
Oggi, più che una stella, si piange un pilastro del Cinema Italiano, poiché ieri è morta Lina Wertmuller.
Chi era Lina Wertmuller
Figura quasi ignorata dai giovani e sconosciuta dal mondo dei blog e dalle piattaforme streaming, la Wertmuller è stata invece un esempio e un vanto per la nostra cinematografia.
Lina infatti (nata Arcangela), vive di spettacolo fin da adolescente. Frequenterà inizialmente il mondo del teatro, a partire da quello dei burattini; per poi giungere a quello più professionale, lavorando una varietà di personalità, da quelle più serie ed accademiche, come Giorgio De Lullo, a quelle più farsesche e leggere, quali Garinei e Giovannini.
Lentamente anche il cinema e la televisione le insegnano qualcosa, unendo le sue mille capacità. Sarà infatti sceneggiatrice e regista della miniserie televisiva Il giornalino di Gian Burrasca del 1964, con Rita Pavone nel ruolo del protagonista; ma aiuterà nella regia anche il Maestro Fellini in pellicole che passeranno alla storia, come La dolce vita e il futuro premio Oscar 8½.
Ed è proprio negli anni ’60 che Lina Wertmuller decide di fare un film, scritto e diretto da lei: I basilischi. Il film piace ed ottiene alcuni riconoscimenti. Inizia così la sua carriera, comprendente più di 25 pellicole, cinematografiche e per la tv.
È voce di quegli anni ’70, portatori di ideali e di messaggi. Usa una tecnica sempre pungente, dove dimostra un lato grottesco del mondo, soprattutto di questo paese, senza distinzione di tempo.
Grande magia nei film della regista romana è il tema del tentativo di dialogo.
Quel provare a venirsi incontro, quel cercare punti in comune, quel magico momento in cui anche due diversità combaciano, senza però mai scendere a compromessi. Pensiamo a Travolti dall’insolito destino nell’azzurro mare d’agosto oppure Mimì metallurgico ferito all’onore per quanto concerne la lotta di classe; oppure la lotta politica, oltre ai già citati, in Fatto di sangue fra due uomini per causa di una vedova. Si sospettano moventi politici e Film d’amore e d’anarchia.
Prenderà spesso spunto per le sue sceneggiature anche da opere altrui. Per il “dialogo generazionale” tramuta in pellicola l’ominima commedia teatrale di De Filippo Sabato, domenica e lunedì; mentre per un altro “dialogo tra Nord e Sud” dirige Paolo Villaggio in Io speriamo che me la cavo, dall’omimo libro di Marcello Dell’Orta.
Il grande rinoscimento arriva nel 1977.
Il film Pasqualino Settebellezze, per la critica statunitense, ha qualcosa in più e decide quindi di farla partecipare alla notte degli Oscar, candidando la pellicola a ben 4 categorie: miglior film, miglior sceneggiatura originale, miglior film straniero e miglior attore protagonista. Non vincerà niente, ma Lina diventa ufficialmente la prima donna nella storia del Cinema ad essere candidata per la regia. Un riconoscimento non da poco, che la farà diventare un vero e proprio faro per altre registe future, come Sofia Coppola, Jane Champions e Kathryn Bigelow.
La statuetta le verrà consegnata nel 2020, come Oscar alla carriera, dove scherzò sul nome da cambiare (“dovrebbe chiamarsi Anna”) e sul fatto che la sua interprete speciale dell’occasione, Isabella Rossellini, fosse vestita di viola, colore “porta sfortuna” nel mondo dello spettacolo (“la prossima volta che viene vestita di viola – facendo un gesto scaramantico con le dita – io la spoglio…ma facciamo finta di niente”).
Icona di stile, sia nel vestire (occhiali bianchie sigaretta perennemente accesa), sia nella scelta dei titoli volontariamente sempre molto lunghi (il citato Fatto di sangue… , in realtà, conta ben 179 caratteri e pare sia entrato addirittura nel Guinnes dei primati come titolo più lungo de l cinema), Lina riesce a farsi strada in un ambiente molto sessista.
Il suo carattere deciso, anche a suo dire, è l’ingrediente che l’ha portata lontano.
Rinuncia, ad esempio, a milioni di dollari pur di fare un film su Caligola a modo suo. Nel western all’italiana Il mio corpo per un poker (che co-diresse con lo pseudonimo maschila di Nathan Witch), diede un pugno ad un organizzatore che voleva comparire. A teatro, tagliò l’abito a Monica Vitti, che non voleva (a dire della regista) adeguarsi alla tuta che in scena avano tutti, chiamandola Cecciarelli, cioè il vero cognome dell’attrice. Storico il morso a Luciano De Crescenzo che, nel già citato adattamento eduardiano, sottolineava le battute alzando il dito, che, alla terza ripresa, la regista decise appunto di addentare.
Tanti gli attori che verranno diretti da lei. In primis, Giancarlo Giannini: fu lui ad essere candidato all’Oscar nel ’77. Accanto a lui, Mariangela Melato, Isa Daniela, Piera degli Esposti, Roberto Herlizka, Sophia Loren, Marcello Mastroianni; e alcuni d’eccezione come Candice Bergen, Angela Molina, F.Murray Abraham, Ugo Tognazzi, Veronica Pivetti, Gastone Moschin, Stefania Sandrelli, Luca De Filippo, Pupella Maggio e molti altri.
Sceneggiatrice di film di grandi altri registi (Zeffirelli, Solima, Festa Campanile) e per una volta anche doppiatrice (la nonna della protagonista nel lungometraggio animato della Disney Mulan); ci lascia la sua potente eredità cinematografica, dopo essersene andata nel più riservato silenzio. Per ricordarla anche meglio, però, concludo con una sua battuta dal suo tipico spirito comico e surreale:
Sappiate che, se mi piglia un colpo, me ne vado come un commensale sazio
Francesco Fario
Fonte Immagine (Tagliata): John Mathew Smith & www.celebrity-photos.com from Laurel Maryland, USA, CC BY-SA 2.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0, via Wikimedia Commons