Dragged Across Concrete, attenti a quei due

Dragged Across Concrete

Craig Zahler ha deciso di dedicare la sua carriera a riscrivere i generi dei B-Movie americani anni ’70

Lo ha fatto con egregi risultati al primo tentantivo, il western. Lo ha fatto con un pirotecnico trionfo in tutti gli aspetti nell’opera seconda, col genere carcerario. Adesso che tocca il poliziesco, infondendolo di attualità e picchi da hard boiled, l’effetto ottenuto da Dragged Across Concrete è minore rispetto ai precedenti.

Certamente è divertente, anzi molto soddisfacente, vedere Mel Gibson e Vince Vaugh come coppia sullo schermo. I loro dialoghi, la loro caratterizzazione, probabilmente sono gli aspetti migliori. Il modo con cui Zahler gioca e si diverte a sovvertire i canoni del buddy cop movie – e avere Mel Gibson nel ruolo esattamente a quello di Arma Letale fa tantissimo, oltre ai simbolismi – riesce ad intrattenere lo spettatore. Non sono solo le battute, ma soprattutto la dinamica ed il modo col quale i due sembrano poliziotti reali afflitti da problemi reali.

Però, poi, Dragged Across Concrete, per citare la traduzione del titolo, si trascina eccessivamente e stancamente verso altri obbiettivi.

Onestamente 158 minuti sono troppi per tanti altri film, figuriamoci per uno simile. Oltre i dialoghi qui non si va. Le improvvise esplosioni di violenza che tanto avevano caratterizzato i film precedenti del regista qui latitano, e quando arrivano sono ormai troppo dilatate nel tempo. Si gioca col prendere in giro il politicamente corretto, ma alla lunga pure questo perde d’efficacia minuto dopo minuto.

Sembra chiaro che qui Zahler abbia fatto il passo più lungo della gamba. Ha buonissimi attori, una buona storia e una grande capacità di scrittura, ma purtroppo anche l’idea di realizzare un grande film, cosa che Dragged Across Concrete non riesce mai a diventare. Si crede più arguto di quanto non sia, e la scelta di propugnare idee conservatrici attraverso attori dalle note simpatie conservatrici sembra più uno scherzo che non una scelta sensata.

Un peccato, perché Zahler scrive e dirige benissimo, e si conferma una voce imprescindibile per il cinema indipendente americano. Quando però troverà qualcuno che gli dirà “no” davanti ad alcune scelte, oppure qualcuno più coraggioso in sede di montaggio, sarà ancora meglio.

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Emanuele D’Aniello

Malato di cinema, divoratore di serie tv, aspirante critico cinematografico.

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