Titolo originale: Notting Hill
Regia: Roger Mitchell
Sceneggiatura: Richard Curtis
Cast principale: Julia Roberts, Hugh Grant, Rhys Ifans, Emma Chambers, Emily Mortimer
Nazione: Regno Unito, Stati Uniti d’America
Anno: 1999
Un affresco destinato al mito
Lineare, surreale, votato alla levità come carattere dominante. Notting Hill di Roger Mitchell è a tutti gli effetti un film iconico. L’aura fiabesca – sostenuta da una fotografia vicina all’illustrazione – orienta la ricezione verso l’idea del “per sempre“, un qui e ora valido senza posa. La storia d’amore tra Anna Scott (Julia Roberts) e William Thacker (Hugh Grant) trae origine da una vagheggiamento di Mitchell stesso, intento a fantasticare – come i comuni mortali – sull’incontro impossibile con una personalità in voga:
«Qualche volta mi domando come sarebbe se mi presentassi a casa dei miei amici, dove di solito ceno una volta a settimana, con la persona più famosa del momento, Madonna o chiunque altro. Tutto è nato da lì. Come avrebbero reagito i miei amici? Chi proverebbe ad essere fico? Come sarebbe passata la cena? Che cosa avrebbero detto poi?»
Notting Hill come spazio emozionale
Tale spunto immaginativo si colloca sullo sfondo di un luogo ideale, puntellato da spazi verdi e piccole botteghe, case bianche e vicoli stretti. Londra – tra Portobello Road e Notting Hill – è assunta a modello del “field of care“, spazio in cui far convergere umori ed emozioni, certo individuali ma soprattutto intime – dotate di un portato teneramente universale.
I personaggi ritratti – una diva autoironica e un libraio gentile, perso tra i “dindirindina” e gli sguardi sognanti – sono perfetti caratteri di un plot favolistico, già in parte esperito da Pretty Woman (1990) di Garry Marshall e Un amore tutto suo (1995) di Jon Turteltaub. L’incontro fra i due è sublime, un appuntamento col destino che appartiene ai sogni dell’uomo comune – sempre teso a consumare la vita mentre gli slanci restano su carta. Il giovane Thacker, amante di Henry James e coinquilino del freak più socievole della storia (Spike, alias Rhys Ifans), rovescia una bevanda sulla maglia della Scott, camaleontica attrice col bisogno di tranquillità.
La costruzione dell’immaginario in Notting Hill
Effigiata da una splendida Roberts – tanto naturale da innescare un cortocircuito interprete-personaggio – la superstar hollywoodiana è una sorta di Alice nel paese dei “normali”, dove innocenza e diversità si fano caratteri dominanti, chiamati ad aprire un varco nel muro posticcio dello star system. Tutto in Notting Hill rivela un’attrazione per i margini – dell’universo sociale e di quello reale – e tutto è legato al dominio dell’immaginario.
Patinato ma non troppo, deliziosamente sospeso tra humor e “salsa rosa” il film di Roger Mitchell costeggia zone di ricezione dai confini pacificati, mette in scena amore, peripezie e rinunce già assimilate dall’orizzonte d’attesa. Non è un male né un’astuzia, giacché la pellicola lavora su stilemi estremamente duttili, qui arricchiti da un ritmo piano e dunque lontano dagli alti e bassi delle rom-com, che pure ci sono ma risultano infrazioni – incidenti sapidi di un percorso lineare.
Verso il lieto fine
Così l’arrivo del fidanzato americano, coinvolto in un gioco degli errori (scambia Thacker per un cameriere) e subito ri-condotto al suo destino di arroganza, mentre sulla coppia aleggia un alone serafico e lievemente imperscrutabile.
Non c’è nulla che ci turbi in Notting Hill. Nulla che rovesci le convinzioni, niente che conduca allo stravolgimento finale. La chiusa – sognante e lieta – è il punto di approdo di un amore sempreverde, di un viaggio senza meta: «surreale ma bello».
Tre motivi per vedere il film
- La colonna sonora (She di Elvis Costello è indimenticabile)
- La scena dell’incontro con la stampa (Cavalli e segugi…)
- Le battute di Spike
Quando vedere il film
Se si ha voglia di romanticismo: quando, sennò?
Ginevra Amadio
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