[CulturaMente compie 7 anni! Questo articolo fa parte delle uscite "Le magnifiche 7 (penne)", un omaggio degli ex spacciatori di cultura per festeggiare insieme agli attuali spacciatori questo importante compleanno.]
La Georgia al netto della pausa Covid è tra quei paesi che di anno in anno vede aumentare costantemente il numero dei suoi visitatori ma rimanendo un luogo ben lontano dal turismo di massa. Sarebbe già un buon motivo di scelta ma i motivi per visitare la regione Caucasica sono altri.
È un paese a rilascio lento, capace di entrare lentamente in contatto con chi ne vuole scoprire l’essenza. Si rivela attraverso le architetture monastiche di scuola ortodossa patrimonio dell’umanità così come con la natura, caratterizzata da paesaggi surreali tipo le antiche torri che punteggiano lo Svaneti, o il paradiso naturale del Tusheti che incanta smaliziati trekker come semplici passeggiatori.
Per un appassionato di vini però solo questo può valere il viaggio.
Non si tratta di stilare un calendario di visite in cantina ma di calarsi in una dimensione culturale unica al mondo. Sul Caucaso l’inizio delle pratiche enoiche è datato 6 – 8000 anni, confermato da ritrovamenti archeologici che attualmente stabiliscono qui le origini del rapporto uomo – vino.
La vite e il vino rappresentano in Georgia qualcosa che pervade il tessuto sociale, culturale e religioso del paese e insieme alla religione ortodossa, sono la chiave di un’identità fortemente nazionalista. Termine in cui qui non è possibile rintracciare nessuna connotazione negativa perchè vissuto esclusivamente nel segno della passione e dell’orgoglio per la propria terra.
Non c’è un solo georgiano che, a meno di problemi di salute, non apprezzi il vino. Ovunque si getti lo sguardo c’è sempre una vite, una pergola che ingentilisce il paesaggio, dai contesti più rurali agli spazi urbani della giovane e dinamica Tbilisi.
La capitale, che conta tante enoteche quante pizzerie al taglio a Roma. Qui si vende anche il gelato all’uva come la Churchkhela, una caramella a forma di salsicciotto formata da gherigli di noce attraversati da un filo e ricoperti da succo d’uva bollito insieme alla farina. In chiave moderna invece, gli integratori all’uva dimostrano la volontà di sfruttare al massimo una delle risorse più generose.
Riferimenti alla vite sono presenti ovunque, nella croce di Santa Nino, patrona della Georgia è fatta di tralci, così come nella città rupestre di Vardzia sul leggio della cappella scavata nella roccia, sono incisi grappoli d’uva.
Le strade che si snodano attraverso il paese, sono un continuo di cartelli marroni che indicano cantine e monasteri. La stessa modalità visiva per individuarli, quasi a sottolineare come nella cultura locale siano da considerarsi egualmente importanti e complementari.
Chi arriva da fuori non tarda molto a capire l’importanza della questione vino.
Quando scambiando due chiacchiere sull’argomento con il tuo autista lui la mattina dopo ti porta da assaggiare una boccetta con il suo rosso da uve Saperavi, capisci subito che è una cosa seria. Così come la padrona della tua Guest House, ti prega di entrare in casa sua nel corso della cena tradizionale Georgiana, per farti assaggiare un godibilissimo vino bianco che si stenta pensare fatto in casa, almeno secondo i nostri standard di vino “del nonno”.
Ovunque si ha la possibilità di approfondire la conoscenza dei vini provenienti dalle differenti zone, dei metodi utilizzati e dei vitigni vinificati tra gli oltre 500 della base ampelografica più vasta del mondo. Per un amante del vino è veramente un viaggio incredibile perché il vino, le cantine e la possibilità di approfondirne i contenuti, sono sempre dietro l’angolo in tutto il paese.
A stupire è sempre la disponibilità di ogni vignaiolo incontrato, quando l’apparente rudezza dei tratti somatici, viene illuminata da occhi che brillano di passione allorché si comincia a parlare di vino comunicando attraverso la passione che abbatte ogni barriera.
L’argomento che tiene banco è quasi sempre la vinificazione in anfora interrata, il Kvevri, tratto distintivo della viticultura Georgiana e patrimonio Unesco dal 2013, che restituisce vini unici nel loro genere. Mille domande sul loro metodo di vinificazione che comprende il grappolo completo di bucce e raspi, in percentuali diverse da regione a regione.
Mangiando pane e formaggio si condividono splendide bottiglie di Amber Wine perché quello difatti è il suo colore ottenuto da uno stile di vinificazione unico. Ne filtrato ne chiarificato eppure non torbido, almeno come uno se lo aspetterebbe. Esprimono la loro presenza tannica nello spessore del vino, in un bouquet olfattivo in cui la parte fruttata richiama alla disidratazione di frutti come albicocca e pesca, accompagnandosi di spezie dolci, sfumature balsamiche, tenui floreali e mix di erbe secche di campo e aromatiche, con lievi note fumé. Grande complessità da stare un’ora col naso nel bicchiere.
Per ogni eno appassionato il ritorno dalla Georgia è una sorta di enorme privazione, ma che riconcilia con un mondo del vino ancora autentico e lontano anni luce dal nostro.
Visitare l’antica cantina di un monastero o di un sito archeologico per rendersi conto che è sostanzialmente identica a quella di un’Azienda attuale fa il suo effetto. Una vasca per pigiare l’uva, i kvevri interrati e qua e la qualche bastone per una sorta di follatura, tutto qua. Ora come allora stessa tecnica e identica attrezzatura.
Un mondo senza sbicchieratori da tunnel carpale, niente hipster ne fighettismo e nessuna forzatura. Soltanto la vite, l’uva, il vino, l’uomo e le sue relazioni millenarie. Aspetti di una passione ancestrale giuntai fino ai giorni nostri e che un viaggio in Giorgia fa risplendere nuovamente in tutto il suo entusiasmo.
Bruno Fulco