Mank, quanto la politica sia parte del Cinema

Mank-David-Fincher-recensione

Alla cerimonia degli Oscar 2021, la pellicola Mank si è aggiudicata 2 statuette: miglior scenografia e miglior fotografia.

Diretto da David Fincher, ci racconta la vita di Herman J. “Mank” Mankiewicz (Gary Oldman), incaricato da Orson Welles di scrivere una sceneggiatura per lui, su ordine della RKO. Sarà l’inizio dell’enorme epopea di questo sceneggiatore, che farà nascere il film che ha cambiato completamente la storia del Cinema: Quarto Potere.

Una sceneggiatura che non avrà vita facile, poiché gran parte del carattere del protagonista Foster Kane e della sua storia, Mank ne trae ispirazione dall’editore William Hearst (Charles Dance). I due possiedono una visione abbastanza diversa della vita e della morale: il magnate infatti, durante la campagna elettorale del governatore della California, è disposto a creare, attraverso la sua influenza e le sue conoscenze, cinegiornali falsi per screditare il candidato democratico. Parte attiva di questa falsa propaganda è Louis B.Mayer, il capo della MGM (nonché dello stesso Mank).

La storia però non risparmierà neanche Welles, che nonostante il lavoro sia stato portato in tempo, non vuole dividere il merito dell’opera con Mank. Riuscirà lo sceneggiatore a far valere i suoi diritti?

Nato da una sceneggiatura di suo padre, David Fincher dirige un film molto particolare.

Distribuito dalla piattaforma Netflix, la pellicola ci racconta un po’ il dietro le quinte di Quarto Potere: film essenziale per comprendere a pieno tutta la trama di Mank. Lungo, forse anche un po’ troppo per la trama narrata (ben 131 minuti), ha dalla sua delle particolarità tecniche interessanti: campi lunghi, spezzati, utilizzo del flashback come la pellicola originale del ’40. Bello l’utilizzo del bianco e nero e Gary Oldman è ben inserito nella parte.

Ma…

Troppo purismo, troppe scene inutili ai fini della trama se non un mero gusto di regia. Premi meritati, ma un po’ troppo pretenzioso. A chi ama il regista, sostenitore della suspense, può rimanerne profondamente deluso: è lontano dalla ricerca psicologica di Seven, dalla descrizione dell’esplosione intime di Fight Club.

È una mera ossessione portata finalmente alla luce, la soddisfazione di un regista che ormai può fare tutto.

La sceneggiatura infatti (pare) fosse pronta già dalla metà degli anni ’90: in un primo progetto la parte di Mank sembrava fosse stata ideata per Kevin Spacey (con cui Fincher aveva collaborato in Seven) e Jodie Foster per il ruolo dell’ingenua Marion Davies (qui interpretata da Amanda Seyfried). Ora però le cose sono diverse. Molti infatti hanno giudicato il film negativamente, senza aver mai visto la pellicola di Welles: errore da penna rossa. Comunque il regista si è detto soddisfatto e il plauso di una parte della critica è arrivata: i due Oscar ne sono la testimonianza.

A mio avviso, si poteva fare meglio e diversamente, senza troppi sperimentalismi. 3 stelle su 5.

Francesco Fario

Attore e regista teatrale, si laurea in Lettere Moderne a La Sapienza per la triennale, poi alla magistrale a TorVergata in Editoria e Giornalismo. Dopo il mondo del Cinema e del Teatro, adora leggere e scrivere: un pigro saccentone, insomma! Con Culturamente, ha creato la rubrica podcast "Backstage"

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