Titolo originale: Control
Regia: Anton Corbijn
Cast principale: Sam Riley, Samantha Morton, James Anthony, Alexandra Maria Lara, Joe Anderson, Toby Kebbell
Nazione: Australia, Giappone, Regno Unito, USA
Anno: 2007
Control, film diretto da Anton Corbijn, racconta la vita di Ian Curtis, leggendario cantante dei Joy Division, che si è suicidato nel 1980, all’età di 23 anni, perché depresso in quanto afflitto dall’epilessia, dal matrimonio fallito e dalle emozioni che lo consumavano.
I premi
Il film, presentato alla Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes nell’edizione del 2007 ha vinto il Premio dell’arte & di Essai di CICAE di Regards Jeunes, il riconoscimento come miglior film europeo e come miglior film del Sidebar. Indipendentemente dai premi vinti, comunque, Control è un film che ha riscosso un enorme successo di critica e di pubblico.
La regia di Anton Corbijn
Corbijn ha iniziato la sua carriera come fotografo: è, infatti, l’autore che ha regalato alla storia del rock (e dintorni) molte delle fotografie che hanno costruito l’immaginario musicale di una generazione. La lista di artisti immortalati da Corbijn è lunghissima: Nick Cave, Joni Mitchell, Depeche Mode, Kurt Cobain e i Nirvana, Arcade Fire, Coldplay, Tom Waits, Rolling Stones, Metallica, Lou Reed, Morrissey, Michael Stipe e i REM, Jeff Buckley, David Bowie, Patti Smith, Iggy Pop, Bjork e, ovviamente, i Joy Division. La sua cifra stilistica è immediatamente riconoscibile: bianco e nero a forte contrasto, immagine dallo stile pulito e “minimal”; composizione elegante.
Tutte queste caratteristiche dell’autorialità di Corbijn sono evidenti anche in Control, film che segna il suo debutto cinematografico.
Con la sua regia delicata ed elegante Corbijn non mitizza Ian Curtis, ma lo racconta come essere umano. Curtis era, dopotutto, molto poco rock’n’roll in alcuni ambiti della sua vita: si è sposato all’età di 19 anni ed era impiegato come consulente presso l’ufficio di collocamento locale. Anche l’epilessia è mostrata semplicemente come l’ostacolo alla vita e all’arte di Ian, senza cavalcare il sentimentalismo. Non c’è, da parte del regista, la voglia di indugiare con lo sguardo sulla tragicità insita nella malattia.
L’importanza degli oggetti
Gli oggetti, immortalati nella loro staticità, diventano protagonisti nella narrazione dello stato emotivo di Ian. Si pensi ad esempio al cantante che fissa la carrozzina di sua figlia, esprimendo il senso di oppressione provocatogli dalla genitorialità.
Un altro oggetto iconico di Control è rappresentato dallo stendino, che diventa il simbolo della parabola discendente dell’emotività di Ian Curtis: la prima volta che Corbijn sofferma lo sguardo della macchina da presa su questo elemento Ian e sua moglie si sono appena sposati e sono, tutto sommato, felici; la seconda volta la telecamera indugia sullo stendino colmo di abiti da neonata a testimoniare una crisi in atto; la terza e ultima volta il regista utilizza l’oggetto per narrare la tragica fine della vita e della storia.
L’interpretazione di Riley e Morton
Sam Riley offre una performance superba nei panni di Ian Curtis, ricreando i suoi manierismi sul palco, l’incurvatura sul microfono con le palpebre abbassate, le strane e scoordinate posizioni. Riley è semplicemente eccezionale nei panni del romantico e goffo Curtis. Samantha Morton offre la migliore interpretazione della carriera nel ruolo della modesta Debbie, la moglie quasi bambina che ispirerà la celeberrima canzone Love will tear us apart.
Anche Toby Kebbell è brillante nei panni dello spiritoso manager della band, Rob Gretton, che riesce spesso a strappare dei sorrisi allo spettatore.
3 motivi per guardare Control:
- La misura e la sobrietà con cui Corbijn ricostruisce lo strazio interiore di Ian Curtis, evitando accuratamente di assumere uno sguardo voyeristico;
- La colonna sonora, composta dai brani più belli della band post-punk protagonista del film assieme al suo front-man;
- La già citata interpretazione di Sam Riley.
Quando vedere il film:
Quando si è nostalgici e si ha voglia di immergersi in atmosfere anni Settanta.
Valeria de Bari
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