Ombre rosse, la nuova strada del western

Ombre rosse recensione film

“Ho più paura di certe facce che degli indiani”

Titolo originale: Stagecoach
Regista: John Ford
Sceneggiatura: Dudley Nichols
Cast Principale: John Wayne, Claire Trevor, Andy Devine, Thomas Mitchell, John Corradine, Louise Platt, Donald Meek, Berton Churchill, George Bancroft
Nazione: USA

Ci sono film che, inserendo qualche ingrediente in più, hanno cambiato completamente il genere d’appartenenza: tra questi c’è sicuramente Ombre rosse di John Ford del 1939.

La trama

Siamo nel 1880. Da una piccola cittadina dell’Arizona parte una diligenza diretta verso i territori del Nuovo Messico. A prendere parte del viaggio ci sono Lucy Mallory (Platt), intenta a raggiungere il marito ufficiale di cavalleria; il mite venditore di alcolici Samuel Peacock (Meek), la prostituta Dallas (Trevor) e l’alcolizzato dottor Boone (Mitchell), entrambi cacciati via dalle dame della “lega della moralità”; il giocatore d’azzardo Hatfield (Corradine) e Rapahel Gatewood (Churchill), banchiere in fuga con il denaro della sua stessa banca. Oltre a loro, il postiglione Buck (Devine) e lo sceriffo Wilcox (Bancroft), che segue la diligenza poiché vorrebbe catturare il fuorilegge Ringo (Wayne), un uomo in cerca di vendetta degli assassini di suo padre e suo fratello.

La diligenza si muove e, anche dopo aver incontrato Ringo e preso in custodia, si ritrova a dover affrontare un viaggio nel deserto con l’imminente minaccia da parte della tribù indiana di Geronimo. Le personalità si scontrano, i caratteri si parlano, mostrando onesti furfanti e malefici galantuomini. Vedranno battaglie, battute, abbandoni, morti e nascite. Una volta arrivati a Lordsburg (meta finale della diligenza), il destino raggiunge tutti, facendo avere ad ognuno la fine che merita.

La rivoluzione nella trama

Tratto dal racconto La diligenza per Lordsburg di Ernest Haycox, Ombre rosse segna il ritorno al genere western di John Ford dopo 13 anni di lontananza. Molto però è cambiato dai tempi di I tre furfanti, in primis la sua esperienza. Ha vinto un Oscar per la Miglior Regia nel 1936 con una pellicola drammatica (Il traditore), ma anche affrontato altri diversi generi come quello storico (Maria di Scozia). Nel racconto di questa pellicola, Ford è un regista che non vuole più farsi notare ma aggiungere qualcosa di nuovo, iniziare a fare veramente la differenza.

Già nella trama, si comincia a intravedere la vera novità. Per la prima volta nella storia del Cinema, in un film western non ci si sofferma solo sui duelli o la corsa all’oro, ma sui conflitti sociali.

Gli standard e i cliché del genere vengono rispettati: la corsa con gli indiani, la storia d’amore, le varie sparatorie, la voglia di una nuova vita. Il regista non ne usa uno solo però, li unisce e crea anche dei personaggi che diventeranno dei veri e propri stereotipi dei western. I loro confronti, le loro dinamiche e quella trama nuova permettono ad Ombre rosse di diventare un vero e proprio cult, tanto da far rivalutare completamente il genere, prima considerato quasi di serie B.

La rivoluzione tecnica

Rispetto ai vecchi standard, Ombre rosse di John Ford rivoluziona anche la tecnica e il gioco della telecamera. Campi e controcampi si alternano come vuole il gioco classico della costruzione filmica di quei tempi; ma ci accorgiamo che Ford, per donare più linearità alla trama e attenzione alle dinamiche dei personaggi, usa una tecnica che per l’epoca può sembrare un errore, ma in realtà è tutt’altro: lo scavalcamento di campo.

Pensiamo alla scena della stazione di posta, dopo il furto dei cavalli, quando Dallas ha in braccia la piccola con Rigo vicino a lei. L’uomo vede Dallas da sinistra a destra, la quale guarda nelle stesse direzioni, quasi sembrando sia di spalle.

I vari livelli di interpretazione

Molti e molti saggi hanno provato a dare una forma d’interpretazione ad Ombre rosse. Marc Ferro, in un saggio del 1980, ad esempio, lo paragona alla Storia, non solo intesa come quel periodo vero e proprio; ma anche come (cito) “fonte” ed “agente” della storia, poiché ci aiuta anche ad analizzare la società cinematografica americana post-new deal, nel momento stesso in cui la sta cambiando.

Quelle che a mio avviso sono da considerare e meno scontate sono legate al genere cinematografico e al rapporto con l’etnie.

Il primo è l’esaltazione di come la pellicola riesca, nonostante l’appartenenza ad un genere specifico, quale il western, riesca ad unirne altri molto noti. Primo fra tutti, quello romantico. Si aggiunge poi quello che è diventato uno dei classici dei film americani, cioè il road movie, cioè i film sul viaggio.

La seconda invece è forse più legata alla xenofobia. Impossibile non notare la cattiva rappresentazione di indiani e messicani: i primi seguono la tradizione negativa dei western, che li vede come figure senza anima; mentre i secondi vengono descritti come abili ladri, capaci di rubare cavalli mentre altri suonano ed “incantano” i ricchi yankees.

Premi e riconoscimenti

Ombre rosse concorse agli Oscar nel 1940. Un anno importante, dove Victor Fleming, in qualità di regista, concorse con Via col vento che si aggiudicò 8 statuette, tra cui quello alla prima attrice afroamericana; e con Il mago di Oz, che ne vinse 2 lanciando anche una delle più grandi star di Hollywood, quale Judy Garland.

Il film di John Ford era candidato per 7 Oscar, vincendone 2, quali la Miglior Colonna Sonora e il Miglior Attore Non Protagonista a Thomas Mitchell, il quale vinse la statuetta per questa commedia e non in qualità di padre di Rossella O’Hara.

3 motivi per vedere il film

  • Thomas Mitchell, drammaticamente comico in uno dei suoi ruoli più iconici
  • Berton Churchill, in una parte…così opposta a lui
  • Sentire dalla bocca di Louise Platt, durante l’inseguimento tra gli indiani e la diligenza, una delle frasi più note della cinematografia

Quando vedere il film

È il classico film da cineforum: è da studiare, da capire. Non è il classico film western, ma è la nuova vita dei Film Western. Pomeriggio, con pop corn.

Francesco Fario

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IL VOTO DEL PUSHER
Regia
Interpretazione
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Area tecnica
Attore e regista teatrale, si laurea in Lettere Moderne a La Sapienza per la triennale, poi alla magistrale a TorVergata in Editoria e Giornalismo. Dopo il mondo del Cinema e del Teatro, adora leggere e scrivere: un pigro saccentone, insomma! Con Culturamente, ha creato la rubrica podcast "Backstage"

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