Dal sonoro fino al neorealismo, il ruolo delle registe

registe donne dal sonoro al realismo

LA MIA FILOSOFIA È CHE PER FARE IL REGISTA NON SI PUÒ ESSERE SOGGETTI A NESSUNO, NEMMENO AL CAPO DELLO STUDIO. HO MINACCIATO DI SMETTERE OGNI VOLTA CHE NON HO OTTENUTO QUELLO CHE VOLEVO, MA NESSUNO MI HA MAI LASCIATO ANDARE

(DOROTHY ARZNER)

Se con il cinema muto la donna ha innovato e rivoluzionato la filiera, l’avvento del sonoro ha rappresentato per loro un passaggio di regressione. Hollywood diventa il core business di tutta l’industria ormai governata da soli uomini. Le donne sono presenti ma faticano ad emergere. Il sistema cresce e si espande a favore del genere maschile, l’unico ad avere posizioni di potere.

Le cineaste dimenticate

Di seguito alcune delle cineaste che la storia del cinema ha dimenticato o a cui non ha dato la dovuta importanza.

Cleo Madison (1883 – 1964)

iniziò a muovere i primi passi prima al teatro poi nel cinema. Nel 1915, insieme ad altre registe, furono assunte dalla Universal per dar vita a una serie di corti e lungometraggi. Come farà Lina Wertmüller negli anni ‘70 in Italia, Madison, nonostante il contesto fortemente maschilista e tradizionalista, riuscì a porsi nel panorama cinematografico per la sua posizione controcorrente dando vita a film in cui venivano mostrate le problematiche legate all’oppressione e alla discriminazione sessuale.

Dorothy Arzner (1897 – 1979)

l’unica regista di tutto il periodo classico sonoro americano, insieme a Ida Lupino, a muovere i primi passi nella filiera lavorando, per lo più come sceneggiatrice e montatrice, a circa cinquanta film. Tuttavia, la carriera da cineasta non è stata in discesa. Durante la sua permanenza presso la Paramount ebbe numerosi scontri con i produttori fino a minacciarli di passare alla concorrente Columbia Pictures se non le avessero affidato la regia. Solo a seguito di questa presa di posizione la casa di produzione cedette alle sue richieste e le affidò, nel 1927, la regia di Fashions for Women. Inoltre, la cineasta lanciò attrici come Katherine Hepburn e Lucille Ball e tra i suoi allievi ha avuto Francis Ford Coppola. Le sue pellicole si caratterizzavano sempre per l’ampio spazio dato alle donne, attraverso storie di vita vera. E come la Notari, il suo era un cinema popolare.

Fashion for Women fu un successo tale che le chiesero di lavorare subito ad altre tre pellicole nello stesso anno. Fu lei l’inventrice del microfono su asta (1929). Successivamente divenne la prima donna membro della Directors Guild of America e fino agli anni 40 fu l’unica regista di Hollywood con ben 20 film nella sua filmografia.

La cineasta ha alimentato la nozione di controcinema delle donne o pregressive film. Con questa terminologia si indicava un cinema in controtendenza che rompeva con le codificazioni classiche del tempo, in particolar modo quelle del rapporto maschile-femminile. Nei film di Arzner ci sarebbe una frattura tra “ideologia” e “testo”: attraverso espedienti formali nel film si produce una dicotomia tra ideologia sessista e costruzione testuale. [1] Un controcinema delle donne, dunque, che renda visibile il fuori campo che esiste simultaneamente allo spazio rappresentato, «che lo renda palpabile, udibile, riconoscibile; sottolineando l‟estromissione, dal potere discorsivo della diegesi filmica tradizionale, di quella voce esclusa e marginale, che esiste alla voce assicurata all‟interno della narrazione. E restituisce, così, voce alle donne» [2]

In Dance, Girl Dance (1940) il personaggio femminile si riappropria della sua identità attraverso il desiderio e la trasgressione. Inoltre, ben lontana dall’epoca d’oro del muto per le donne registe, la Azner è l’unica cineasta che tra 1927 e il 1943 sia riuscita a dirigere, per le Major, ben 17 film.

La sua carriera, nonostante la bravura, non fu lunga. Nel 1943 la regista si ritirò dalle scene hollywoodiane. Il motivo non è stato mai dichiarato espressamente, ma è evidente che in quel periodo la cineasta doveva lottare con un sessismo inesauribile soprattutto a seguito delle costanti rielaborazioni imposte dal Codice Hays o Production Code, – un insieme di linee guida per un’autoregolamentazione moralmente orientata della produzione cinematografica – che dal 1930 limitava fortemente l’espressione cinematografica con un codice morale rigidissimo. Lei, regista lesbica[3], se ne sentiva schiacciata. Motivo per cui tenne sempre privatissima la sua vita privata, pur non nascondendo mai il suo orientamento sessuale e scegliendo uno stile decisamente non convenzionale per le donne dell’epoca

Cecilia Mangini (1927 – 2021)

prima documentarista dell’Italia del dopoguerra e cineasta del cinema militante, le sue opere nascono dalla sua ispirazione per il cinema di Jean Renoir e alla poetica di Pier Paolo Pasolini. La Mangini, a seguito di interventi legislativi che favorivano cortometraggi non di finzione[4], ripercorre la strada già intrapresa dalla Notari per ripotare sul grande schermo le periferie cittadine e le classi subalterne. La sua presenza è stata determinante per il genere trattando senza mezzi termini temi politici, indagando sulle complesse trasformazioni politiche e socio-culturali del dopo guerra[5], e raccontando la rapida trasformazione sociale, materiale e immateriale dell’Italia nel boom economico.     
Con la sua cinepresa Mangini ha guardato e riportato la realtà, riscattando il cinema italiano dalle mistificazioni fasciste, raccontando l’Italia dalla fine degli anni Cinquanta fino alla metà dei Settanta. L’Italia che cambiava, che spariva, che rinasceva.   La fine della cultura contadina travolta dall’industrializzazione e dal boom economico, il mutamento dei costumi sessuali. Al centro della sua ricerca anche il mondo delle donne (Essere donne, 1965).[6]

Noi ragazzi ci sentivamo traditi dal fascismo e il cinema neorealista ci ha traghettato verso una soluzione non tragica, era il modo di ricominciare a ritrovare sé stessi.” (Cecilia Mangini)

Ida Lupino (1918 – 1995)

è un’altra cineasta che ha cambiato la storia del cinema. Come la Azner anche Ida Lupino ha fatto parte del periodo classico del sonoro americano. Seguendo le orme della collega riesce a farsi spazio a Hollywood iniziando la sua produzione nel 1949, con la sua casa di produzione indipendente. Inizia la sua carriera come attrice lavorando in Inghilterra e in America. La sua presenza a Hollywood negli anni ’50 rappresentò una vera sfida per il clima repressivo che albergava nella filiera in quegli anni. Si cimentò nel genere melodrammatico discostandosi tuttavia dal classicismo. Le sue opere raccontavano temi controversi, quali la bigamia, la malattia fisica, la maternità al di fuori del matrimonio, insomma riesce a dar vita a scene antipatriarcali. Per attendere il suo debutto come regista si dovette aspettare il 1950 con Outrage (La preda della belva). Un dramma sociale realistico che racconta, attraverso meccanismi del noir, il superamento del trauma di una violenza carnale. In The bigamist (1953, La grande nebbia) la cineasta non solo diresse il film ma lo interpretò. Attraverso la pellicola la film maker tratta il tema dell’adozione criticando anche il modello femminile tradizionale.

Ida Lupino

Qualche anno più tardi, in territorio tedesco, si afferma una nuova regista che rivoluziona il panorama cinematografico: Leni Riefenstahl. La cineasta tedesca tuttavia portò con sé il peso di fare cinema di propaganda, redendo le sue opere massime espressioni dell’ideologia nazista. Documentarista innovatrice nelle tecniche cinematografiche come ad esempio le riprese con telecamere montate su rotaie. Il suo primo lungometraggio fu Bella Maledetta (1923) che fu presentato alla prima edizione della Mostra del cinema di Venezia. Tra Hiltler e Leni si instauro un legame profondo diventando la sua regista attraverso cui esprimere l’immagine di una Germania ricca di bellezza e forza wagneriana. Nel 1933 girò per lui un cortometraggio La vittoria della fede e Il Trionfo della volontà, la sua opera più famosa. Altrettanto notevole fu il documentario Olympia sui giochi olimpici del 1936 a Berlino. [7]

A conclusione di questo breve articolo, che accenna al ruolo e ai lavori delle cineaste di questo tempo, appare ovvia la circostanza che rispetto agli albori della filiera cinematografica, l’ascesa milionaria di Hollywood ha visto una diminuzione della presenza femminile in ruoli chiave nell’industria cinematografica. La prestigiosità di questo settore è divenuto esclusivo appannaggio di uomini assetati di potere che hanno relegato le donne in ruoli da segretarie o receptionist, al massimo editor.


[1] Laura Buffoni (a cura di ) We want cinema. Sguardi di donne nel cinema italiano, Marsilio Editori, 2018, p. 31

[2] C. Johnston, Cinema delle donne come controcinema, op. cit., p. 61.

[3] Dorothy Arzner è stato un membro del Sewing Circle di Hollywood, un gruppo riservato a sole donne lesbiche, fondato dall’attrice Alla Nazimova. A questo circolo facevano parte anche Greta Garbo, Barbara Stanwyck e Marlene Dietrich. Un luogo di incontro privilegiato in una società che considerava i gay e i bisessuali come dei sovversivi, degli elementi pericolosi per lo status quo. Uno stile di vita, il loro, illegale e che andava contro le leggi dell’epoca sulla sodomia. La regista ha lavorato e avuto delle relazioni con molte donne dell’industria del cinema, ma il suo vero e unico amore è stato Marion Morgan, una ballerina e coreografa alla quale è rimasta legata per oltre 40 anni. Arzner non ha mai ostentato il suo orientamento sessuale, ma non lo ha nemmeno nascosto. E anche in questo è stata una donna all’avanguardia, apripista per tante altre. Fonte: https://www.thewom.it/lifestyle/trend/dorothy-arzner

[4] La legge 897 del 1956 e la 1097 del 1959 riconoscono sconti fiscali agli esercenti cinematografici che proiettino in abbinamento un lungometraggio e un cortometraggio documentario.

[5] Regia al femminile, un nuovo modo di vedere il mondo https://core.ac.uk/download/pdf/84739676.pdf

[6] https://roma.repubblica.it/cronaca/2021/01/22/news/morta_regista_documentarista_cecilia_mangini-283712239/

[7] Simona Santoni, Leni Riefenstahl, chi era la regista di Hiltler https://www.panorama.it/lifestyle/cinema/leni-riefenstahl-regista-hitler-foto

Angela Patalano

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Angela Patalano
Sulla carta sono laureata in Giurisprudenza ma la mia passione più grande è il Cinema e il mondo dell'entertainment in generale. Essenzialmente curiosa ed empatica. Goffa quasi alla Bridget Jones e tanto Geek.

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