Il cattivo poeta, la visione finale di D’Annunzio

recensione film il cattivo poeta

La vita dei poeti, spesso e volentieri, è più affascinante della loro produzione letteraria. Il Cinema, infatti, dalle loro biografie ha fatto nascere dei veri e propri capolavori. Pensiamo a Iris-un amore vero o Truman Capote-A sangue freddo: entrambi hanno visto la vincita di un Oscar all’interpretazione. Anche le figure letterarie italiane non sono state da meno. Mi viene da citare Elio Germano in Il giovane favoloso, che gli valse il terzo David di Donatello. Quest’anno, un altro poeta sarà protagonista di una pellicola nelle sale italiane, quale Gabriele D’annunzio.

Dal 20 maggio infatti arriva in sala Il cattivo poeta, di Gianluca Jodice, narrante gli ultimi anni del Vate.

1936. La vita del bresciano Giovanni Comini (Francesco Patanè) sembra sorridergli. La promozione a più giovane federale d’Italia, un nuovo amore e un incarico importante direttamente da Roma. Starace in persona, infatti, gli affida una vera e propria missione: sorvegliare D’Annunzio (Sergio Castellitto), dando al partito tutte le informazioni su di lui: progetti, avventure amorose, pensieri. Il poeta abruzzese, infatti, ormai esiliato al Vittoriale, si è distaccato molto dalla linea politica dell’amico di vecchia data Mussolini: non approva l’alleanza con la Germania hitleriana, che porterà il mondo e l’Italia verso un baratro così profondo da non poterne uscire.

Nel mondo intellettuale, D’Annunzio è ancora molto influente ed importante: una sua parola potrebbe far cambiare i destini della storia. L’obiettivo di Roma è quindi quello di renderlo leggenda e rispettarlo come uno dei più grandi poeti viventi ma…non deve nuocere.

Comini entra presto nelle grazie del Principe di Montenevoso, il quale lo accoglie e si fida di lui, ben conscio comunque di chi sia e del suo obiettivo.

“Sei solo un soldato che esegue gli ordini” gli dice, mostrandosi quasi paterno e comprensivo. Il dubbio si instaura così nel giovane federale, combattuto tra gli ideali a cui ha dedicato la sua vita e quelle di un uomo di mondo. Infatti, nonostante questi sia malato, paranoico ed obnubilato dalla cocaina, è ancora lucido in lui non solo il fascino, ma anche la coscienza patriottica. Sembra fermo nel provare a far ragionare il capo del governo, prima che sia troppo tardi.

Film intenso e particolare, dal forte gusto anni ’30

Tutto ci fa respirare un’aria malinconica, vivente ma stanca…decadente!

Le musiche di Michele Braga ed i costumi di Andra Cavalletto permettono bene allo spettatore di immergersi nell’epoca. Complimenti scontati a Daniele Ciprì per la fotografia: dominante quella luce giallognola, chiara ma tendente allo scuro.

Un applauso importante invece va alla scenografia di Tonino Zera, capace di arredare gli ambienti quotidiani con carte da parati e muffe, dando a tutto uno spirito decadente…come il poeta; oppure di ridare giovinezza ad ambienti ormai mutati: molto interessante la visione panoramica di Piazza Venezia in quegli anni all’inizio del film. Peccato per il Vittoriale: si vede che è stato ripreso nei nostri giorni e non è fresco come allora, soprattutto gli esterni.

Molto bravo Sergio Castellitto. Il personaggio di D’Annunzio era stato solo una volta affrontato al cinema e il suo peso culturale è ancora grande, ma riesce bene nel suo intento. Peccato per la voce, troppo profonda rispetto alle registrazioni del Vate. È una cosa relativa: da voler trovare il pelo nell’uovo.

Elogi invece al già citato Patanè ed Elena Bucci.

Quest’ultima (che non ha bisogno di presentazioni circa la sua formazione teatrale) interpreta Luisa Baccara, la pianista fedele amante di D’Annunzio, regina indiscussa nel Vittoriale. La voce e gli occhi dell’attrice ci mostrano una donna preoccupata non dell’avvenire, ma solo della vita dell’amato. Bellissimo ed intenso il suo monologo su Fiume!

Patanè invece non sembra al suo primo film. Si vede anche in lui la preparazione accademica del Teatro di Genova. Regge bene il confronto con un Maestro come Castellitto e si muove da protagonista con una scioltezza da vero professionista. È lì, con Comini, nel pieno del suo lasciarsi andare a dubbi, conoscenze, dolori e sbigottimenti.

Cosa infine non scontata è il messaggio del film. Senza fare anticipazioni, vi dico solo: soffermatevi a capire il senso del titolo del film….

Audace come l’andante di una sinfonia, lento e doloroso come un graffio sulla schiena e malinconico come una foto, il film merita 4 stelle su 5.

Francesco Fario

Attore e regista teatrale, si laurea in Lettere Moderne a La Sapienza per la triennale, poi alla magistrale a TorVergata in Editoria e Giornalismo. Dopo il mondo del Cinema e del Teatro, adora leggere e scrivere: un pigro saccentone, insomma! Con Culturamente, ha creato la rubrica podcast "Backstage"

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