Licorice Pizza: corse, rincorse e destini nel ritorno a casa di Paul Thomas Anderson

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“Vent’anni fa traslocai in questa casa in prossimità di un liceo e, una mattina, mentre tutta la scuola era bloccata per scattare le foto per l’annuario, per puro caso rimasi colpito da un adolescente particolarmente tenace che ronzava attorno a una ragazza molto più grande. Ricordo di aver pensato che sarebbe stata un’ottima premessa per un film e qualche tempo dopo la misi nero su bianco.”

Ci vollero però altri vent’anni prima che Paul Thomas Anderson riprese quel progetto lasciato nel cassetto, sentendo la necessità di dover tornare a girare nella sua California, omaggiando una città e un passato che ricorda con nostalgia. Un vero e proprio atto di purificazione, dopo la tossicità perfezionista e relazionale che abbiamo potuto ammirare ne Il filo nascosto, attraverso il quale l’autore sente di voler far rivivere le atmosfere e i luoghi dell’infanzia prima di tutto per sé stesso.

E se tutti noi abbiamo un luogo o una canzone capaci di farci tornare immediatamente indietro con gli anni, similarmente una macchina del tempo, per PTA si tratta di due semplici parole che, messe l’una vicino all’altra come lui stesso ha dichiarato, lo portano letteralmente alla salivazione per i ricordi che innesta: Licorice Pizza. Infatti, prima di ogni altra cosa, il suo è un film di sensazioni.

Letteralmente “pizza di liquirizia“, il riferimento è a una nota catena di negozi musicali, molto in voga nella costa occidentale statunitense negli anni ’70, che ha chiuso i battenti anni fa e di cui il regista era assiduo frequentatore. Pur non essendo mai presente a schermo, il negozio di musica permea la coming of age story di Paul Thomas Anderson del suo spirito nostalgico dal suono piacevole, caldo e avvolgente come quello di un vinile che, incessantemente, corre sul piatto. E si corre parecchio insieme ad Alana e Gary in questo Licorice Pizza che, a questo punto, penserete sia un lungometraggio autobiografico come i recenti É stata la mano di Dio o Belfast. In realtà è, per certi versi più similare a quanto fatto da Spielberg con il remake di West Side Story, perché i fatti – con l’eccezione dell’input iniziale – non raccontano il vissuto di un giovane PTA, ma di questo parleremo più avanti.

Trama

Nel 1973, in un liceo della San Fernando Valley, il quindicenne giovane attore Gary Valentine (Cooper Hoffman) incontra la venticinquenne Alana Kane (Alana Haim), assistente fotografo nel giorno di realizzazione degli scatti per l’annuario scolastico. Nonostante il divario d’età, il ragazzo incessantemente chiede alla giovane donna di uscire a cena, cosa che sorprendentemente avviene. Tra i due ha inizio un rapporto d’amicizia particolare, costellato da periodi di avvicinamento, alternati a liti e lontananze, che li porterà a comprendere cosa provino davvero l’uno per l’altra.

Giovani e adulti a confronto

Senza delinearne chiaramente la timeline, PTA decide di andare ben oltre la classica progressione narrativa e, proprio come avviene nelle nostre menti nel rivivere le memorie della gioventù, non dà importanza ai dettagli che indirizzano i protagonisti da un episodio al successivo. L’unica cosa che conta è l’evoluzione della relazione tra Alana e Gary, interpretati meravigliosamente da Alana Haim e Cooper Hoffman, entrambi al loro esordio recitativo.

Il ruolo della venticinquenne disorientata dagli affetti, e sminuita dalla società maschilista che la circonda, è frutto dell’immaginazione di PTA pur essendo scritto appositamente per la chitarrista e cantante delle HAIM: il gruppo di musicale di San Fernando Valley composto dalle tre sorelle Haim. Il regista non solo ha voluto unicamente Alana per interpretare la protagonista del suo affresco generazionale – a cui tra l’altro dà lo stesso nome – ma si porta appresso l’intera famiglia. I Kane sono gli Haim, e il fatto che la madre delle tre sorelle sia stata la sua insegnante d’arte al liceo (true story), rende ancora maggiormente l’idea di quanto Licorice Pizza sia un’opera fortemente personale.

Sull’altro piatto della bilancia, e non del giradischi, abbiamo Gary Valentine: un quindicenne che affronta il mondo adulto, dalla tv all’imprenditoria, con impudenza e disinvoltura. Se Alana è una giovane donna, intrappolata in una vita adolescenziale dal contesto che la circonda, Gary vive da adulto ma con la libertà e la spensieratezza del ragazzino che è. Tuttavia, come annunciato in precedenza, non ci troviamo di fronte all’alter-ego di Paul Thomas Anderson, ma bensì a una rivisitazione del passato dell’amico produttore Gary Goetzman. É a lui che l’autore si rifà per la scrittura del protagonista maschile ricalcandone le tappe: dagli spettacoli in tv e teatri, alla successiva vendita di materassi ad acqua, fino all’apertura di una sala giochi.

Chiunque altro avrebbe chiamato un giovane attore dal nome altisonante e belloccio ma PTA è, come per Alana, alla ricerca di naturalezza e genuinità. Affida così il ruolo a Cooper Hoffman, figlio del compianto Philip Seymour Hoffman, presenza ricorrente nel cinema di Paul Thomas Anderson, che si rivela straordinariamente comunicativo e capace di bucare lo schermo con una facilità disarmante in ogni contesto.

É davvero difficile, se non impossibile, andare a ritrovare una coppia così ben assortita di attori protagonisti al debutto e dotati di tale magnetismo. Elevandoli a simboli di un sentimento puro e totalizzante come l’innamoramento giovanile, il regista li contrappone ad attori di tutt’altra nomea che andranno a rappresentare il deludente ed egoistico mondo adulto. Si tratta di tre personaggi strettamente legati al mondo del cinema, e dunque dell’illusione (il mondo degli adulti è inquinato e bugiardo), che PTA riscrive in chiave parodistica.

A Sean Penn è affidato il ruolo Jack Holden, deliberatamente ispirato a William Holden, famoso soprattutto per la sua presenza Viale del Tramonto, nonché per aver condiviso lo schermo con la leggendaria Grace Kelly in I ponti di Toko-Ri. Ed è proprio intorno al film del ’54 diretto da Mark Robson, qui rinominato Rex Blau e interpretato dal mitico Tom Waits, che ruota una delle scene chiave di Licorice Pizza.

L’unico a mantenere il suo nome reale è Jon Peters, colpevole di aver acquistato un materasso ad acqua dal giovane Gary Goetzman (sì, quello vero), la cui parte è stata affidata a Bradley Cooper che estrae dal cilindro una performance tanto piccola in termini di minutaggio, quanto enorme dal punto di vista iconografico. Quello che nel 1973 era semplicemente il compagno-parrucchiere di Barbra Streisand (attenzione all’accento: è Sand come “sabbia”!), è raffigurato come un folle eccentrico dalle smania omicida e ossessionato dal sesso opposto.

Su quest’ultimo punto è interessante analizzare come sia Peters che Holden tentino di approfittarsi di Alana, facendo leva sul proprio egocentrismo. Se il primo mitizza se stesso, citando le proprie battute cinematografiche per far cadere la ragazza nella propria rete, il secondo si avvicina a lei quasi fosse legittimato a farlo. Anche quando entrerà nella cerchia del candidato sindaco Wachs (Benny Safdie), Alana verrà trattata unicamente come oggetto. Sono queste relazioni unilaterali e bugiarde che portano la venticinquenne costantemente da Gary che, nonostante il divario d’età, è l’unico che è in grado di garantirle sincerità, spesso non verbale, e autenticità.

Divari che uniscono

Licorice Pizza è un film in costante movimento, cosi come la regia di PTA che segue i due giovani con costanti carrelli laterali e campi medi, che ne esaltano la vitalità. Il regista dilata inoltre la narrazione a suo piacimento, esaltando la danza perpetua di attrazione e repulsione crescente dei due protagonisti, destinata a esplodere nel finale. Allontanarsi per avvicinarsi sempre di più e, se non è il destino a metterci una pezza favorendo un incontro causale, sarà necessario venirsi incontro: correndo.

Il nono lungometraggio di Paul Thomas Anderson è infatti scandito dalle corse di Alana e Gary che rappresentano, meglio di qualsiasi parola, l’evoluzione del loro ipotetico amore. Tuttavia, sbaglieremmo a focalizzarci unicamente su questi momenti. Ci sono anche moto, auto e persino camion estremamente significativi che diventano metafore di un rapporto fatto di rincorse, brusche cadute, di ribellioni, di passi indietro o persino di discese chilometriche in retromarcia.

Siamo di fronte a un film per certi versi onirico e caleidoscopico, come il ricordo di una lunga estate adolescenziale che non vorremmo finisse mai e, in questo, la fotografia curata da PTA e Michael Bauman gioca un ruolo fondamentale. Studiando l’estetica, lo stile d’inquadratura widescreen e le tecniche d’illuminazione – o di non illuminazione – di film quali Manhattan e American Graffiti, la coppia ha deciso di girare su pellicola 35mm. Se tutto il mondo cinematografico va verso il 4K più dettagliato possibile, per la sua reminiscenza Paul Thomas Anderson opta per lenti che sporcano l’immagine, principalmente le Anamorphics Panavision serie C della old school anni ’60 e ’70, riconoscibili per il caratteristico bagliore blu, per il contrasto accentuato e le aberrazioni all’immagine. Perché il ricordo di sensazioni che non possiamo più provare, di luoghi che non possiamo più visitare, non possono essere nitidi, avvolti da quell’aurea eterea che li contraddistingue e li porta fuori dal tempo. Ma è giocando anche con la musica, come il titolo dell’opera vuole, che Licorice Pizza raggiunge definitivamente il cuore dello spettatore, introducendo e amalgamando magnificamente i brani di David Bowie, Nina Simone, The Doors, Paul McCartney e tanti altri con la dolce colonna sonora di Jonny Greenwood, ancora una volta straordinario.

Con le sue tre nomination Oscar 2022 l’ultimo meraviglioso lavoro dell’autore californiano, rilasciato in Italia il 17 marzo, si appresta a dire la sua in quel dell’Academy ma, comunque andranno le cose, risulta evidente che nel panorama cinematografico mondiale, Licorice Pizza e il cinema di Paul Thomas Anderson vivono, nella loro unicità, in uno spazio tutto loro destinato all’immortalità. Il ricordo di un tempo e di un luogo divenuti inaccessibili incontrano la pellicola per diventare tangibili ed eterni, rievocando sensazioni, stati d’animo e voglia di libertà che all’adulto sembrano precluse. Nella loro imperfezione e confusione, la genuinità e la purezza di Alana e Gary diventano i volti del Cinema più autentico, capace di portarci lontano dalla poltrona della sala cinematografica e spronandoci a di farci correre per le strade quando tutti sono incolonnati nelle loro auto. Una pellicola meravigliosa e piena di vita, che ci spinge a riabbracciare un qualcosa che tutti abbiamo toccato con mano, ignari di quanto fosse prezioso.

Michele Finardi

IL VOTO DEL PUSHER
Regia
Sceneggiatura
Interpretazioni
Area tecnica (trucco, costumi, luci, effetti speciali)
Planner di salotti cinefili pop fin dalla tenera età, vorrei disperatamente vivere in un film ma non riesco a scegliere quale!

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