“Quello che pensiamo, diventiamo”
Titolo: The Iron Lady
Regista: Phyllida Lloyd
Sceneggiatura: Abi Morgan
Cast principale: Meryl Streep, Jim Broadbent, Olivia Colman, Anthony Head, Richard E. Grant, Harry Lloyd
Nazione: Regno Unito
Anno: 2011
Margareth Thatcher. Classe 1925, unica donna Primo Ministro britannico. Potente, d’esperienza, conservatrice, forte, liberista, ambiziosa, ottusa e superba. Da molti criticata, da pochi apprezzata, ma sicuramente un personaggio simbolo di quel tratto di Storia che essa stessa ha generato. Ma chi era veramente, prima di essere ‘la signora Thatcher’ (cognome preso dal marito)? Esisteva un dualismo fra la donna che abitò al 10 di Downey Street e la ragazza nata nel Lincolnshire? Con questo biopic, che vede nei panni della protagonista
Meryl Streep, la regista Phyllida Lloyd dà una risposta: no!
La trama
La trama del film, che altri non è che la biografia della leader, lasciamola ai libri di storia. Soffermiamoci a capire il carattere della
Thatcher descritto nella pellicola. In un susseguirsi di flashback e ritorni al presente, vediamo due storie parallele, due donne diverse ma sempre uguali. Da un lato la Margareth giovane, senza la paura di combattere, dall’altra la Margareth anziana, che parla con il fantasma/ricordo/illusione del marito defunto e che non riesce a combattere quella senilità, che la fa vivere nei ricordi e nel saltuario convincimento di avere ancora un ruolo istituzionale di primaria importanza. Vediamo una Margareth che dalle elezioni di provincia diviene Ministro dell’Istruzione, mentre l’altra parla di Yul Brinner ricordando un brano che ballava con il marito. La prima è austera; la seconda non riesce a riconoscersi nel vedersi in un telegiornale. La prima è distaccata, che non sente ragioni se non le sue; l’altra si perde nei discorsi. Due caratteri diversi, non solo per l’esperienza acquisita e le giustificazioni dovute all’età.
Cosa unisce allora le due personalità?
La risposta è in una terza Margareth, cioè la Margareth politica.
E’ lei che non abbandona mai il film, il comune denominatore di entrambe le ‘Margareth’; quella che sa cosa vuole, che si affronta, che capisce l’importanza delle cose, anche se impopolari o pericolose, ma necessarie. Una carattere che vediamo sin da subito, sia nella giovane che protegge il burro nella drogheria paterna durante i bombardamenti, sia nell’anziana che esce da sola senza dire niente a nessuno. Il carattere è di chi sa cosa vuole, ha paura ma lo pretende. Significativa è la scena della proposta di matrimonio, in particolare la risposta di Margareth: “Io non sarò mai una di quelle donne, Denis. Silenziosa, remissiva, sotto braccio al marito; o solitaria ed impassibile ai fornelli, a lavare i piatti per la famiglia. Una vita è molto più di tutto questo. Io non voglio finire i miei giorni lavando tazzine. Sul serio Denis… – e guardando l’uomo con austerità termina – Dì che sei d’accordo“. Lei vuole sposarsi, ama il giovane ma non può rinunciare a se stessa.
Ed è sempre con quella frase, quindi con la fierezza, che la giovane si evolve nella donna che vincerà le elezioni. E’ sempre lì che il calore si spegne, per passare ad una freddezza distaccata, che porterà una madre a nascondere i giochi dei bambini in macchina mentre si reca per la prima volta a Westminster, come Don Abbondio scaccia i ciottoli sul suo cammino: non per vigliaccheria, ma per dimostrare di non essere meno degli uomini.
Dalla fierezza però spunta la vera essenza di Margareth: l’orgoglio.

E’ l’orgoglio di Margareth che spinge il partito conservatore ad essere, assurdo ma vero, rivoluzionario: è lei, con le sue parole, le sue scelte, a vincere la leadership e a portare, per la prima volta nella storia britannica, una donna al governo. E’ lei che riesce a farsi valere in un ambiente doppiamente maschilista, che la lascia in una stanza dove gli unici oggetti che l’arredano sono una sedia e un asse da stiro con il ferro, per poi avere timore delle sue opinioni. Sarà lei a portare forza nel partito ed illuminarlo con le sue idee, come quell’unica torcia elettrica che lei possiede e accende durante il blackout nella riunione di partito, prima di diventarne il leader. E’ l’orgoglio che la convince a battersi per le Falkland e a vincere la guerra. E’ l’orgoglio che la fa sembrare migliore dei suoi colleghi, poiché il suo scopo non è la ri-elezione, ma seguire il principio che “La medicina è amara, ma il paziente ne ha bisogno“.
E’ lo stesso orgoglio però che la isola e la danneggia. E’ quell’orgoglio che le fa credere di poter essere Primo Ministro per sempre. L’orgoglio che la fa mentire davanti al dottore quando le chiede se ha allucinazioni e a dirgli con supponenza: “Risponda al telefono: magari qualcuno ha bisogno di lei“. Lo stesso che la isola dagli altri membri del partito, primo fra tutti il fedele Geoffrey che dopo l’umiliazione della correzione del discorso, si alza e rimette a posto la sedia dentro il tavolo, quasi a simboleggiare che non la occuperà più. Orgoglio che l’allontana dalle paure della figlia e dai problemi del marito; che le fa ignorare le proteste e gli scioperi; che non le fa prendere le pillole. Scena simbolo è durante la crisi di governo, Denis dirà in lacrime alla moglie di cedere, poiché non ha possibilità di vittoria, e lei, guardandolo come un folle, con calma risponde: “Denis… io sono il Primo Ministro“. Sarà l’orgoglio a farle fare azioni che si era promessa, invece, di non fare…
Da non sottovalutare, durante il corso del film,
le inquadrature dei piedi della protagonista, spesso simboliche. Vediamo i suoi tacchi bianchi, in mezzo a tante scarpe nere. Vediamo le sue caviglie piegarsi durante le riunioni burrascose in Parlamento. Vediamo il suo trottare accelerato tra le scale mentre dà direttive di governo. Vediamo poi il suo passo durante l’uscita definitiva dalla casa di Downing Street, in mezzo ai domestici. Un passo lento, preciso, in mezzo ad un cammino di immaginarie rose di
gozziniana memoria: un cammino, quindi, di ipotetici rimpianti.
Un film sul potere di una donna e di come possa riuscire a farsi valere, The Iron Lady ci spiega il carattere di una leader, immergendoci nella sua intimità senile, raccontando al tempo stesso la sua storia e del paese che ha governato.
3 buoni motivi per vedere il film:
– Meryl Streep, che per quest’interpretazione di Margareth Thatcher (nel 40% del film è un’ottantenne affetta da demenza senile), vinse il suo terzo
premio Oscar: la gestione del corpo e lo sguardo freddo e austero non potevano che essere premiati.
– E’ un film ‘a-partitico’, cioè non vuole dare un giudizio sulla Thatcher e sulla società che ha creato (come fa Ken Loach), ma solo parlare di lei come personaggio.
– Jim Broadbent che interpreta Denis Thatcher, marito defunto di Margareth. Personaggio dolce e simpatico, magistralmente interpretato dall’attore che ben si diverte in questa veste.
Quando vedere il film:
Film leggero, non troppo pesante, da tenere in videoteca e studiarlo un po’ ogni tanto. La sera dopo cena o in un cineforum, per creare un bel dibattito.
Francesco Fario
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