“Il cinema è qualcosa che sta a metà strada tra la meccanica di precisione e la tratta delle bianche”
Titolo originale: La tratta delle bianche
Regista: Luigi Comencini
Sceneggiatura: Luigi Comencini, Antonio Pietrangeli, Luigi Giacosi, Ivo Perilli, Massimo Patrizi
Cast principale: Eleonora Rossi Drago, Marc Lawrence, Ettore Magni, Vittorio Gassmann, Silvana Pampanini
Nazione: Italia
Anno: 1952
Al porto di Genova Machedi gestisce un traffico di ragazze. La tenace Ada riesce a sottrarsi con l’aiuto del compagno Carlo, il quale sarà tuttavia coinvolto in un furto che segnerà le sorti di entrambi…
Luigi Comencini e il melò
Capitolo eccentrico nella filmografia di Luigi Comencini, sequel ideale o, piuttosto, deliberatamente variato di Persiane chiuse (1950), La tratta delle bianche costituisce un inedito crocevia di soluzioni narrative, la messa in atto di una ristrutturazione tematico-produttiva che coinvolge il cinema italiano all’inizio degli anni Cinquanta. Pensato e riletto – in special modo a posteriori – come seconda parte di un dittico melò, il film si discosta dal precedente per un’attenzione tutta formale alla «forza dei set» [1], sintomo di un linguaggio in parte algido eppur mai tendente all’esercizio formale.
I set urbani di Comencini
La volontà di adesione alle proprie storie induce Comencini, piuttosto, alla ricerca di soluzioni altre per porsi al servizio di una trama già data, confezionata attorno a una protagonista ‘sicura’ (Eleonora Rossi Drago) e ancora una volta prossima al tema della prostituzione. Animato da una ripulsa del compromesso, nonché intimamente avverso alle riproposizioni tout-court, il regista sposta dunque l’attenzione sul piano ‘spaziale’, illuminando con chiaroscuri la preminenza di set urbani potentemente «sospesi tra ipermodernità e degrado» [2].
Disgregazione del neorealismo
La scelta, oltre a marcare il distacco dall’organizzazione ‘musicale’ di Persiane chiuse (individuata da Morreale nel crescendo di sequenze forti, dal tabarrin al ritorno a casa [3]), segna i confini di una ‘zona grigia’ entro cui l’opera prende forma, incastonata tra immaginario noir e suggestioni espressioniste. Sebbene l’ibridismo sia in parte condiviso dal film precedente, La tratta delle bianche interpreta con maggiore vigore quello sconfinamento di genere che investe la pratica neorealista nei suoi aspetti semantici e sintattici [4], trasformando il ‘prodotto’ meno amato dal regista [5] in un terreno d’analisi dalle molteplici implicazioni.
Tra noir e melò
Realizzata, anzitutto, a seguito di un radicale ripensamento del melodramma contemporaneo, l’opera di Comencini conserva i sovratoni dialogici del filone “matarazziano” [6] per poi virare con decisione verso il linguaggio ‘inquieto’ del cinema muto. A impreziosire il lavoro d’incastro – in un «pout pourri multimediale» [7] segnante persino le dinamiche narrative – concorre l’innesto sul materiale neorealista, già compromesso nei suoi elementi-base dall’influenza del noir e della letteratura poliziesca.
Suspense e sguardo di donna
Oltre a Houston, Hawks, Dassin [8], lo sguardo comenciniano si estende a quel cinema interessato ai «meccanismi della suspence» [9], sovente affidati – nella loro funzione scandagliante – a un occhio femminile volutamente statico. In perenne bilico tra intimità e orizzonte sociale, il personaggio-donna del film è, come in Persiane chiuse, il residuo più evidente dell’eredità melò. Chiamato in causa per indagare «temi sordidi quali il crimine, il vizio, la prostituzione» [10], esso fornisce allo spettatore un rassicurante spettro di divisioni manichee, in cui il guazzabuglio emotivo della vita lascia il posto alla spartizione tra buoni e cattivi.
Luigi Comencini “sperimentale”
La mescolanza tra neorealismo e noir, d’altro canto, impone la giustapposizione di componenti inconciliabili, sicché ai malfattori in trench e gessato s’oppongono irrimediabilmente i borgatari a la Lizzani (si veda Ai margini della metropoli, 1953, di poco posteriore). La ricomposizione di moduli narrativi canonici permette comunque a Comencini di mostrare alcune delle soluzioni formali «più “sperimentali” della sua carriera» [11], dando vita a un impianto figurativo oltremodo originale.
Aspetti figurativi
Lontana dall’esornazione fine a se stessa, la macchina del regista effettua dei movimenti in profondità che ammantano il proscenio d’efficaci sfumature. L’atmosfera cinerea e plumbea avvicina Genova «a un sobborgo della Chicago degli anni Venti» [12], mentre lo stacco iniziale sulla partita di pelota mostra giocatori bianchissimi stagliati su uno sfondo d’assoluta oscurità. Questa continua alternanza di luci e ombre fotografa efficacemente l’intenzionale assenza di chiaroscuri nell’impianto narrativo.
Buoni vs cattivi
In La tratta delle bianche contenuto e aspetti figurativi procedono di pari passo, dando vita a una compattezza finale difficilmente riscontrabile nelle prove coeve. La schematica ripartizione in buoni e cattivi (cui corrisponde, sul piano formale, quella in bianchi e neri) s’incarna – come accennato – nello sguardo che fissa l’antitesi tra sfruttatori e sfruttati.
Luigi Comencini osservatore della società
Qui vien fuori il Luigi Comencini dell’attrazione verso i margini, l’autore sapientemente teso all’osservazione della società. Mediante i ritratti autentici (seppur ingenui e schizzati) delle protagoniste dell’opera, il regista conduce un’indagine impietosa sui miti della civiltà del benessere. In una fase di ricostruzione che già si fa smantellamento, i bisogni materiali si fondono con le illusioni, mentre il marchio dell’oppressione segna in maniera indelebile ogni tentativo di riscatto.
L’impronta di Pietrangeli
A farne le spese, secondo un destino di «flagelli subiti», le donne che pur tentano di sottrarsi a un avvenire già scritto. La figura di Alda (Rossi Drago) risente in tal senso della scrittura di Pietrangeli, co-sceneggiatore del film e attento osservatore dell’universo femminile. Pur senza riproporre i fragili equilibri dei suoi personaggi, il cineasta romano investe la giovane comenciniana del peso delle trasformazioni economico-sociali, stabilendo un cronotipo collegamento di sopraffazione e soprusi.
La gara di ballo come allegoria sociale
In una dimensione spazio-temporale immobile, la vicenda di Alda denuncia l’ineluttabilità di un ruolo pre-stabilito, cui taluna si sottomette come alle regole di un macabro, odioso gioco. E in quest’ottica che la maratona di danza diviene catalizzatore degli elementi della storia. Interpretata da Gili come «l’espressione simbolica di una società» che oppone ricchi e poveri [13], la gara è in realtà un perfido strumento di possesso, in cui ogni differenza tra l’agire di Machedi (Mark Lawrence) e quello dell’innamorato Carlo (Ettore Manni) è appiattita su un unico paradigma culturale.
Un’opera da riscoprire
L’oggettivazione sessuale – passata attraverso lo sguardo del protettore e del futuro marito – s’impianta inoltre nella promessa del sogno divistico, vera e propria tratta delle bianche per giovani squattrinate. Contrariamente allo spazio riservatogli nelle bibliografie, l’opera in questione rappresenta una delle prove più interessanti del cinema di Luigi Comencini, capace di restituirne il carattere poliedrico in costante tensione tra pessimismo e moralità.
Tre motivi per vedere il film:
- Il cast stellare: Eleonora Rossi Drago, Silvana Pampanini, Sophia Loren (ancora Lazzaro), Vittorio Gassmann, Enrico Maria Salerno
- La musica
- La sfumatura impressionista che mai più riprodotta
Quando vedere il film:
Dopo Persiane chiuse, ovviamente. Si raccomanda anche la visione di Anna di Lattuada e di Tombolo, paradiso nero di Ferroni.
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Note (prima parte)
[1]. E. Morreale, Così piangevano, Roma, Donzelli, 2011, p. 249.
[2] Ivi, p. 254.
[3] Ivi, p. 253.
[4] Si veda a proposito R. Altman, A Semantic/Syntactic Approach to Film Genre, in “Cinema Journal”, 23, III, primavera 1984, pp. 6-18.
[5] Notoriamente ostile a lavorare più volte sui medesimi temi, il regista dichiarò di non aver «mai visto terminato» La tratta delle bianche, giacché farlo lo «aveva agghiacciato»: «Ci avevo messo una cosa che mi piaceva, una maratona di danza come in They Shoot Horses, Don’t They?. Volevo centrare tutto il film su questa maratona, ma i produttori Ponti e De Laurentis, sempre cottimisti, volevano, dopo il successo di Persiane chiuse, un altro film “sulla prostituzione”. Di solito quando c’è un conflitto col produttore, io sbaglio il film. In questo caso, doveva essere un film piuttosto discontinuo». (L. Codelli, Entretien avec Luigi Comencini, in “Positiv”, 156, febbraio 1974, p. 7. Per la traduzione italiana ho attinto a T. Masoni – P. Vecchi (a cura di), Luigi Comencini autore popolare, Reggio Emilia, Comune di Reggio Emilia- Assessorato Istituzioni Culturali-Commissione Consiliare Cinema, 1982, p. 93).
Note (seconda parte)
[6] Si fa riferimento, qui, a Raffaello Matarazzo, iniziatore con Catene (1949) del melodramma d’ambientazione contemporanea. Per approfondimenti si veda O. Caldiron, S. Della Casa (a cura di), Appassionatamente. Il melò nel cinema italiano, Torino, Lindau, 1999.[7] E. Morreale, Così piangevano, cit., p. 254.
[8] Cfr. F. Di Chiara, La “segnorina” neorealista tra melodramma e noir. La tratta delle bianche di Luigi Comencini, in “Annali Online di Ferrara – Lettere”, I, 2007, p. 9.
[9] E. Morreale, Così piangevano, cit., p. 250.
[10] A. Farassino, Viraggi del neorealismo. Rosa e altri colori, in L. De Giusti (a cura di), Storia del cinema italiano 1949-1953, VIII, Venezia, Marsilio, 2003, p. 213.
[11] E. Morreale, Così piangevano, cit., p. 251.
[2] M. Schiavoni, La tratta delle bianche di Luigi Comencini, in “Quinlain. Rivista di critica cinematografica”, 17 marzo 2020.
[13] J. A. Gili, Luigi Comencini, Roma, Gremese, 2003, p. 22.
Ginevra Amadio
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