“Segreti segreti”: la lotta armata secondo Giuseppe Bertolucci

Segreti Segreti recensione film (una scena)

Titolo originale: Segreti segreti
Regia: Giuseppe Bertolucci
Sceneggiatura: Giuseppe Bertolucci, Vincenzo Cerami
Cast principale: Lina Sastri, Giulia Boschi, Lea Massari, Alida Valli, Mariangela Melato, Stefania Sandrelli, Rossana Podestà
Nazione: Italia
Anno: 1985

È forse la nozione di immaginario a spiegare il fascino di Segreti segreti. Una malia potentissima, tutt’altro che ricercata, esito del calibrato incontro tra ambizione etica ed estetica, laddove il racconto del terrorismo – meglio, di ciò che in Italia si ricollega, impropriamente, alle trame eversive degli “anni di piombo”, senza distinzione di gruppi e/o esperienze – assume, attraverso il modulo del discorso intimo, un carattere dirompente. L’opera di Giuseppe Bertolucci, regista appartato e senza filtri, è a tutti gli effetti un’indagine simbolica, che si situa a metà strada tra la Storia e l’inconscio, come a rompere i confini della tematologia, campo all’evidenza troppo stretto per comprendere le contraddizioni di un periodo indicibile, sovente associato al buio che è già metafora dell’insondabile, di ciò che esiste e non si coglie.

Storia e immaginario

Segreti segreti, dunque, in cui la ripetizione implica una sottolineatura, la consapevolezza di avere a che fare con l’ignoto, si connota per un rapporto non pacifico con il reale, presentandosi come un ‘archivio’ di forme, immagini e temi che interseca rimossi storico-cronachistici producendo una rappresentazione altra – ma non alternativa – dei dati fattuali. È un’operazione ardua, ambiziosa, passata inosservata per colpa dell’apparente calligrafismo di cui il regista, a differenza del fratello Bernardo, è in realtà quasi esente. Bella la fotografia, splendide le ambientazioni – dalla Venezia sospesa e livida dell’attentato iniziale all’Irpinia martoriata dal terremoto –, ma il maggior merito della pellicola è quello di svelare ostacolando la vista, di interpretare la realtà mistificandone i contorni.

Non che la narrazione si muova su un piano fantasmatico, giacché lo sparo che squarcia il silenzio delle calli è dolorosamente realistico, agghiacciante, così come il dramma della sorella dell’ucciso, vittima ‘collaterale’ del fuoco amico, perché gli ‘infami’ e i deboli si eliminavano, all’epoca. Come ogni formazione dell’immaginario, tuttavia, il film di Bertolucci porta nel discorso pubblico qualcosa di profondo, che non può essere raccontato esplicitamente. Rivela e occulta al tempo, tentando di conoscere ed esorcizzare perché la verità storica è imprendibile, è un accecamento della coscienza. Così, come l’inconscio i cui movimenti seguono percorsi differenti rispetto a quelli della coscienza, l’immaginario interseca l’ideologia senza esplicitarla, senza renderla palese.

Femminile plurale

Ecco allora che Bertolucci, dichiaratamente di sinistra, elude ogni discorso sugli usi politici del terrorismo, ogni speculazione sulle derive linguistico-rappresentative che segnano il racconto dei Settanta e sceglie di concentrarsi sul fuoco familiare, sull’interno borghese. Operazione già tentata, in letteratura e sul grande schermo, ma qui il complesso edipico, o ancora la dissolvenza paterna – con conseguente rifiuto del ruolo sociale – è scartata a favore di un contesto femminile, in cui è la madre più che il padre il grande ingombro, l’ombra di un’identità di genere e classe che si sovverte, si sommerge, fino a svelare il vuoto di prospettive, l’abbandono a sé stessa di una generazione.

Laura, che ha il volto intenso di Lina Sastri, fa la sua comparsa in un campo veneziano, parla con il volto e i gesti meccanici, cammina dritta, stretta nel cappotto lungo. Spara, freddamente, al magistrato e al compagno ‘indegno’, poi di lei non sappiamo più nulla, o almeno non conosciamo la sua militanza, i progetti di distruzione, finché nel finale sciorina i cognomi degli altri – pentita, lei sì, nel senso giuridico del termine – ed è un pugno allo stomaco, un cinismo che cambia direzione, dopo il suicidio della madre Marta (Lea Massari) e davanti al magistrato che indaga su di lei (Mariangela Melato).

Sogni e segreti

Nel mezzo una grande parentesi, che è poi la vita ‘vera’ di Laura, ragazza alto-borghese irretita dalla rivoluzione, incapace di reggere il peso della colpa come intuisce la governante Gina (Alida Valli), che nello sguardo della giovane coglie i segreti, le ossessioni, abbandonando la casa dopo quarantadue anni di servizio. È la noia il collante di queste anime, il brodo di coltura della militante pour cause, che pare esemplata su più figure esistite, a dimostrazione di come Bertolucci sappia cogliere dettagli, penetrare le anime e ricavarne frammenti di sguardi, gesti, espressioni. Anche Renata (Stefania Sandrelli), l’amica di famiglia tormentata e naïf, che si taglia le vene per attirare l’attenzione di qualcuno che non c’è, che esiste solo in un ipotetico altrove che dovrebbe corrispondere – ancora secondo le percezioni – all’esistenza ‘comune’, è un concentrato di nevrosi e simboli, smuove le coscienze anestetizzate con rari momenti di lucidità, come nel dialogo con Marta attorno al suicidio, che pare anticipare l’unico atto di rottura di questo universo asfittico.

Non è un caso che il personaggio più ‘forte’, di una fermezza che procede dal dolore, sia quello di Rosa (Giulia Boschi), sorellastra del militante ucciso, che come una madre pasoliniana attraversa Roma per ritrovare il fratello, per dar senso a una perdita che ha il sapore cristologico, in cui il capro espiatorio è vittima e carnefice mentre attorno si condensa il gelo della normatività, la perdita di senso di una scelta estrema. Più simile a Bellocchio che al quasi coevo Colpo al cuore di Gianni Amelio (1982), Segreti segreti ha la retorica dei sogni, procede per proiezioni, spostamenti, rimozioni. Come l’immaginario, in cui nulla accade per via diretta e gli schemi di interpretazione sono sempre fallaci, parziali. L’insurrezione armata, del resto, può raccontarsi solo così.

Tre motivi per vedere il film

  • L’interpretazione di Lina Sastri
  • La scena iniziale con l’arrivo del vaporetto alla Giudecca e i gabbiani che volano sulla Laguna
  • Le musiche di Nicola Piovani

Quando vedere il film

Dopo aver visto Diavolo in corpo di Marco Bellocchio, prima di Buongiorno, notte dello stesso

Ginevra Amadio

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IL VOTO DEL PUSHER
Regia
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Interpretazioni
Area tecnica (fotografia, effetti speciali, luci, scenografia)
Ginevra Amadio
Giornalista pubblicista, laureata in Lettere e Filologia Moderna. Lettrice seriale, amante irrecuperabile del cinema italiano e francese.
segreti-segreti-bertolucciOpera raffinata, stilisticamente impeccabile, Segreti segreti di Giuseppe Bertolucci condensa i discorsi sul terrorismo italiano tentando un'analisi intimistico-familiare dal sapore femminile. Ne esce un racconto poderoso, in cui sette ritratti di donne restituiscono il senso di un'epoca dolorosa e sfuggente.

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