La Donna dello Scrittore, ieri e oggi stranieri in terra straniera

la donna dello scrittore

Quando si approccia la visione di un film tedesco, il pensiero stereotipato è sempre il solito: “oddio, l’ennesimo film sulla guerra, sui nazisti”. Onestamente, c’è da dire che spesso ci si azzecca. E, attenzione, anche La Donna dello Scrittore è un film sulla guerra e sulla Germania del 1940. Ma qui, però, entra in scena il colpo di genio che lo rende unico e originalissimo.

In poche parole, entra in scena il cinema.

Solo l’inventiva e le enormi possibilità che il cinema offre possono regalare un cambio di prospettiva così radicale, pur adattando un romanzo. Il regista Christian Petzold, ormai stanco di ricostruzioni storiche e film sulla guerra, ha deciso di traslare il 1940 ai giorni nostri. Così abbiamo un film ambientato nel 1940 con i nazisti, nella Francia invasa e occupata dai tedeschi, ma girato ai giorni nostri, con l’abbigliamento contemporaneo, le scenografie contemporanee, i locali di oggi, le macchine moderne che passano per strada. Non la tecnologia, quella no, perché quello è l’apice dell’anacronismo.

Una semplice mossa di ambientazione spostata che rende il film quasi sperimentale, sicuramente concettuale, e aumenta la sua debordante efficacia. Il regista invita così lo spettatore a ritrovare, purtroppo, il suo e nostro mondo dentro il 1940 anacronistico de La Donna dello Scrittore.

Che titolo orrendo, c’è da dire. Che traduzione completamente fuorviante La Donna dello Scrittore. Non è una storia d’amore tragica, come si potrebbe pensare. Non è una melodrammone, come il titolo italiano vorrebbe suggerire. Al centro non c’è una donna, non c’è nemmeno uno scrittore. Bensì, al centro c’è il tema dell’immigrazione, ieri come oggi. E allora il titolo originale Transit è ovviamente più adatto e sensato.

Quello che La Donna dello Scrittore ritrae è un mondo bloccato, cristallizzato in una perpetua indeterminatezza sociale e personale.

I personaggi del film sono letteralmente sospesi in uno spazio vuoto, un buco nero che non permette loro di tornare indietro o andare oltre. Lo stato di sospensione, in questo caso, è uno stato di solitudine e annullamento individuale: le persone in transito, che per definizione è solo uno spazio di passaggio, non uno spazio definitivo, non sono più persone perché non riescono a vivere una vita.

La situazione dei rifugiati, bloccati dentro un confine, bloccati nel loro status personale, è il disagio che la storia non riesce ad abbandonare. I rifugiati ci sono sempre stati, ci sono e sempre ci saranno. Il film, storicizzando il contesto ma togliendo al tempo stesso la storia dall’ambiente, crea un limbo nel quale sembra che i personaggi non vogliano nemmeno muoversi. Il non avere una casa nel presente, l’aver abbandonato una casa nel passato, e non sapere quale sarà casa nel futuro, trasforma queste anime in transito in blocchi di marmo che non sanno nemmeno più comprendere i propri sentimenti.

Peccato per qualche sottolineatura di troppo nel film, a cominciare da un voice over francamente asfissiante. Per quanto sia chiara l’idea di traslare la figura del narratore in noi spettatori, che comodi da casa guardiamo i rifugiati bloccati, questo strumento spezza i silenzi molto più adatti ad una storia simile.

Eppure, nonostante questo grande difetto, La Donna dello Scrittore rimane uno dei film più efficaci visti recentemente sul tema immigrazione. Lo è perché, prima di costruire la storia, capisce e costruisce uno stato d’animo. Prima di interessarsi alle vicende personali dei personaggi, si interessa alle vicende dei personaggi quali simboli.

Un film che annulla il tempo per una vicenda (purtroppo) senza tempo.

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Emanuele D’Aniello

Emanuele DAniello
Malato di cinema, divoratore di serie tv, aspirante critico cinematografico.

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