“Paura d’amare”: il cult di Garry Marshall

paura d'amare recensione film

Titolo originale: Frankie and Johnny
Regia: Garry Marshall
Sceneggiatura: Terrence McNally
Cast principale: Al Pacino, Michelle Pfeiffer, Héctor Elizondo
Nazione: Stati Uniti d’America
Anno: 1991

Una ‘nuova’ favola

È un equilibrio fragile quello di Paura d’amare (1991), favola moderna di gente ordinaria, riuscito adattamento di una commedia di successo. Garry Marshall – già regista del fortunato Pretty Woman  (1990) – si muove sul crinale tra passione e timori confezionando un prodotto dalle ascendenze pop, senz’altro modellato su un pubblico ideale, financo ammaestrato al sentimentalismo di consumo.
Il lavoro, seppur imperfetto, è comunque sostenuto da attori d’eccezione, capisaldi di una trama dai contorni labili, il cui andamento si fa a tratti sfilacciato, organizzato – anzi – in partizioni disomogenee.

Il racconto dei sentimenti in Paura d’amare

La love-story tra Frankie (Michelle Pfeiffer) e Johnny (Al Pacino) esplicita in pellicola l’altalena degli stati d’animo di coppia, laddove stizza e malessere si alternano a tenerezza ed euforia. È quest’attitudine a fare di Marshall il regista dei (buoni) sentimenti, intercettatore del senso comune blandito in forme rassicuranti, già in precedenza sondate come il ‘mito’ di Cenerentola (in Paura d’amare ampiamente rivisitato).

Fra dialoghi e panoramiche

La schermaglia amorosa di Paura d’amare è tuttavia impreziosita dal brio dei dialoghi, sicché l’incontro tra i due – un cuoco ex galeotto e una cameriera diffidente – risulta modulato su tempi precisi, giocati sull’alternanza silenzio/battute.
Il maggiore scarto rispetto al modello si registra, comunque, nella studiata abbondanza di scene corali, affollate di personaggi minori «dei sobborghi newyorkesi, ognuno con la sua carica di umanità dolente e scanzonata»[1]. Fra le colleghe di Frenkie, Nedda (Jane Morris) e Dora sono i campioni di un’alterità rifuggita, fiaccate succubi di un’esistenza già andata eppure pulsanti di vita, al pari dell’anziana cassiera dagli occhi vispi.

Garry Marshall campione di atmosfera

C’è solitudine, ancora, in questa quotidianità ‘banale’, come è per la cameriera dipendente dall’alcol, come mostra il brulichio della folla di una New York «dal basso», in quella che Fulvia Degl’Innocenti indica come una novità significativa – un turning point nel «panorama cinematografico statunitense»[2] generalmente teso a rappresentazioni cruente. In quest’atmosfera compassata, la fine delle incertezze segna un cambio di registro, ora orientato allo scandaglio del ‘cedimento’, quando Frankie accantona la paura d’amare e si affida a Johnny.

Irresistibile consolazione

Qui il tono cede al melenso, gli scambi si fanno triti, i simboli artefatti. Eppure Pacino e Pfeiffer sostengono la prova, rivestendo lo zuccheroso di una patina amara, legata all’abile rovesciamento di ruoli che investe l’extra-filmico, liberando lei dalla freddezza e lui dal rigido aplomp.
È nei dettagli meno evidenti che si annida la favola, l’ordinaria consolazione di una ‘piccola’ storia. Frankie e Johnny si scambiano gli spazzolini ri-ordinando la quotidianità. C’è forse qualcosa di più consolante?

Tre motivi per vedere il film

  • L’interpretazione di Al Pacino e Michelle Pfeiffer
  • I costumi
  • La scena in cui ascolano il Clair de lune

Quando vedere il film

Quando si ha voglia di romanticismo o, semplicemente, per scongiurare la paura d’amare.

Note

[1] F. Degl’Innocenti, Paura d’amare di Garry Marshall, in “Attualità cinematografiche. 1992”, Milano, Edizioni «Letture» 1992, p. 104.
[2] Ibidem.

Ginevra Amadio

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Giornalista pubblicista, laureata in Lettere e Filologia Moderna. Lettrice seriale, amante irrecuperabile del cinema italiano e francese.

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