L’avanguardia artistica di Digitalife: flussi dati e infiniti virtuali

Nirvana di infiniti virtuali, giochi d’acqua vicini a raffigurazioni olografiche e confusione sensoriale indotta: queste le meraviglie artistiche del Digitalife 2016. Noi le abbiamo provate!

 (c) Cristina Vatielli
La grande banca dati illusoria di Deep Dream_Act II del collettivo None. (c) Cristina Vatielli

Ieri 6 ottobre a Roma è stato presentato in anteprima stampa l’allestimento d’arte immersiva di Romaeuropa Digitalife 2016, a La Pelanda del Macro al Testaccio. Giunta alla settima edizione, la mostra apre oggi al pubblico fino al 27 novembre ed è a cura di Richard Castelli.

Quest’anno vengono presentate tre opere internazionali, dal Giappone all’Italia, che prevedono una fruizione del lavoro dall’interno della creazione d’arte ambientale. Abbiamo avuto modo di sperimentarle tutte.

Romaeuropa Digitalife 2016 Macro Testaccio Pelanda
ZEE non è fotografabile. La retina dell’occhio umano di per sé fatica nel mare di stimoli ad elaborare un’immagine di quel che va accadendo. Una fotocamera incontrerebbe maggiori difficoltà.
Con ZEE dell’austriaco Kurt Hentschläger l’immersione assume la forma di un totale annientamento dell’orientamento sensoriale. Guidato dallo staff del Digitalife, il pubblico viene introdotto a gruppi di dieci persone per volta in una sala avvolta nella nebbia. Si viene abbandonati in un luogo nel quale è impossibile vedere al di là del palmo della propria mano, dove l’aria densa di vapore inghiotte i punti di riferimento, dal pavimento al soffitto. A viaggiare per il volume condensato sono i bagliori luminosi di luci stroboscopiche e pulsanti. Varie tonalità di colore vengono rapidamente generate in una pioggia costante di stimoli, trasformati nell’unico elemento visibile. Ossia un’aurea abbagliante e mutevole, che il cervello non sa come elaborare. Nelle intenzioni di Hentschläger si vuole spingere la mente, centro di creazione ed interpretazione del nostro universo percettivo, a ricostruire il mondo a noi circostante nella totale assenza di input conoscibili. Gli stimoli luminosi passano nella retina come un caleidoscopio, identico a quei giocattoli per bambini che distorcono lo sguardo dell’osservatore. In momenti di tale confusione visiva i ricordi e le suggestioni della memoria inventano figure e luoghi che escono dalla nebbia con una vividezza affascinante. Con le palpebre chiuse l’effetto è ammorbidito e tuttavia presente come ulteriore modifica dell’esperienza. Si può vagare liberamente o seguire una corda. Gli incontri con gli altri partecipanti non mancano, preceduti da un preavviso breve di sagome nella nebbia. Sono contatti sorpresi: ci si guarda perdersi nuovamente nel nulla. Le allucinazioni percettive del cervello non ne vengono influenzate. L’atmosfera non è magica: è spirituale e surreale, divinatoria. Alle improvvise esplosioni di luce, reminiscenze di 2001, Odissea nello Spazio, si accompagnano momenti di puro e stabile colore. Questo riempie l’aria con poesia indescrivibile e rende immersi in totale e liberatoria percezione. Una musica elettronica di sottofondo dai crescendo improvvisi e alienanti è compagnia costante dell’esperienza. Lo spazio, reso liquido, ispira così la sensazione di un volo attraverso una dimensione del quale ognuno avrà un’esperienza differente. La durata del viaggio è di dodici minuti. La grande illusione di Hentschläger è un al di là olografico di grande bellezza, in memoria del suo amico e cognato Zelko Wiener.

(c) Cristina Vatielli
Il gioco di specchi di Deep Dream_Act II.  (c) Cristina Vatielli

Lasciando ZEE ci spostiamo al seguente allestimento, situato all’altro capo dell’edificio e opera stavolta del collettivo italiano None. Si tratta di Deep Dream_Act II e porta il nome di un algoritmo scoperto per caso da Google nell’ambito dello sviluppo di reti neurali virtuali. Esso è in grado di metabolizzare un flusso di dati e produrne risultati creativi inaspettati. La struttura dell’opera è un percorso a croce rivestito di specchi, alternati a schermi a parete dotati di sensori kinect. Questi ultimi interagiscono con il pubblico e trasmettono sequenze a cascata di immagini e video, raccolti dalla rete attraverso il gruppo Facebook DeepDream Open Archive. Per chi lo volesse è possibile accedere al proprio account Facebook e collegarlo temporaneamente al sistema dell’installazione, per poter vedere parte delle proprie foto scaricate nella pioggia di dati di Deep Dream.
In esso il senso dello spazio è ampliato all’infinito per il gioco di riflessi e si ha l’illusione di trovarsi all’interno di una banca dati. Nelle intenzioni del collettivo, mi spiega Gregorio De Luca Comandini, si vuole mostrare la doppia faccia della realtà umana contemporanea: il materiale quotidiano e la vita virtuale, eccezionalmente superficiale, con una preponderanza enorme di gattini e pornografia. Queste sono le informazioni che scorrono davanti agli occhi a varie velocità, alternando ritmi di improvvisa esplosione a momenti di calma nella trasmissione. Il flusso è specchio della coscienza collettiva dei materiali che carichiamo ogni giorno nella rete: emette suoni inquietanti e lascia presagire l’illusione di una forma di consapevolezza della nostra presenza al suo interno. Che questa possa osservarci; che le nostre informazioni possano guardarci in distorsioni di codici; che ci si trovi di fatto nel sogno di una mente virtuale: tali sono le impressioni che scaturiscono da Deep Dream_Act II. Impossibile non pensare alla fantascienza distopica del secolo scorso.

(c) Cristina Vatielli
Deep Dream_Act II in un momento di particolare “rumore”. (c) Cristina Vatielli

Il collettivo None unisce artisti, ingegneri ed informatici in un’esperienza autonoma rispetto alla professione di ciascuno. Il gruppo è di casa a Garbatella. Delle visuali interattive si è occupato Andrew Quinn; del sonoro in particolare Luca Spagnoletti e del video Ippolito Simion e Federico Marchi per So What Picture.

Romaeuropa Digitalife 2016 - Macro Testaccio
Sovrapposizione di piani durante ST/LL con 3D Water Matrix di Takatani.

Terza installazione di Digitalife è 3D Water Matrix del giapponese Shiro Takatani, da un’idea condivisa con Richard Castelli. Parliamo di una cascata d’acqua verticale, dall’alto verso il basso, con un flusso regolato da novecento valvole magnetiche computerizzate. Di fatto una macchina, ma non l’opera d’arte propriamente intesa, che al contrario è data dalle composizioni liquide che lo strumento permette di produrre. Giochi d’acqua che sfidano la forza di gravità grazie alle illusioni ottiche di una combinazione di elementi, da getti d’aria all’utilizzo di luci stroboscopiche a cambi nel flusso. Due saranno le coreografie messe in scena: ST/LL di Shiro Takatani e The Sorcerer’s Apprentice di Christian Partos. Per l’anteprima stampa era pronta solo ST/LL.

(c) culturamente.it
ST/LL al termine di una sessione. La macchina nello spazio. (c) culturamente.it

Nella sequenza di Takatani la pioggia è rallentata dalle luci strobo e ghiacciata a tratti in una formazione olografica di piani rotanti e separati fra loro. Fluttuano nell’aria come cartine topografiche di pianure irregolari o galassie di milioni di stelle. La gravità è allo stesso modo interrotta e sfidata; la caduta delle gocce è invertita e distorta come sequenze di dati su monitor rudimentali. Viene da pensare a Deep Dream_Act II e non è difficile vedervi una continuazione concettuale. La cascata di Takatani potrebbe benissimo rappresentare lo scrosciare di informazioni digitali delle nostre esistenze, riprodotto come opera d’arte per i nostri occhi.

Macro Testaccio
Understanding the Other dello spazio PERCRO.

Ad occupare il quarto spazio della Pelanda è un’esposizione documentarista dei risultati e dei progetti del Laboratorio PERCRO della scuola superiore Sant’Anna di Pisa. A disposizione filmati e un’esoscheletro robotico comandabile, solo da esposizione, o per meglio dire armatura, troneggiante nella sala. La scuola è di fatto un centro di avanguardia della Robotica Percettiva, come anche un’area di ricerca avanzata nella Robotica Indossabile e nell’elaborazione di spazi virtuali e realtà aumentata. Miracolo tutto italiano, il PERCRO mostra al Macro le proprie meraviglie.

(c) culturamente.it
Deep Dream_Act II in un momento di bassa attività. (c) culturamente.it

Digitalife presenta un’arte che si esprime attraverso l’ingegneria e l’informatica: è angosciante e sorprendente e regala un’inaspettata catarsi. Immersione e fluidità sono i temi che accompagnano il visitatore. Non si tratta però di uno showroom del virtuale: esso è anzi reso una presenza concreta ed un mezzo per ottenere un risveglio percettivo. In ZEE l’essere umano non è perduto in un ambiente che la tecnologia ha reso privo di punti certi: è al contrario messo nella condizione di libertà assoluta di poterli ricreare. Takatani riporta agli occhi un’arte di rappresentazione attraverso gli elementi, ma lascia intuire che il controllo degli stessi è, persino nell’artistico, un mero gioco di luci. Deep Dream_Act II, criticando in modo affascinante lo stanco voyerismo della rete, produce quanto di più vicino ad una rappresentazione visiva dell’infinito virtuale, fruibile in uno spazio fisico. A Roma al momento non vi è un luogo di arte ambientale più all’avanguardia di questo.

Gabriele Di Donfrancesco
@GabriDDC

Gabriele Di Donfrancesco
Nato a Roma nel 1995 da famiglia italo-guatemalteca, è un cittadino di questo mondo che studia Lingue e Lettere Straniere alla Sapienza. Si è diplomato al liceo classico Aristofane ed ama la cosa pubblica. Vorrebbe aver letto tutto e aspira un giorno ad essere sintetico. Tra le sue passioni troviamo il riciclo, le belle persone, la buona musica, i viaggi low cost, il teatro d'avanguardia e la coerenza.

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