“Il corriere – The mule”, nuovo film di Clint Eastwood in uscita il 7 febbraio, ci regala l’empatica storia di un uomo anziano alla ricerca del tempo perduto.
Il corriere – The mule uscirà nelle sale italiane il 7 febbraio. Molti fan del Clint Eastwood regista attendono ansiosi di scoprire se il premio Oscar si sia ripreso dagli ultimi “scivoloni”.
Infatti, dopo capolavori come “Million Dollar baby”, “Mystic River” o “Gran Torino” o pellicole comunque solide come “Invictus” o “Sully“, i più recenti film da lui diretti hanno lasciato gli estimatori un po’ delusi (“Ore 15:17 – Attacco al treno“).
“Il corriere – The Mule” non è solo diretto e prodotto, ma anche interpretato da Eastwood. Lui è Earl Stone, un uomo di quasi novant’anni, solo e ormai al verde. La sua impresa è fallita. Vi aveva dedicato tutta la sua vita. Coltivava e commerciava fiori, che amava vedere premiati. Amava sua moglie e sua figlia, ma non aveva dedicato loro abbastanza tempo.
La moglie lo ha lasciato da tempo; la figlia non vuole neanche vederlo; la nipote lo accoglie sempre, ma la promessa di pagarle le nozze sfuma davanti al pignoramento dell’azienda e dei beni.
La svolta gliela offre un ragazzo, che gli propone di sfruttare la sua abilità nel guidare l’auto. Earl accetta e ci mette un po’ a capire che sta diventato un corriere della droga di un cartello messicano. Lui, d’altronde, si dimostra il “mulo” perfetto: anziano e, apparentemente, insospettabile, guida sicuro e prudente, mai una multa o un precedente penale che possa metterlo in cattiva luce.
La trama del film si ispira a fatti realmente accaduti e raccontati in un articolo del New York Times di Sam Dolnick (“The SinaloaCartel’s 90-Year-Old Drug Mule”).
Nick Schenk ne ha tratto una bella sceneggiatura, in bilico tra ironia, tenerezza, intimismo crepuscolare, road movie, indagine poliziesca.
Il personaggio di Earl Stone è l’elemento riuscito meglio del film. Schenk, che aveva scritto anche la sceneggiatura di “Gran Torino”, ha dichiarato che “Earl era davvero l’altra faccia della medaglia di Walt Kowalski”.
Entrambi veterani, se Walt era cupo, introverso, diffidente, Earl è pieno di umorismo, vitalità e voglia di sperimentare. Earl si muove come un nonno, non sa scrivere i messaggi sullo smartphone, ma ci mette poco ad imparare, così come a diventare il miglior corriere del cartello. La sua ironia lo rende simpatico, anche quando emergono i suoi pregiudizi di anziano americano di provincia.
Un Clint Eastwood che sa come intenerirci, costruendo un personaggio con cui il pubblico non può che empatizzare. Il suo Earl vive un profondo senso di colpa e rimpiange di aver sprecato il tempo solo con il suo lavoro e non con le persone importanti della sua vita.
Ci prende gusto alla sua vita criminale, ma non per gli stessi motivi del Walter Withe di Breaking Bad. Earl non fa il corriere per il cartello messicano perché lo gratifica o lo fa sentire potente. Inizia e continua a farlo perché con i soldi potrà riprendere i contatti con la nipote e, attraverso di lei, con la figlia e la ex moglie.
In parte il tentativo di recuperare il tempo perduto riesce. In un tenero dialogo con la ex moglie, interpretata da una perfetta Dianne Wiest, lui sospira: “Me la sono giocata la mia occasione”. “Non credo. Sei solo sbocciato tardi”, gli risponde la donna, con un delicato riferimento a quei fiori che lui amava, troppo forse, visto che lo portavano via dalla famiglia.
La sceneggiatura, la costruzione e l’interpretazione del personaggio del protagonista e la regia di Clint Eastwood rendono il film bello e interessante, ma non mancano elementi che stonano.
Il cast de “Il corriere” è decisamente stellare e all’altezza della sceneggiatura. Oltre a Eastwood e Wiest, ci sono un quasi irriconoscibile Andy Garcia, che interpreta il capo del cartello per cui lavora il protagonista e Bradley Cooper, agente della Dea a caccia del corriere.
E qui veniamo al grande difetto del film. Nonostante la bravura e la credibilità di Cooper nel suo ruolo, la parte poliziesca e di azione del film delude e annoia. Mancano un po’ la tensione delle indagini e il pathos della caccia all’uomo, che in questo genere di film avrebbe dato una verve maggiore.
Il risultato è una pellicola coinvolgente, se ci si approccia come ad un film intimistico e crepuscolare, ma molto poco avvincente, se ci si aspetta un film d’azione.
Stefania Fiducia