Avete tutti presente cosa è diventato il cinema di Clint Eastwood, vero? Se nello scorso decennio ha osato raccontare storie progressiste sulla diversità, sulla xenofobia, sull’eutanasia, improvvisamente i suoi lavori sono diventati inni della forza americana, anzi, precisamente manifesti del pensiero conservatore americano.
Non un male a prescindere, naturalmente, ognuno ha le proprie idee. Ma un problema quando tale visione è applicata al cinema. Questo infatti ha voluto dire storie completamente incentrate sulla presunta magnificenza a stelle e strisce e soprattutto approfondimenti tagliati con l’accetta. Via il sottile, via le linee grigie, improvvisamente è tutto bianco o nero.
Quantomeno in American Sniper una qualche emozione nasceva da tale approccio, anche se era quella di voler invadere la Polonia. Ora invece gli effetti in Ore 15:17 Attacco al Treno sono quasi tragicomici, duole dire.
Per spiegare prendo un dettaglio apparentemente irrilevante nell’economia del film, ma enormemente significativo. Un poster nella camera di uno dei personaggi. Il poster di Full Metal Jacket, precisamente.
Quel poster è appeso nella camera di un ragazzino che aspira, da grande, a diventare soldato. Un tredicenne che si eccita quando in tv sente la parola guerra. Un ragazzino che a casa ha pistole e fucili in grande quantità, per giocare o andare a caccia. E, ripeto, ha il poster che è uno dei più grandi inni anti-militaristi mai realizzati.
Non notate anche voi una contraddizione di fondo? O, più banalmente, un fraintendimento ideologico? Come quel ragazzino non capisce le sfumature di quel film, o crede che esalti i suoi valori militari, Eastwood butta al vento ogni possibile sfumatura per mostrare ragazzi perfetti che diventano tali attraverso i loro ideali di amore per la religione, per la guerra, per la patria americana. I tre protagonisti di Ore 15:17 Attacco al Treno non sono eroi perché compiono un gesto eroico salvando effettivamente vite, non sono eroi per caso catapultati al posto sbagliato nel momento giusto, ma sono eroi perché così sono plasmati, quasi figli di quel Destino Manifesto immaginato da una certa parte di America.
Immaginate adesso tale approccio ideologico, così netto e marcato, dentro un film narrativamente sballato.
Perché il grande problema in Ore 15:17 Attacco al Treno non è tanto la propria faziosità, quanto l’incapacità di creare qualcosa di interessante attorno alla tesi centrale. Nel mostrare quindi il tentativo di attacco terroristico sul treno da Amsterdam a Parigi del 21 agosto 2015, nel raccontare l’atto di coraggio e vero eroismo di tre ragazzi americani, il film non riesce a creare altro. La prima parte è una continua serie di luoghi comuni senza un vero approfondimento, la seconda parte è il racconto delle vacanze in Europea dei protagonista senza un qualche senso narrativo. Sfido a trovare scene più inutili di queste.
Paradossalmente, Ore 15:17 Attacco al Treno non è un vero film. Piuttosto, è una singola sequenza a cui, mollemente e sbadatamente, si è provato ad aggiungere altro brodo. Qui però sta l’esperienza di Eastwood. Forse il primo ad essere consapevole di non avere materiale a sufficienza per tirar fuori un film interessante, ha scelto di giocare la carta a sorpresa: facendo interpretare i tre protagonisti ai veri ragazzi che hanno sventato quel tentato attacco – quindi tutto meno che attori capaci – Eastwood è riuscito a far parlare solo di quello, non del film in sé.
E così Ore 15:17 Attacco al Treno non è le vacanze in Europa senza motivo. Non è un ammasso di preghiere. Soprattutto non è più solo la scena in cui dei ragazzini esclamano quanto sia bella la guerra ed il senso di cameratismo che emana, avendo in mano fucili e pistole. No, Ore 15:17 Attacco al Treno è adesso l’esperimento extra-cinematografico di far rivivere in maniera fittizia veri fatti traumatici alle vere persone che li hanno già vissuti.
Una furbata non da poco. E allora abbasso Clint Eastwood, evviva Clint Eastwood.
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Emanuele D’Aniello
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