Wim Wenders, genio del cinema tedesco, dirige “Submergence”, un film ambizioso ma poco riuscito, nelle sale dal 22 agosto.
L’ultima pellicola di Wim Wenders, Submergence, racconta la storia d’amore tra Danielle Flinders (Alicia Vikander) e James More (James McAvoy), due persone molto profonde che svolgono professioni piuttosto impegnative e, potenzialmente, di grosso impatto sull’umanità. James McAvoy film
Lei, infatti, è una biomatematica, studia lo strato più profondo del mare. Si appresta a raggiungerlo con un sottomarino, per trovare conferme alla sua teoria sull’origine della vita sulla Terra e una soluzione alla penuria di ossigeno, che presto il Pianeta dovrà affrontare. Lui, invece, lavora per i servizi segreti britannici ed è coinvolto in una missione in Somalia, con l’obiettivo di rintracciare una base di attentatori suicidi infiltrati in Europa.
Si incontrano casualmente in un hotel in Normandia, entrambi in vacanza poco prima di affrontare ognuno la propria missione. In pochissimo tempo si “riconoscono” e innamorano.
Quando si separano, per andare ognuno a salvare un pezzo del destino del mondo, si capisce subito che il loro legame è già profondo.

Resterà come legame mentale per tutto il film, nonostante lo spazio che li separa. James viene preso in ostaggio dai combattenti jihadisti e non può mettersi in contatto con Danny. Ne passerà e ne penserà di tutti i colori. Lei sta per immergersi sul fondo dell’oceano e per mesi guarderà il telefono in attesa di un messaggio o di un contatto da James. Ma quella connessione mentale non si spezzerà mai.
L’elemento ricorrente di tutto il film è l’acqua, che unifica i due personaggi, visto che James è un ingegnere idraulico (e questa è anche la sua copertura come spia). Ed è ,soprattutto per Danielle, motivo di riflessione costante.
Wim Wenders ha progettato con lo sceneggiatore Erin Digman un film ambizioso: un amore intenso intrecciato a temi importantissimi come l’ambiente, la jihad islamica, il senso della vita.
La sceneggiatura di “Submergence” è di Erin Digman, ispiratosi al romanzo omonimo di J.M. Ledgard, giornalista dell’Economist che si era basata sulle proprie esperienze di vita e di lavoro in Somalia.
Le immagini sono perfette, grazie all’indubbio talento di Wim Wenders e all’ottima fotografia di Benoît Debie.
Le scene ariose e piene di luce e spazio dell’incontro dei protagonisti faranno da contraltare a quelle di prigionia di James. Si gioca molto con la luce e l’oscurità, temi non solo visivi di “Submergence”. Anche sul piano narrativo, quando James è nella luce, Danielle è nelle tenebre e viceversa.
Il montaggio serve la narrazione attraverso un’alternanza abbastanza equilibrata tra flashback e flashforward. I moltissimi primi piani di James MacAvoy sfruttano la sua espressività, quella sì evidente.

La pellicola, quindi, è di grande impatto visivo, ma scorre lento e “insipido”. Non riesce mai ad emozionare davvero, nonostante gli importantissimi temi trattati. Né i singoli personaggi, né il loro intenso rapporto d’amore seguono un vero percorso.
Non sono chiari, poi, il ruolo e la funzione narrativa del personaggio del Dr. Shadid (Alexander Siddig) medico che deve curare James durante la prigionia. Si limita a mostrare la contraddizione di chi lavora per i terroristi, affermando che la medicina è misericordia, la jihad un dovere.
Con “Submergence” si vorrebbe esplorare il senso della vita dai due diversi punti di vista dei protagonisti, costruendo tra loro un dialogo – anche a distanza – che porta proprio verso un’immersione.
Ma il risultato, purtroppo, non è felice. Ne è nato un film che definirei didascalico e poco credibile.
Non che il cinema debba esserlo per forza, anzi. Deve, invece, anche far sognare o immaginare la realtà in modo diverso o nuovo. Ma, in questo caso, manca proprio l’elemento della verosimiglianza.
Purtroppo è quindi un film “freddo”, che non riesce ad appassionare, nonostante le premesse della trama, ossia un intenso sentimento che lega i due amanti oltre lo spazio e i temi seri che affronta e la bravura tecnica di tutti: regista, direttori della fotografia e del montaggio e interpreti.
Forse il vero tallone d’Achille è proprio la sceneggiatura. Citare “Nessun uomo è un’isola” di John Donne è utile a far capire il significato del film. Ma non basta allo spettatore per sentirlo davvero dentro dopo la visione.
Stefania Fiducia