Quentin Tarantino, così come i suoi film, è probabilmente il regista più discusso del mondo cinematografico di quest’era digitale.
Regista di origini italiane da parte di padre, dall’inizio degli anni ’90, è salito alla ribalta attirando l’attenzione del pubblico con uno stile tutto suo, diverso, lontano da quel commerciale tanto in voga in quel periodo. Parte con lui, infatti un autentico genere “pop”, intenso cinematograficamente, come la corrente artistica nata negli anni ’70. La sua arte infatti unisce temi (come la violenza e l’influenza da altri film) a determinate tecniche registiche ricorrenti (come i piani sequenza lunghi e il riprendere solo su pellicola) in maniera tanto particolare da far nascere un aggettivo, “tarantiniano”.
Un’arte che viene spesso analizzata, ammirata e criticata da tutti gli amanti della Settima Arte.
Il nostro Lorenzo, ad esempio, ci descrive il perché della sua passione per i film di Tarantino:
“Personalmente adoro ogni suoi film, su tutti Kill Bill Vol.1. In primis colpisce il carisma dei personaggi e l’incisività delle loro battute. Inoltre ho sempre trovato geniale questa cosa tutta sua di rendere la violenza divertente tramite la sua esasperazione, il tutto senza scadere nel trash demenziale. Tecnicamente ed esteticamente i suoi lavori sono sempre ben fatti e non ti pesa la loro lunga durata. Non c’è nulla che non mi piace, ma d’altronde parliamo di uno dei miei registi preferiti”.
La nostra Valeria invece va un po’ più nel dettaglio, dandoci un breve manuale di come analizzare i film di questo particolare regista:
“Tarantino è considerato da molti critici il maestro del cinema postmoderno. Il suo è un cinema autoriale: nelle sue pellicole è riconoscibile il suo stile ed è ben visibile la sua firma. Il cinema di Tarantino è prima di tutto un cinema citazionista. Da giovane il regista aveva trovato lavoro come commesso presso un negozio di noleggio film, i Video Archives di Manhattan Beach in California. Qui Tarantino si appassiona ai b-movies e al cinema italiano di genere, come gli spaghetti-western e il poliziottesco.
L’influenza di questi film è visibile nella sua produzione cinematografica. Ma Tarantino non gioca con lo spettatore solo attraverso il meccanismo della citazione. I suoi film sono disseminati da indizi che promuovono il brand Tarantino. I Big Kahuna Burger (venduti da una catena di fast food che esiste solo nei film di Tarantino) compaiono ne Le Iene, in Pulp Fiction e in Dal tramonto all’alba. Le red apple, fumate da Mia Wallace in Pulp Fiction, sono delle sigarette inventate da Tarantino che compaiono anche in From Dusk Till Dawn, Four Rooms, Kill Bill: Volume 1 e Grindhouse Planet Terror. Per i fan di Tarantino i suoi film sono l’occasione per giocare col regista, per fare una caccia all’indizio”.
Io, invece, non mi sono mai definito un fan del regista italo americano.
Ho adorato e ancora adoro Pulp Fiction. Un film d’azione, carico di interpreti preparatissimi, con un splendida sceneggiatura originale alle spalle, degna di quell’Oscar che vinse: basti pensare che la scena del ballo di Uma Thurman e John Travolta è diventato un vero e proprio cult.
Poi vidi Kill Bill e, ammetto, mi persi.
Ridevo durante il massacro, per via della musichetta messicana in sottofondo: non mi aspettavo quella reazione. Per tanto tempo ho vissuto quindi con il rifiuto di vederlo: lo ritenevo (lo ammetto rischiando di finire linciato) sopravvalutato. Finché non mi venne detta la frase:
“Ma la vera poesia è proprio in quella musica, non l’hai capito?”
Giunsi così a una semplice, ma non banale, considerazione: io Quentin Tarantino non lo capisco.
È un tipo di cinema, forse, troppo lontano e/o diverso dal mio modo di guardare e studiare la Settima Arte. Ammetto che ho imparato ad apprezzare molti dei suoi omaggi solo dopo essermi fatto una cultura nel campo cinematografico: C’era una volta a Hollywood ne è un breve e banale esempio.
Non nego però che è una figura importante per il panorama cinematografico contemporaneo: motivo per cui continuo (e continuerò) a vederlo e… a cercarlo.
Francesco Fario
Con la collaborazione di Lorenzo Patella e Valeria de Bari.
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