Sono sempre stata una grande fautrice dei bei titoli. Un articolo non è completo senza un bel titolo, ad effetto, che lasci il segno e colpisca subito il lettore. Non parlo ovviamente di quei titoli che vanno molto di moda ora, quelli sensazionalistici, che poi apri l’articolo e parla di tutt’altro. Del resto quello del titolista è un mestiere ben più interessante del clickbait.
Eppure, con The Handmaid’s Tale ho smesso di mettere titoli. Mi limito a scrivere “recensione dell’episodio numero X” perché in realtà la serie mi crea un tale disagio da non riuscire davvero a esprimere bene niente. Non è possibile racchiudere in poche parole il concetto di ogni episodio. E forse è una mia pecca, ma non credo, perché ve l’ho detto: ho sempre amato i titoli. Scrivo anche quelli degli altri, figuriamoci.
Solo che qui la situazione è complicata, e allora uno per non cadere nell’ovvio, rende il titolo minimale e confida nel lettore. Ecco, è un atto di fiducia da recensore a lettore quello di scrivere un titolo così. Senza anima. Perché il lettore che segue questa serie può comprendere il mio disagio. E quindi io spero che il lettore clicchi, che il lettore apra le mie recensioni perché ha capito che mi ci vogliono più di cinque parole per descrivere la violenza.
Casa dolce casa?
In questo settimo episodio della quarta stagione, dal titolo “Home”, siamo finalmente a casa. Se per casa possiamo intendere un posto dove siamo al sicuro. Eppure, non c’è mai stata tanta violenza. Nella calma serafica di una civiltà ritrovata, June porta con sé la ferocia di Gilead. Si aggira silenziosa, prova a tornare velocemente tra le braccia di un’impossibile normalità. Eppure, anche la testarda June, deve accusare il colpo. Lo fa a testa alta, come sempre, ma deve leccarsi le ferite.
E come si lecca le ferite una leonessa? Prevaricando, schiacciando. Attuando quello di cui è stata vittima. Tra le sue mani ora Luke, marito paziente e tenero, poi le amiche vecchie e nuove – Moira, Emily, Rita – e ancora, tra le sue mani Nichole, figlia ritrovata, e infine Serena, l’artefice di questa distruzione, di questo dolore.
La fierezza di June non conosce limiti, e già sappiamo che questo piccolo nuovo mondo le starà stretto. Dubito fortemente che la nostra ex ancella potrà tornare alla vita che conduceva, ma tutto ora è propedeutico ad un unico approdo. Quello della giustizia. Forse non ce ne sarà mai abbastanza, ma tentare non nuoce. June si è lasciata dietro una figlia, un amore, anni della sua vita che non potrà dimenticare. E che forse non vuole dimenticare.
At Last… canta Etta James in questo episodio. Alla fine…ma forse siamo solo all’inizio.
Alessia Pizzi