Volando nel cielo sopra Berlino, gli angeli sognavano la mortalità

Il cielo sopra Berlino recensione film

“Il tempo guarirà tutto. Ma che succede se il tempo è la malattia?”

Titolo originale: “Der Himmel über Berlin”
Regia e soggetto: Wim Wenders
Sceneggiatura: Wim Wenders, Peter Handke e Anatole Dauman
Cast principale: Bruno Ganz, Solveig Dommartin, Otto Sander, Peter Falk
Nazione: Germania Ovest, Francia
Anno: 1987

“Il cielo sopra Berlino” è un cult del cinema europeo d’autore e uno dei maggiori capolavori del regista Wim Wenders. Non a caso il regista tedesco fu premiato per la migliore regia per questo film al Festival di Cannes del 1987, anno di uscita e di ambientazione del film.

Il film quindi è della fine degli anni ’80, ma è girato con dei richiami al neorealismo, per l’uso del bianco e nero e il racconto per immagini delle vite dei berlinesi. I loro pensieri sono letti dagli angeli che popolano il cielo sopra Berlino, divisa dal Muro anche se ancora per pochi anni. Tra questi angeli ci sono Damiel (Bruno Ganz) e Cassiel (Otto Sander).

La trama

L’angelo Damiel ascolta i pensieri degli esseri mortali da millenni, ma comincia a desiderare di non essere più eterno. L’eternità è il suo problema, il non essere soggetto allo scorrere del tempo. Il tempo è la sua “malattia” e non il suo galantuomo curatore, potremmo dire. Damiel desidera essere ancorato a terra, come gli esseri mortali. Fare qualcosa per davvero, entusiasmarsi per il corpo (“per un pranzo … per una nuca”), non più solo per lo spirito; vorrebbe mentire spudoratamente, rimanere solo.

Si imbatte in Marion (Solveig Dommartin), un’acrobata che vive il sogno del circo e se ne innamora. Il sogno di Marion finisce dopo dieci anni, deve lasciare il circo e sente un vuoto. Ma non sente il dolore della perdita o dell’insuccesso. C’è piuttosto freddezza, assenza di piacere. L’assenza del piacere d’amare e la nostalgia dell’amore sono ciò di cui Marion è afflitta e consapevole.

Il cielo sopra Berlino
Solveig Dommartin è Marion ne “Il cielo sopra Berlino”

L’innamoramento per Marion e l’incontro con un sorprendente ex-angelo, unico umano che si accorge della sua presenza (Peter Falk), convincono Damiel a rinunciare all’immortalità asessuata e a diventare un essere mortale che può amare.

Ne “Il cielo sopra Berlino” gli angeli non sono gli unici protagonisti: al centro campeggia la città del titolo.

È Marion a dirci che “non ci si può perdere a Berlino. Si arriva sempre al muro”. Questo film sembra voler fare i conti con il passato dell’attuale capitale tedesca e con il suo presente degli anni ‘80, fatto di doloroso smarrimento e separazioni familiari e affettive.

Da un lato, infatti, ci sono i ricordi tragici degli anziani sulla Seconda Guerra Mondiale e sulle macerie post-bombardamenti. Si sta girando anche un film sui campi di concentramento con Peter Falk, che nell’opera di Wenders interpreta  se stesso.

Dall’altro, c’è la scena struggente che vede protagonista la triste Potzdamer Platz, che si trovava nella linea invisibile tra il settore russo e quello americano. La costruzione del Muro la divise in due per quasi trent’anni. Nella scena un anziano che la cerca smarrito, ricordando il caffè che frequentava negli anni ’20 prima di Hitler, ci sta camminando in mezzo ma non la riconosce più. Se ci andate oggi, è di nuovo completamente diversa e irriconoscibile da quello che si vede nel film.

La fotografia

La fotografia valorizza il racconto della città. Il direttore è Henri Alekan, famoso all’epoca per aver lavorato con Jean Cocteau ne “La bella e la bestia”, altro film cult in bianco e nero.

Alekan e Wenders scelsero di giocare con l’alternanza del bianco e nero e del tecnicolor. Utilizzarono il colore per le scene con il punto di vista umano e una tinta monocromatica virata seppia per le scene con il punto di vista degli angeli. Non è un caso che il primo passaggio dal bianco e nero al colore è improvviso e avviene quando compare Marion, volteggiando sul suo trapezio. Significativa è anche l’ultima scena del film, a colori tranne nell’angolo dove staziona Cassiel che, essendo ancora un angelo, rimane monocromatico.

Gli angeli sono in bianco e nero, perché colgono le cose essenziali della vita. Sono esseri che possono sentire i pensieri più reconditi degli uomini, in grado di conoscere i fatti prima che questi accadano. Ma, allo stesso tempo, sono limitati rispetto agli esseri umani e non possono intervenire per cambiare la realtà delle cose.

Al technicolor, infatti, si passa quasi definitivamente quando l’angelo Damiel diventa umano, cadendo dal cielo. Per capire davvero tutto quello che ha appreso nei millenni, deve calarsi nella vita umana: sentire i sapori, distinguere i colori, percepire il freddo. Deve scoprire la vita, come farebbe un bambino.

D’altronde, ne “Il cielo sopra Berlino” gli unici essere umani che riescono a vedere gli angeli sono i bambini. Inoltre, la poesia “Elogio dell’infanzia”, del co-sceneggiatore Peter Handke, fa da leit motiv nel corso di tutto il film.

La bellezza e l’originalità de “ll cielo sopra Berlino” rendono ancora più difficile apprezzare i più recenti lavori di Wim Wenders, come “Submergence”. In quest’ultimo quasi niente sembra essere al suo posto. Ne “Il cielo sopra Berlino”, invece, nulla stride. Neanche Peter Falk nel ruolo di se stesso – che però è anche un ex angelo – né tanto meno Nick Cave. Qui la sceneggiatura è complessa e impegnativa, ma significativa, senza apparire barocca o pretenziosa.

Wim Wenders dedica il film agli ex angeli François, Jasujiro e Andrej ovvero ai registi Truffaut, Ozu e Tarkovskij, ai quali evidentemente sente di dovere molto.

3 motivi per guardarlo:

–      per prepararvi al vostro prossimo viaggio a Berlino: vi darà un’idea di com’era diversa la città quando era divisa;
–      perché è un fulgido esempio del talento di Wim Wenders;
–      per godersi l’ennesima interpretazione intensa e il sorriso ironico di Bruno Ganz.

Quando vedere il film:

In un pomeriggio di riposo, quando volete regalarvi la bellezza del cinema d’autore.

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Stefania Fiducia
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Stefania Fiducia
Splendida quarantenne aspirante alla leggerezza pensosa. Giurista per antica passione, avvocatessa per destino, combatto la noia e cerco la bellezza nei film, nella musica e in ogni altra forma d'arte.

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