in ogni caso è inutile.
Lo Stato non agisce. Ma non prende tempo per compiere delle indagini e scovare la prigione di Moro e i suoi carcerieri.
L’immagine di Moro, diffusa dalle Br, simboleggia tristemente l’aspetto dello Stato italiano in quei giorni:in maniche di camicia, l’aria stanca e lo sguardo perso, rassegnato. Le Br affondano silenziosamente il Paese, ben oltre gli atti di violenza conclamati. Con la crudele mostra di Moro in “défaillance” difatti, attaccano la virtù che più ha a cuore:la dignità. Un principio radicale che Moro intende ramificare nella società italiana.
Nei 55 giorni di “detenzione” non viene mai convocato il Parlamento nonostante la situazione d’emergenza.
I dirigenti della Dc proseguono il confronto, limitato alle sole personalità di spicco del proprio partito. Il parlamentino democristiano in ogni modo non transige sulla cieca e abietta linea ideologica della “fermezza”. D’altro canto il Pci rifiuta la trattativa per non apparire agli occhi degli elettori vicino alla corrente eversiva di sinistra.
Craxi e l’umaritarismo socialista.
L’esponente del Psi ingaggia autonomamente la linea della “trattativa”. Offre quindi uno scambio con prigionieri terroristi non macchiatisi di fatti di sangue. La soluzione umanitaria non viene appoggiata e il Presidente della Repubblica Giovanni Leone non può firmare la grazia. Marco Damilano però discute sul reale coinvolgimento umano di Craxi nella vicenda. Il giornalista difatti pone seri dubbi sull’autenticità del gesto, non privo a suo parere, di un ritorno in visibilità politica. Ritengo, vada speso comunque un ricordo alla partecipazione di Craxi, unico politico italiano presente, ai funerali di Jan Palach. Lo studente morto suicida in segno di protesta anti-sovietica alla violenta fine della “Primavera di Praga”.
Lo Stato appare straordinariamente impotente e indifeso. Incapace di proteggere i propri funzionari.
D’altronde si rivive un’epoca in cui gli enti dello Stato sono più forti del senso dello Stato. Il pensiero di Marco Damilano riflette l’esito, ad oggi fallimentare, del progetto di Moro. Il politico paga con la vita, nel momento in cui velocizza il processo di rinnovamento politico, contro la minacciosa ombra d’inerzia del suo stesso partito. La morte di Moro verifica il mancato valore della vita umana e della conciliazione sociale, politica ed economica in Italia. Testamento evidentemente non percepito neanche dalle successive figure politiche succedutesi ai vertici della politica nostrana.
Gli ipotetici tentativi per la liberazione di Moro, non dovevano rivelare sintomi di fragilità e cedevolezza della classe politica. Al contrario si ponevano come ragionevole e legittimo atto in difesa dello Stato.
Quello di Marco Damilano è il ritratto di uno dei più lungimiranti statisti italiani e non si propone come apologia. Ricorda ai lettori come Moro e altri uomini a servizio dello Stato, della pubblica sicurezza e dell’informazione, vengano privati della vita, semplicemente perché fanno bene il loro mestiere.
“Ciascuno accetti di uscire dalla scena del mondo con la gioia di aver costruito qualcosa per gli uomini e con la certezza di non finire” (Aldo Moro).
Marilù Piscopello