Matrix Resurrections: tornano Neo e Trinity come se il mondo non fosse cambiato

Matrix Resurrections 4 film recensione

Matrix Resurrections, nuovo capitolo del visionario franchise ideato dalle sorelle Whachowski, esce il 1° gennaio 2022 nelle sale italiane.

L’attesa è finita: l’ultimo capitolo (ma solo in ordine di tempo) della saga di Matrix, che ha influenzato l’immaginario di almeno due generazioni (la X generation e i Millennials), torna nelle sale con il capitolo Matrix Resurrections.

I fan erano già in ansia, visto che l’uscita era inizialmente prevista per maggio 2021. Ma l’ansia era dovuta soprattutto alla paura di un’eventuale delusione, sempre in agguato se parliamo di reboot, sequel e similaria.

Posso già anticipare che non è “delusione” la parola chiave per descrivere Matrix Resurrections, bensì “citazione”.

Lana Wachowski stavolta è da sola a dirigere una storia del mondo Matrix, senza la sorella Lilly, con cui aveva creato quel mondo visionario, una versione più inquietante del Paese delle Meraviglie dove Alice cade una prima volta e dove ritorna una seconda attraverso lo specchio. 

Alla scrittura, invece, la regista è affiancata da David Mitchell e Aleksander Hemon. Insieme attingono abbondantemente e inevitabilmente a soggetti e sceneggiature dei tre film precedenti: Matrix, Matrix Reloaded e Matrix Revolution.

Vi consiglio proprio di ripassare i primi tre capitoli, proprio per godervi appieno la storia di Matrix Resurrection, perché è zeppo di autocitazioni delle sceneggiature precedenti.

Ciò non toglie niente alla piacevolezza della pellicola, perché l’autocitazione non si presenta come stucchevole autoreferenzialità. Whachowski cita se stessa e sua sorella (che per anni sono state definite ad Hollywood un’unica mente creativa in due corpi differenti) con estrema autoironia, attraverso le battute dei protagonisti, ma non solo.

La trama di Matrix Resurrections: tra citazionismo, amarcord e l’iconica figaggine di Neo e Trinity

In Matrix Resurrections ritorna un mondo in cui esistono due realtà: quella che sembra la vita quotidiana e ciò che si cela dietro ad essa. Thomas Anderson (Keanu Reeves) è il più grande game designer del mondo, diventato celebre e ricco con un gioco di realtà virtuale che ha spopolato nel mondo: “Matrix”. Il suo socio in affari si chiama Smith (Jonathan Groff), scaltro e sicuro di se, con una costante attenzione ai profitti: il contrario di Anderson.

Anderson frequenta una caffetteria, dove vede spesso Tiffany (Carrie-Ann Moss), una moglie e madre di tre figli con un debole per le moto. Entrambi sentono nel profondo che c’è qualcosa che non torna, come se le vite che stanno vivendo, le personalità che stanno “interpretando” non fossero le loro. 

Thomas ha episodi psicotici, perché a volte non distingue la realtà dalla fantasia di Matrix, il gioco che ha inventato, tanto da essere seguito da uno psichiatra, l’Analista (Neil Patrick Harris, il Burney Stinson di HIMYM).

Per scoprire se la sua realtà è quella vera o solo immaginazione, per conoscere realmente se stesso, Thomas (cioè Neo), dovrà decidere di nuovo se inghiottire la pillola rossa o la pillola blu. E la scelta è obbligata: dovrà seguire ancora una volta il Bianconiglio, che stavolta ha le sembianze dell’hacker Bugs (Jessica Henwick che abbiamo visto in Star Wars: Il risveglio della Forza) alla ricerca dell’eletto Neo, che ha sacrificato se stesso per salvare l’umanità. Entrare o uscire da Matrix è ancora più difficile, perché la matrice è più forte e più pericolosa che mai e genera deja-vu sempre più fuorvianti.

A fare da guida a Neo sarà di nuovo il saggio e mondano Morpheus, che stavolta ha il volto di Yahya Abdul-Mateen II (e non, purtroppo, dell’iconico Laurence Fishburne).

Il livello tecnico di Matrix Resurrections è all’altezza dei precedenti capitoli.

Lana Wachowski ha scelto di circondarsi dei collaboratori già rodati nella realizzazione della serie TV “Sense8”.

Matrix Resurrections è, quindi, un film spettacolare, all’altezza delle aspettative: c’è ritmo; il montaggio di Joseph Jett Sally è serrato e accurato; gli effetti visivi supervisionati da Dan Glass sono di livello, così come la fotografia diretta da Daniele Massaccesi e John Toll. 

Con la scenografia affidata a Hugh Bateup e Peter Walpole e i costumi disegnati da Lindsay Pugh siamo pienamente immersi nell’immaginario Matrix che tutti ricordavamo. Il look studiato per Neo e Trinity segue la costruzione dei rispettivi personaggi: c’è assoluta coerenza con gli inizi della storia, ma si rispetta il tempo che passa. Le rughe non sono spianate, la maturità dei due protagonisti è rispettata, perché c’è stato uno sviluppo dei personaggi. Ma loro restano cool, desiderosi di verità e di libertà, profondamente innamorati, benché il fuoco degli ideali e del loro legame si nasconda sotto la cenere della realtà virtuale di Matrix.

I protagonisti interpretati di Reeves e Moss non sono l’unico dèja-vu di questo sequel.

Ritroviamo la critica sociale, anche se sembra tutto più superficiale e, nei momenti migliori, posta su un piano molto ironico. Ciò che manca a Matrix Resurrections è forse la forza rivoluzionaria della visione delle sorelle Wachowski, che nel 1999 avevano innovato il cyberpunk e ci avevano illuminato, per prime, su quanto fosse vicina una ipotetica presa del potere delle macchine sull’uomo.

Oggi, a pochi giorni dal 2022, la realtà virtuale del Metaverso è un’esperienza alla portata di sempre più persone, tanto che la matrice non ci sembra poi così incredibile. E le nostre vite sono talmente condizionate e influenzate dagli algoritmi che l’idea di robot che usino gli essere umani come pile elettriche forse non ci sconvolge più come prima.

Ecco, se Matrix ci aveva avvertito, attraverso la pura fantascienza, su come potesse essere il mondo del futuro e su come fosse importante scegliere a cosa credere, Matrix Resurrections è soprattutto un film d’azione esaltante, che gioca con successo con un immaginario ancora convincente.

A distanza di molti anni Lilly Whachosky ha dichiarato che Matrix era in fondo un’allegoria/manifesto dell’esperienza – di due artisti che all’epoca erano ancora due fratelli maschi – di non riconoscersi nel proprio sesso biologico. Tutta la trilogia non parlava che della transizione di qualcuno che, intrappolato in un corpo che non era il suo, prendeva consapevolezza della propria identità, del proprio posto nel modo e di entrambi si riappropriava, in un eversivo atto di ribellione.

Anche in Matrix Resurrections ritroviamo l’allegoria: Anderson/Neo, in un certo senso, ha una disforia e Matrix continua a rappresentare il binarismo di genere. La differenza è che la narrazione sembra più pacificata, consapevole. Il binarismo (magari non solo di genere) sembra gestibile, possibile da combattere e vincere. Il maschile e il femminile si completano in Neo e Trinity che, ancora una volta, si salvano a vicenda e insieme possono portare la pace. 

Stefania Fiducia

Splendida quarantenne aspirante alla leggerezza pensosa. Giurista per antica passione, avvocatessa per destino, combatto la noia e cerco la bellezza nei film, nella musica e in ogni altra forma d'arte.

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