The Circle, una finestra sul nostro imminente futuro

the circle

Chiudere il cerchio non è solo un obiettivo geometrico oppure un modo di dire.

Cercare nella vita di chiudere il cerchio vuol dire raggiungere la perfezione. Fare tutto ciò che vorremmo fare. Conoscere tutto ciò che c’è da sapere.

Eppure, anche una figura perfetta come un cerchio chiuso ha i suoi spigoli. Non si vedono magari, ma sono molto più che impercettibili. Perché nella vita umana la perfezione non esiste, per quanto possa essere ambita. Non possiamo fare tutto, non possiamo conoscere tutto.

E diciamolo a chiare lettere: per fortuna.

Il romanzo originale di Dave Eggers ed ora l’adattamento cinematografico di James Ponsoldt, molto fedele nella trasposizione eccetto il finale (ci arriviamo dopo), ci raccontano questo. Ma lo fanno ben ancorati alla realtà, ovvero prendendo spunto dalla tecnologia, dai populismi, dalle storture della modernità.

Seguendo la distopia classica, mettendosi in una via di traverso tra 1984 e tutta la tradizione orwelliana e The Truman Show per quanto concerne il cinema, The Circle mostra cause, effetti e conseguenze dell’invasione tecnologica moderna e soprattutto di come essa possa essere facilmente asservita al potere. E’ un futuro prossimo, ma pare davvero possa essere domani. Dopotutto c’è già chi in tutto il mondo urla per la totale trasparenza, senza vedere più in là del proprio orizzonte.

E’ innegabile non vedere come spunto di partenza, poi, un universo come quello di Facebook, o di altri social network.

Lo ha pensato Eggers, lo ha messo in pratica Ponsoldt, nella messa in scena della società protagonista sembra di stare all’interno degli edifici di una qualsiasi corporazione della Silicon Valley. E nelle presentazioni entusiaste ma totalmente informali dei vari progetti rivediamo la tradizione della Apple inventata da Steve Jobs. Ma The Circle, romanzo e film, non hanno mai voluto criticare tali aziende o tali modi di fare. Il loro è semplicemente un inevitabile esempio, facile da comprendere per tutti. Semmai la critica è appunto rivolta a chi ne approfitta di tale beneficio moderno, a chi travalica i propri ruoli.

Da buona tradizione distopica, la critica di The Circle è pienamente rivolta alla società. Alla nostra società, che quando si infatua di qualcosa l’abbraccia con cieco furore.

In questo, il film mantiene intatta la caratteristica primaria del romanzo: è inquietante. Ponsoldt è un bravissimo regista che sa girare con efficacia e solidità i propri film, senza eccessi e senza estetismi di stile fini a sé stessi, e soprattutto sa centrare sempre lo spirito emotivo del proprio racconto. The Circle, dall’inizio alla fine, non smette di spaventarci e ricordarci che ciò a cui assistiamo potrebbe avvenire subito. Non c’è thriller, sia chiaro, ma una sana tensione verso i pericoli della vita vissuta attraverso uno schermo.

A ciò collabora certamente altro. La perfetta colonna sonora di Danny Elfman, che si cala in una musica elettronica efficacissima e per lui quasi insolita. Soprattutto la presenza costante in ogni scena di Emma Watson, il cui corpo minuto e l’aria sempre fresca sono assolutamente in parte per costruire un personaggio innocente e per questo più malleabile. Il film però si perde un po’ tempo nell’eccessiva fedeltà al romanzo, quando avrebbe potuto gestire meglio altri caratteri (John Boyega è praticamente una comparsa, Tom Hanks e Patton Oswald potevano essere benissimo amalgamati in un unico personaggi) ed in un paio di momento un po’ troppo didascalici, inutile negarlo.

E poi, appunto, arriva il finale.

Non voglio naturalmente spoilerarlo adesso, ne’ quello del romanzo ne’ quello del film. Ma se Eggers seguiva fino in fondo il solco orwelliano, optando per un finale che lasciava i brividi, Ponsoldt sceglie la strada hollywoodiana con un finale più paradigmatico e utopico. Quantomeno, quest’ultimo non abbandona il senso di angoscia e l’importanza della domanda fondamentale di tutto: vale la pena rinunciare alla privacy? Vale la pena cambiare la privacy personale e quella delle nostre stesse democrazie?

E’ un quesito vitale, perché potremmo essere chiamati a rispondere molto presto.

.

Emanuele D’Aniello

Emanuele DAniello
Malato di cinema, divoratore di serie tv, aspirante critico cinematografico.

COMMENTA QUESTA DOSE DI CULTURA

Lascia un commento!
Inserisci il tuo nome qui