La moda è una magnifica ossessione, una creatura imponente e mutevole, che come una fenice risorge dalle sue stesse ceneri.
La moda è morta, viva la moda! Questo è il motto da tenere sempre a mente quando si parla di fashion system. Quando vediamo le foto della nostra adolescenza ci viene da sorridere imbarazzati e ci chiediamo: “ma come mi vestivo?” e diamo per scontato che i ciondoli con i ciucci di plastica, le camicie grunge o i pantaloni a zampa d’elefante non torneranno mai in auge.
Invece, a sorpresa, collezione dopo collezione gli stilisti resuscitano icone dal passato, reinserendo nella grande ruota della moda stili e trend che poi verranno nuovamente accantonati, magari per tornare dopo un decennio o più.
Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma
Per capirci qualcosa in più, dobbiamo guardare alle collezioni come a un cubo di Rubik: infiniti abbinamenti e combinazioni. Se da una parte le idee e i paradigmi si evolvono, dall’altra ci sono migliaia di disegni d’archivio che i direttori creativi dei brand studiano e ripropongono aggiornandoli. Questo perché è vero che il gusto si evolve, ma è anche vero che le maison spesso hanno la difficile missione di mantenere l’imprinting estetico dei loro fondatori, senza essere anacronistiche.
Poi, ovviamente, ci sono delle novità che portano tutto il sistema a un livello superiore, magari dopo solo una stagione. L’invenzione di nuovi tessuti, l’utilizzo del neoprene in alcune collezioni, così come la presenza di modelli e modelle lontani dai canoni tradizionali, sono eventi da cui non si può più tornare indietro e che alzano l’asticella del mai più senza.
La spinta dal basso e la spinta dall’alto
Le sottoculture sono sempre state il guilty pleasure della moda. Giovani ribelli e street artist, creativi in erba e portatori di messaggi politici: i protagonisti dell’underground seguono regole a parte, danno scossoni all’establishment spesso senza neanche rendersi conto della portata dell’innovazione. I punk e Vivienne Westwood sono un’accoppiata vincente, i gamer e i nativi digitali ispirano Balenciaga, che veste i personaggi del popolare videogioco Fortnite. Tutti i designer guardano verso il basso e la street culture, e tutti i consumatori guardano verso l’alto, verso l’Olimpo delle icone e degli oggetti del desiderio.
La moda, infatti, detta le regole sociali di cosa può e cosa non può essere indossato, di quali significati e messaggi debbano essere veicolati attraverso gli abiti. Mi viene in mente la t-shirt disegnata da Maria Grazia Chiuri per Dior, su cui campeggiava la scritta “We should all be feminists”, in vendita su dior.com alla modica cifra di 620 euro. Oppure le borse iconiche che tutti vogliono possedere: una Kelly di Hermés al braccio ha la capacità di parlare per conto di chi la indossa, un oggetto del desiderio vale più di mille parole. Anche se poi tutto questo meccanismo si può trasformare in un grande teatro, dove sul palcoscenico sfilano attori che interpretano un ruolo e niente più.
Gli stili che vale la pena conoscere
La moda nei secoli si è intrecciata in modo indissolubile con la sociologia e la politica, con la filosofia e la tecnologia, sublimando le più alte discipline umane in una sintesi concettuale ed estetica. Per questo in ogni stile, in ogni novità, dobbiamo leggere il cambiamento che il mondo stava vivendo in quel momento. Le scelte stilistiche del dopoguerra non potranno mai essere uguali a quelle post-2000, anche se alcuni stilemi tornano rivisitati.
Questi gli stili che vale la pena conoscere per farsi un’idea di come la società si specchi nelle vetrine per riconoscere e capire se stessa. Abbiamo dedicato un articolo a ciascuno di loro: ti basta cliccare per approfondire.
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Foto: House of Cardin, Sky Arte
Micaela Paciotti