Figli, l’ultimo film di Mattia Torre

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Figli è un film con Paola Cortellesi e Valerio Mastandrea che porta sulle proprie spalle un’importante eredità.

Se si vuole, è il concetto stesso di eredità, di un lascito sulla Terra il cuore pulsante dell’ultima pellicola del compianto Mattia Torre, scomparso prematuramente prima di riuscire a ultimare il lavoro di cui ha firmato la sceneggiatura e che avrebbe dovuto vederlo anche dietro la macchina da presa.

Figli è un racconto bellissimo e di un’immensa umanità, che partendo con delicatezza da un nucleo familiare traccia il contorno delle speranze e delle fobie di un’intera società. Nel film Paola Cortellesi e Valerio Mastandrea vestono i panni di una piccola coppia borghese tra mille tic ed ansie. La nascita di un secondogenito irrompe nella precaria stabilità trovata rimescolando tutte le carte in tavola. E’ un affresco dell’Italia dei nostri tempi, dal particolare al generale, dove il concepire un figlio è qualcosa di più.

E’ la scesa a patti con la consapevolezza che lo stesso atto d’amore è un atto di coraggio in un Paese che agli occhi di Torre appare completamente disinnamorato delle sue bellezze, dalla politica al patrimonio artistico. Figli è uno spaccato che entra ed esce da una finestra di un palazzo romano in punta di piedi. Osserva con geniale ironia (amerete la scelta della beethoviana ‘Pathetique’) gli alti ed i bassi di una comune vita di coppia. I 50/50 a volte sono più 60/40, o addirittura 70/30, ma è un gioco di rovesci e calibrazioni tra esasperazione e pediatre guru costosissime.

Si passa anche per il rapporto con il passato con il quale certe generazioni sembrano non aver mai fatto i conti.

La stratificazione sociale che si fa scarto generazionale tra l’epoca dei ‘boomers’, ultimi detentori di privilegi come la pensione, ed i quarantenni eterni giovani di oggi, a loro volta distantissimi dai cosiddetti ‘millenials’. Il racconto che si fa, a tratti, addirittura grottesco delinea alla perfezione un procedere che diventa alla cieca quando destabilizzato da una piccola, grande anomalia. E quindi è il rimanere la chiave per andare avanti, resistendo alle tentazioni di volare fuori da una finestra aperta.

Il plauso della riuscita di Figli va riconosciuto anche a Giuseppe Bonito, alla sua seconda regia. E’ atto di coraggio anche il caricarsi con onore di un compito inevitabilmente gravoso come terminare un lavoro come questo. Perché se il film porta su di sé il nome di Mattia Torre, Bonito non rinuncia ad imprimere una marca stilistica riconoscibile e genuina. E deve, senza dubbio, aver trovato nelle puntuali indicazioni di una brillante e certosina sceneggiatura un valido alleato nella riuscita della pellicola.

Figli è un film che va visto per una miriade di ragioni differenti, dalla sua irresistibile ironia al suo parlare all’Italia di oggi. Non possiamo far altro che consigliarvi di recuperarlo al cinema a partire dal 23 gennaio.

Alessio Zuccari

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