La fiera delle illusioni – Nightmare Alley: quando il mostro c’è ma non si vede

la fiera delle illusioni recensione film

Nel caso in cui ce ne fosse bisogno, e purtroppo sembra che ultimamente ce ne sia, è Martin Scorsese a ricordarci di non lasciarci sfuggire l’ultimo lungometraggio di Guillermo del Toro. Un cineasta che, utilizzando le stesse parole del regista newyorkese: “mette nei suoi film un amore e una passione che non ha semplicemente bisogno del nostro sostegno. Se lo merita.

Guillermo del Toro ha infatti la straordinaria capacità di portarci all’interno delle sue narrazioni fantastiche non appena, come per magia, le luci della sala cinematografica si spengono. Che siano fiabe fantasy, come gli indimenticabili Il labirinto del fauno e La forma dell’acqua, o che abbiano una derivazione fumettistica (i due Hellboy, Blade II e Pacific Rim), il suo cinema è costellato da un’anima gotica inconfondibile che, volta dopo volta, pare funzionare come una vera e propria macchina del tempo e portale per nuovi mondi da scoprire.

Un ritorno al passato che con La fiera delle illusioni non avviene unicamente tramite influenze e ambientazioni, ma che rimanda inevitabilmente a quel primo omonimo adattamento del romanzo di William Lindsay Gresham (Nightmare Alley), diretto da Edmund Goulding nel 1947. Un noir visionario che il regista messicano omaggia chiaramente, spesso citandolo sequenza per sequenza, invitandoci a riscoprirlo anche attraverso questo suo ultimo lavoro, distribuito nelle sale italiane dal 27 gennaio 2022, ben scritto e magnificamente diretto, capace di ingannarci fin dal primo minuto.

Ti darò il mondo e ciò che contiene

Stanton Carlisle (Bradley Cooper) è intenzionato a lasciarsi un passato misterioso alle spalle e, per puro caso, s’imbatte in un circo ambulante dove ha l’occasione di ricominciare. In breve tempo, diventerà imbonitore per la cartomante Zeena (Toni Collette) e il vecchio mago Pete (David Strathairn), chiedendo a quest’ultimo di insegnargli i trucchi del mestiere. Innamorato e ricambiato dalla riservata e dolce Molly (Rooney Mara), Stan la convince a lasciare la compagnia promettendole fortuna e una nuova vita felice. L’idea è semplice: mettere in scena un nuovo numero come mentalista a New York, utilizzando i trucchi appresi dal mentore. In soli due anni, la coppia riesce a esibirsi nei club dell’élite cittadina ma, durante una performance, verranno interrotti dalla psicologa Lilith Ritter (Cate Blachett) intenzionata a smascherarli. Quell’incontro sarà fatale per il protagonista che, sempre più avido e arrivista, mostrerà la sua vera natura.

Uomo o bestia?

Seppur Guillermo del Toro, decidendo di adattare nuovamente il romanzo di Gresham, metta da parte l’elemento fantastico e soprannaturale, non accantona minimamente la coerenza con la sua poetica di confronto con il mostro e la definizione dello stesso.

Fin dalle prime stupende sequenze all’interno del circo, dove la regia sempre in movimento del cineasta segue il nostro errante protagonista non lasciandolo mai solo, ci viene mostrato come dietro ogni numero, dietro ogni storia ci sia una menzogna. Non c’è nessun uomo-bestia, ma solo un disperato ubriacone che non mancherà a nessuno; nessuna capacità di leggere nel pensiero, ma soltanto uno schema ferreo di comunicazione verbale e non verbale tra complici. Il “trucco” sta nel portare lo spettatore pagante (nel quale ovviamente ci siamo anche noi) in un luogo sospeso, lontano dal mondo che possiamo toccare e che siamo abituati a vedere, lasciando che ci venga mostrato un qualcosa di straordinario, a cui vogliamo credere.

La “macchina cinema” è anche questo e, a muoverne i fili, troviamo un abile illusionista messicano, capace di portare lo spettatore a creare un’immediata connessione con Stan, interpretato da un onnipresente Bradley Cooper. Se tra il pubblico dei numeri di Zeena e Pete “c’è sempre un rapporto problematico con un padre o una madre”, per chi è in sala c’è sempre il desiderio di tracciare una proiezione empatica con il protagonista in cerca di riscatto. Bello, astuto e con una parlantina capace di incantare, non possiamo che credere alla bontà d’animo di Stan che, per tutta la prima parte della narrazione, è intento a darsi da fare per migliorare la propria situazione e a conquistare l’innocente Molly.

Il primo e dilatato atto si interrompe con un evento scioccante che porterà la nostra coppia d’innamorati lontana dal circo, da quel micro-cosmo dove tutto è possibile, e dritta tra le grinfie dell’arrivismo cittadino. Tuttavia, non possiamo stupirci della progressiva perdizione del nostro mentalista quando, fin dai primi minuti, eravamo stati ammoniti messi in guardia. Ecco dunque che l’illusione nella Casa degli Specchi non è un riflesso deforme ma la vera essenza dell’uomo posto dinnanzi al vetro. Il mostro c’è ma non si vede, annidato dentro l’animo umano e impossibile da notare a una prima occhiata.

Un noir d’altri tempi

Nightmare Alley è composto da due differenti volti che porterà lo spettatore sempre più vicino alla vera natura delle parti in causa, in un gioco di atmosfere magnificamente coordinato dal direttore della fotografia Dan Laustsen. I toni verdognoli e cupi dello storico collaboratore di Guillermo del Toro, irrompono in scena per mostrare i lati più oscuri dei protagonisti, prima in chiave quasi onirica nella sezione circense, poi facendo decadere quella patina avvolgente art déco della seconda parte dell’opera.

Non ci si può salvare dalle conseguenze delle proprie azioni, qui rappresentate dall’inquietante occhio del feto deforme Enoch che non manca di seguire incessantemente il nostro imbroglione. Le impalcature scenografiche e sociali crollano minuto dopo minuto, portando a galla un malessere capitalistico, dove il denaro e l’inganno sono le chiavi per il successo ma, al tempo stesso, la via per la perdizione. Le maschere vanno in frantumi, il passato ritorna e non c’è redenzione per i propri peccati: l’anima noir della narrazione divora ogni cosa.

Un film Cooper-centrico

Una costante delle 2 ore e 20 della pellicola, è il dominio incontrastato di Bradley Cooper. Il film si regge quasi interamente sulla lotta del nostro protagonista di ingannare se stesso e gli altri, riguardo il suo essere una persone meritevole di fiducia prima e di mostro poi. L’attore di Philadelphia dimostra l’ennesima grande prova anche se, ripensando al minutaggio, dispiace che non siano state approfondite figure altrettanto interessanti.

Non possiamo dunque non rammaricarci del fatto che un personaggio quale Molly, perfettamente aderente alla poetica di del Toro quale pura di cuore, non abbia avuto il giusto tempo a schermo nella seconda metà dell’opera, dove tutto è sacrificato per la caduta nell’oblio del nostro protagonista. La scelta di Rooney Mara è vincente, dove la carnagione chiara, la fragilità e l’espressione innocente di lei vanno a contrapporsi con il fisico robusto di Bradley Cooper e del suo ruolo di falso candido. Sono opposti che non potevano che attrarsi a vicenda, ricercando l’uno nell’altra quel qualcosa che non possedevano: lui la purezza, lei la caparbietà. Purtroppo, il loro rapporto viene completamente messo in secondo piano con l’entrata in scena di una calamitante Cate Blachett nei panni di Lilith Ritter.

La psicoterapeuta della New York facoltosa è la femme fatale della pellicola di del Toro che, come in ogni noir che si rispetti, non è mai totalmente sincera. Così come il protagonista, anche lei ha una duplice natura ma, a differenza di Stan, non ha scheletri nell’armadio, non viene dalla strada ed è perfettamente consapevole delle regole dell’alta società dove mangi o vieni mangiato. Il mentalista non potrà che essere attratto anche da questa donna, che anch’essa ha qualcosa che a lui manca (la consapevolezza sulla sua identità) e ha i mezzi per distruggerlo. Stan cade così vittima di in una trappola che si è costruito da solo, desiderando inconsciamente di mostrare il suo vero volto e la verità sul suo passato a qualcuno.

Quest’ultima opera del regista messicano è una giostra su cui, al termine della visione, si ha il desiderio di risalire nuovamente, consapevoli di essere stati ingannati a una prima visione, vittime di un gioco di specchi e non detti.
Colui che ha fatto delle tinte horror e gotiche il suo marchio di fabbrica ci riporta nell’essenza di un genere sempre più ai margini, chiedendoci di riscoprire quelle narrazioni che hanno fatto grande il cinema, immortali chiaroscuri rivelatori della vera forma della società.

La fiera delle illusioni – Nightmare Alley è un’altra grande perla all’interno della fantastica filmografia di Guillermo del Toro. Ritornano i freaks e ritorna il mostro ma, questa volta, non possiamo notarlo a una prima occhiata e, proprio per questo, la bestia fa ancora più paura.

Michele Finardi

IL VOTO DEL PUSHER
Regia
Sceneggiatura
Interpretazioni
Area tecnica (trucco, costumi, luci, effetti speciali)
Michele Finardi
Planner di salotti cinefili pop fin dalla tenera età, vorrei disperatamente vivere in un film ma non riesco a scegliere quale!
la-fiera-delle-illusioni-nightmare-alley-recensioneGuillermo del Toro mette da parte il fantastico, mostrando la vera natura dell'animo umano quale mostro assetato di potere, denaro e influenza sul prossimo. Un secondo adattamento del romanzo Nightmare Alley che ci porta a riscoprire il genere noir e quelle narrazioni fatte di inganni e manipolazioni che non lasciano scampo. Magnificamente girato e ben interpretato è una pellicola che va gustata sul grande schermo.

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