«Lo critichi tanto ma poi gli assomigli»
Titolo originale: Zuppa di pesce
Regia: Fiorella Infascelli
Soggetto e sceneggiatura: Fiorella Infascelli, Patrizia Pistagnesi
Cast principale: Philippe Noiret, Chiara Caselli, Lou Castel, Lucrezia Lante della Rovere, Renzo Montagnani, Macha Méril
Nazione: Italia
Anno: 1992
Cenni di trama
Storia familiare, di adolescenza inquieta: Zuppa di pesce (1992) costeggia terreni paludosi, dissestati, eppure ha il pregio dell’equilibrio, di una sincerità mai affettata. Fedele alla regola secondo cui occorre parlare di ciò che si ‘pratica’, Fiorella Infascelli racconta del padre Carlo, del suo ruolo di patriarca sghembo, circondato da mogli, figli, amici e collaboratori. Sotto la maschera del fittizio Alberto Raganelli (cui presta il volto un ottimo, ma sacrificato, Philippe Noiret) si cela un uomo ombroso, in bilico tra estro e difficoltà economiche, che intesse con la figlia un rapporto di spigoli, irto di contraddizioni.
È la figura di Isabella (Chiara Caselli), alter ego della regista, il vero perno della narrazione, sebbene il genitore sia un motore immobile, la linea di demarcazione fra incertezza e norma. Spetta a lei il compito di ri-definirsi, di decomporre un’epopea personale destinata all’oblio, sommersa da dati fissi, mediati, relegati alla sfera pubblica. Il recupero del dato mnesico, spesso sottoposto a una serie di ‘costrizioni’ dettate dal sub-genere della commedia, del memoir, del racconto di formazione, impone un intento epistemologico teso alla comprensione dell’io, della sua metamorfosi osservata per tappe, attraverso frammenti e partizioni disorganiche.
Tra memoria e nostalgia
Il lavoro memoriale, già predisposto al filtraggio, procede lungo tre linee precise, che tengono insieme episodi distanti, emozioni disordinate: da un lato la rievocazione di un certo cinema, denso di citazioni ed estrinsecato dal padre (produttore temerario che «vende le intenzioni»); dal’altro l’effetto-nostalgia, le canzoni degli anni Cinquanta a fissare un periodo, quasi che l’oggi rimemorante abbia bisogno di spazi, di perimetri delimitati. Infine i colori, che il direttore della fotografia Acácio de Almeida fa virare all’azzurro, al pastello del mare, ai toni di un’estate assolata e ‘tipica’. Questa patina di revival, a tratti posticcia, fugge il rischio della mitizzazione e crea un collegamento emotivo riguardante il proprio destino; l’intento non è raccontare il passato bensì sfruttare le potenzialità del già fatto e rintracciare in esso le possibilità di crescita, il momento chiave della propria pacificazione.
La prima parte del film, con i trionfi del padre e l’infanzia di Isabella, colloca la bambina in uno spazio ideale, la casa delle vacanze affacciata sul Tirreno che domina, in verità, l’intera opera. Quest’area sospesa – dove regnano tensioni e riconciliazioni, invidie e affetti – segnata dall’odore di certi piatti, da pareti bianche e patii, è un luogo simbolico di rivendicazione, uno spazio del distacco – poi significativamente pignorato. La scoperta di sé, propria di ogni adolescente, procede in parallelo al ‘ricongiungimento’ familiare, al senso di unità che deriva da guai economici, rinsaldato vieppiù dalla salute di Raganelli.
Crescita e trasformazione
Chiara Caselli, al meglio dei suoi moduli espressivi, dona a Isabella un’inquietudine spregiudicata, al limite fra timidezza ed esagerazione. Tutto è bianco e nero nel suo universo giovanile, e in quanto tale la realtà ricreata da Infascelli si presenta incasellata entro rigidi schemi, dando al ricordo un’aura ‘reale’, tipica di un’età vissuta per divisioni. Lo sguardo retrospettivo – meglio, il cogito dell’età adulta – consente l’edificazione di un’archeologia familiare, iniettata di tenerezza e di un’insolita linfa poetica, necessaria a gettare luce sulla propria storia, sul cammino del sé e della successiva definizione.
Le relazioni di cui un’identità si nutre, che la compongono a varie fasi, sono fissate dall’autrice in totale naturalezza, la stessa in grado di effigiare volti indimenticabili – in special modo femminili: la madre (Masha Meril), devota compagna e vittima degli umori, degli sbalzi economici; Anna (Lucrezia Lante della Rovere), figlia amatissima prossima al matrimonio (in realtà un modo per evadere); infine Isabella, la più moderna, la ragazza del ‘nuovo corso’.
Un mondo in estinzione
In quest’opera tenera e riposante, che affronta – evitandoli – tutti i rischi del suo genere (compiacimento di sé, rappresentazioni statiche, eccessiva indulgenza), il crescere donna durante il ‘boom’ economico si intreccia con il destino di una categoria umana, quella dei produttori un po’ macchiette un po’ cialtroni alle prese con la trasformazione, ormai in atto, dell’intero sistema Italia. Ne emerge un ricordo velato di nostalgia, l’indagine di un universo in estinzione, condannato – pur con toni lievi – al giudizio del presente.
Tre motivi per vedere il film
- – La recitazione, le espressioni di Chiara Caselli
- – La fotografia
- – Il ricordo di un mondo sghembo, arruffone, comunque inimitabile
Quando vedere il film
In un pomeriggio d’estate, sull’onda del racconto e dei ricordi.
Ginevra Amadio
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