The Last Duel – Il Rashomon medievale di Ridley Scott è più attuale che mai

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Inizialmente atteso per fine 2020, il nuovo film di Ridley Scott è stato presentato fuori concorso alla 78° Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia ed è finalmente sbarcato nelle sale italiane il 14 ottobre 2021. La pellicola è un adattamento dal romanzo storico di Eric Jager, risultato di una ricerca basata su fonti originali, cronache ed atti legali riguardanti lo scontro all’ultimo sangue tra Jean de Carrouges e Jacques Le Gri, svoltosi in Francia nel XIV° secolo. A 83 anni, il regista torna alla regia dopo “Tutti i soldi del mondo” del 2017, con un concept che non può non ricordare il suo straordinario esordio cinematografico (I duellanti), con un adattamento sceneggiato per l’occasione da Nicole Holofcener e dalla coppia Ben Affeck-Matt Damon, vincitori del premio Oscar per “Will Hunting – Genio Ribelle“.

L’ultimo Duello di Dio

Nel 1380, i due scudieri Jean de Carrouges e Jacques Le Gri combattono fianco a fianco per il Re di Francia Carlo VI, nei territori della Normandia. Al ritorno dalle campagne del Cotentin, lo scudiero Jacques Le Gri (Adam Driver) diventa il protégé del conte e cugino del Re, Pierre (Ben Affleck), assumendo il ruolo di riscossore dei crediti e ricevendo in dono molti terreni. Uno di questi territori, Aunou-le-Facuon, doveva essere però compreso nella dote di Marguerite de Thibouville (Jodie Comer), novella sposa dell’amico Jean de Carrouges. Il rapporto tra i due scudieri inizia ad incrinarsi e degenera quando Marguerite accusa Le Gri di averla stuprata, in assenza del marito. Portando il caso di fronte al Re di Francia, Jean de Carrouges riesce nel suo intento di far decidere a Dio stesso se la moglie abbia detto il vero o il falso, attraverso un verdetto per singolar tenzone, dove i due uomini dovranno affrontarsi in un duello all’ultimo sangue.

“Mi sono sposata, sono stata una buona moglie.. e poi sono stata giudicata e umiliata dalla mia gente”

Sceneggiatura, regia e cast di grandissimo livello

“The Last Duel” vanta una sceneggiatura solida e ben studiata che, rifacendosi ad una meccanica già nota e sdoganata con “Rashomon” di Akira Kurosawa, racconta i fatti che portarono al sanguinolento duello rivivendoli per ben tre volte ma, questa volta, con gli occhi dei tre protagonisti. Interessante il fatto che, in fase di stesura, gli sceneggiatori si siano suddivisi le “versioni da raccontare”. Nicole Holofcener ha curato la stesura della verità di Marguerite, Ben Affeck per Le Gris e Matt Damon ha scritto in prima persona il punto di vista del suo personaggio: Jean de Carrouges. Nel corso dell’opera, e prima del duello conclusivo, lo spettatore rivive gli stessi avvenimenti arrivando alla realtà di quanto accaduto e riflettendo sulla menzogna che l’ego umano porta con sé. Anche grazie ad una regia puntuale di Scott, il semplice cambio di un’inquadratura o il soffermarsi per qualche istante in più sui volti nel quadro, unito alla straordinaria capacità recitativa delle parti in causa, cambia radicalmente la concezione del fatto a cui il pubblico ha assistito. Il trio di attori protagonisti si è dunque trovato nel difficile compito di adattare i propri personaggi a seconda della soggettività del “narratore”, cambiandone l’interpretazione e l’essere. Una visione “pirandelliana“, dove Jean de Carrouges si trasforma da amorevole marito a uomo orgoglioso e superbo, dove lo scudiero di Adam Driver (che rivedremo diretto da Scott a breve in “House of Gucci“) passa dall’essere il brillante galantuomo che si crede, ad usurpatore nonché colpevole di una violenza carnale ai danni di Marguerite. Quest’ultima che ha il volto dell’astro nascente Jodie Comer, qui al terzo ruolo cinematografico e recentemente al fianco di Ryan Reynolds in “Free Guy”, vincitrice dell’Emmy Award per “Killing Eve”, sarà nuovamente alla corte di Ridley Scott in “Kitbag”, quale Josephine de Beauharnais, moglie di Napoleone Bonaparte. Il suo è il ruolo cruciale della narrazione, attraverso il quale lo spettatore viene a conoscenza del reale svolgimento dei fatti e dei veri volti dei protagonisti, spogliati dall’egocentrismo del credersi nel giusto e del diritto di possesso del corpo femminile.

Non siamo più nel Medioevo, però..

Con la rappresentazione cinematografica dei fatti che portarono all’accusa di Marguerite de Thibouville, viene portata a schermo e fatta conoscere al grande pubblico, la prima donna della Storia a denunciare uno stupro. Siamo in un tempo dove la figura femminile non era altro che un oggetto da possedere che portava con sé una dote (denaro, terreni e possedimenti), e la cui unica funzione era di consentire un proseguimento della dinastia dell’uomo. Il fatto che Le Gri non venga accusato di aver violentato la donna in quanto tale, ma di aver usurpato una proprietà altrui, è evocativo di quanto raccapricciante fosse la situazione. Marguerite è infatti l‘unica che viene umiliata, sottoposta ad un vero processo dovendo rispondere a domande fuori da ogni logica e similari a quelle che possiamo ascoltare oggigiorno. “È sicura che non sia stata Lei a provocare Le Gris?”, “Ha provato piacere durante l’atto?“, “In passato aveva descritto Le Gris come un bell’uomo, è vero?“, sono alcune delle domande che verranno sottoposte alla donna e che non verranno ascoltate o prese in considerazione. Il giudizio è, nel film e nei fatti realmente accaduti del passato, lasciato a Dio che muoverà la spada di chi sta nel giusto, davanti ad una folla bramosa di sangue. Esattamente come oggi, assistiamo ad un vero processo mediatico dove le vittime di questi abusi, finiscono per esserlo due volte, in pasto al giudizio di tabloid arrivisti ed ottuse visioni dei singoli.
I 150 minuti di narrazione scorrono veloci portando ad un finale potentissimo, ricco di quella volatilità di pensiero, di bugie raccontate a sé stessi e agli altri per il raggiungimento di fini personali ed egoistici. Tutte tematiche sulla soggettività del concetto di verità stesso che non può che riportarci nuovamente a “Rashomon“.

Ridley Scott porta dunque lo spettatore in un Medioevo sporco e brutale dove il sangue, l’arrivismo e la possessività la facevano da padroni; in una Francia di fine XIV° secolo in cui una donna è stata usata dal suo aggressore e dal suo stesso marito, non creduta e sacrificata per la riabilitazione di un nome. Stiamo parlando di fatti che hanno portato ad un duello all’ultimo sangue avvenuto nel 1386 ma che, drammaticamente, parla del nostro tempo. In tre parole, numero ricorrente nell’opera: un film eccezionale.

Michele Finardi

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IL VOTO DEL PUSHER
Regia
Sceneggiatura
Interpretazioni
Area Tecnica
Michele Finardi
Planner di salotti cinefili pop fin dalla tenera età, vorrei disperatamente vivere in un film ma non riesco a scegliere quale!
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