Le “Piccole (grandi) Donne” hanno ancora molto da insegnare

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Per chi, come me, ha amato il libro e poi anche il film Piccole Donne del 1994 (un vero cult), non è stato facile accettare l’uscita dell’ultimo Piccole Donne, nel 2019.

Prima di tutto perché tra le protagoniste c’è Emma Watson (ancora mi interrogo sulla ragione di questa scelta); secondo, perché ero terrorizzata all’idea di uno strafalcione che non riuscisse a competere minimamente col film precedente, capeggiato da attori del calibro di Susan Sarandon, Winona Ryder, Kirsten Dunst e Christian Bale.

Invece, il film firmato da Greta Gerwig è una vera perla. E non solo perché, pur distinguendosi molto dal precedente, rimane intatto nel messaggio che vuole inviare il libro di Louisa May Alcott, ma anche perché il coro di donne diventa più forte che mai.

Le differenze con Piccole Donne 1994

A differenza del precedente film, Piccole Donne 2019 è un continuo ondeggiare tra flashback e presente. Questo potrebbe disorientare chi conosce meno la storia, ma consente di approfondire molti aspetti trascurati dalla pellicola degli anni Novanta. Le donne sono davvero protagoniste di questo nuovo film, figlio di un secolo dove la questione di genere è all’ordine del giorno.

L’anima delle protagoniste viene passata al crivello per definire i sogni di ciascuna: anche la madre (interpretata con mia enorme sorpresa dalla bravissima Laura Dern) non fa altro che rimarcare, seppur velatamente, la sua indole repressa: quella stessa natura che rende Jo una figura ribelle, stanca di vedere le donne identificate solo come madri e casalinghe, impossibilitate a tirare fuori il proprio talento per mantenersi e mantenere la propria famiglia.

Ma non sarà solo Jo, in questo Piccole Donne 2019, a stupirvi:

puntate gli occhi su Amy (Florence Pugh, l’attrice di Midsommar), perché è proprio alla più giovane di tutte che saranno donate le parole più dure sulla condizione femminile.

Insieme alle sorelle e a Marmee – dulcis in fundo – spicca anche la meravigliosa Meryl Streep nei panni della zia March. Una scelta del genere vi lascia già facilmente intuire che la ricca matrona ottiene in questa pellicola molto più spazio di prima.

Cosa lascia quindi questo classico, un libro che tutti (o quasi) abbiamo letto, riproposto più volte sul grande e sul piccolo schermo, alla soglia del 2020?

Lascia una riflessione grande sullo spirito femminile e sullo scotto da pagare per l’indipendenza, che spesso conduce ad un forte senso di solitudine. Non voler dipendere da nessuno (ieri economicamente, oggi forse anche emotivamente) erige dei muri attorno a noi. E sono muri davvero difficili da buttare giù, quelli del femminismo che affonda le unghie sulla prevaricazione di cui le donne sono state vittime per secoli, un’arma di cui oggi fanno uso troppo spesso per far sentire la propria voce.

Naturalmente, da grande fautrice dell’indipendenza e della libertà, sono sempre stata una fan del “team Jo”, ma se c’è una cosa che questo film insegna (rispetto ai precedenti) è che l’amore non è una guerra se ci è consentito dipendere dall’altro per nostro volere. Questo a volte lo dimentichiamo per antico retaggio, perché abbiamo imparato ad attaccare per difenderci da chi ci schiacciava ingiustamente.

C’è una lezione importante che porto a casa con questo Piccole Donne 2019: ogni donna ha il suo sogno e va rispettato.

C’è chi sogna di essere libera e indipendente e chi sogna una vita familiare, dedita al partner e ai figli. Per quanto possiamo non essere d’accordo con l’una o l’altra tendenza dobbiamo accettare il fatto che ogni sogno ha il suo valore, ma soprattutto dobbiamo accogliere a braccia aperte l’idea che oggi c’è la possibilità di scegliere quale strada intraprendere (provando anche a mischiarle un po’!), mentre “ieri” eravamo caldamente invitate, se non obbligate (a volte anche con la violenza, come anche oggi nei casi più estremi) a percorrere una sola strada.

Piccole Donne insegna che le strade sono molte, che è stato difficile renderle percorribili per le donne (e Jo, con la sua caparbia, ne è l’esempio), ma che oggi sono qui davanti ai nostri occhi. E siamo libere di scegliere con la nostra testa quella “giusta” per noi.

Nell’epoca in cui finalmente (almeno il più delle volte) ci viene concessa anche la libertà di emergere con la nostra genialità, senza essere chiamate Muse o Streghe, ma semplicemente “donne”, questo classico non ha ancora finito di dire quel che ha da dire, come ha scritto Italo Calvino molto prima di me.

Alessia Pizzi

Laurea in Filologia Classica con specializzazione in studi di genere a Oxford, Giornalista Pubblicista, Consulente di Digital Marketing, ma soprattutto fondatrice di CulturaMente: sito nato per passione condivisa con una squadra meravigliosa che cresce (e mi fa crescere) ogni giorno!

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