La forma dell’acqua: l’inno alla diversità dai contorni fiabeschi

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Guillermo Del Toro cerca da anni di realizzare un film su La Bella e la Bestia. E, sapendo che gli amori fanno dei giri immensi e poi ritornano, quell’idea non l’ha mai abbandonata. Solo leggermente modificata, ecco.

The Shape of Water è una fiaba fantasy nel perfetto stile di Del Toro. E quando dico nel suo perfetto stile, lo affermo con cognizione di causa: pur essendo una favola, pur essendo una storia d’amore, il film non nega mai sangue, orrore, momenti terrificanti, nudità o momenti all’apparenza piuttosto disgustosi.

La visione del regista messicano, insomma, è al suo massimo. Può piacere o non piacere, indubbiamente, ma non bisogna negare a questo autore la coerenza e soprattutto l’affetto sincero per le creature che popolano il suo universo, mentale prima e cinematografico poi.

Naturalmente, è una storia per cui va accettata molta sospensione dell’incredulità, al netto dei richiami estremamente fedeli al mondo del fiabe. E ciò include i ruoli di cattivo, di damigella dal salvare, di aiutanti sfortunati e Cenerentole che puliscono.

Ma oltre la connessione emotiva alla semplice storia, la forza di The Shape of Water risiede nei personaggi. Tutti, senza distinzione. Grazie ad un cast altisonante, caratterizzando ogni sua figura, The Shape of Water svela il vero messaggio di Del Toro: un grande, grandissimo inno alla diversità. Questa favola, tra omaggi al passato e una costruzione scenica impeccabile, è una parabola sull’accettazione del diverso, dell’altro, di colui che per qualsiasi motivo, quasi sempre stupido e malvagio, è rigettato. Una storia in cui due personaggi si trovano tra di loro, si completano e si sentono insieme finalmente accettati. Amore, sì, ma dalla fondamentale impronta sociale e contemporanea.

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Emanuele D’Aniello

Malato di cinema, divoratore di serie tv, aspirante critico cinematografico.

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