Dal 18 ottobre potrete vedere al cinema “Le ereditiere”, film paraguaiano scritto e diretto da Marcelo Martinessi che dopo il Festival di Berlino vorrebbe conquistare anche l’Oscar.
Ambientato ad Asuncion, in Paraguay, “Le ereditiere” racconta una storia di donne anziane, un gruppo raramente rappresentato nel cinema. Chela e Chiquita sono una coppia che convive da trent’anni. La prima appare subito depressa e indolente, con simpatie e ossessioni racchiuse nel vassoio che tutte le mattine le prepara la sua compagna: medicine, cola, caffè, etc.
Fanno parte della ricca borghesia paraguiana, ma, a causa di un tracollo finanziario, devono vendere i loro beni. Chiquita viene anche accusata di frode e viene arrestata. Chela resta spaesata da questa nuova situazione: non sa come vivere il quotidiano senza Chiquita, ha paura che le persone scoprano che la compagna è in prigione. Per un caso fortuito, riprende a guidare e in pochi giorni si improvvisa tassista per alcune donne anziane benestanti.
Chela è la vera protagonista del film, interpretata da Ana Brun, intensa anche se controllatissima in ogni gesto e ogni parola. Ha decisamente meritato la vittoria dell’Orso d’argento come migliore attrice all’ultimo Festival di Berlino.
L’identità di Chela sembra più familiare che personale: lei è l’ultimo membro di una famiglia ricca. Sta perdendo tutto ciò che di materiale ha ereditato. Costretta a vendere mobili e dipinti preziosi, le resta solo l’automobile che le regalò suo padre. Quella sarà improvvisamente il mezzo con cui si riprenderà un pezzo di indipendenza prima, un pezzo di vita dopo.
È un film sulla riscoperta del desiderio, “Le ereditiere”. Chela, infatti, – quasi inaspettatamente, considerata la condizione depressiva di partenza – reagisce alla separazione momentanea da Chiquita.
Esce, seppure con timore e timidezza, dalla sua “comfort zone”. Nel suo percorso di rinascita Chela si ritrova a riscoprire il desiderio e, subito dopo, a fuggire quasi letteralmente dalla sua realizzazione. Forse intuisce subito che, assecondandolo, porterà ad un cambiamento potenzialmente irreversibile.
Il regista Martinessi lo ha definito anche un film sui confini, perché, pur scegliendo di non collocare la trama in un dato periodo storico, voleva che richiamasse la situazione della società del suo Paese. Gli interessava raccontare la “sensazione di vivere in una gigantesca prigione“.
“Le ereditiere” è un film essenziale, senza fronzoli. I dialoghi sono asciutti, i silenzi riempiono la scena. Le inquadrature sono strette e dominano i primi piani, come se il corpo per Chela non avesse tanta importanza. Fa eccezione solo la giovane Angy (Ana Ivanova), la cui immagine fin da subito appare “completa”. La regia indugia sul viso, come sulle labbra, come sul busto o le altre parti del suo corpo. È chiaro da subito che lei è la più risolta, quella con l’identità più salda.
Lo stesso regista Martinessi ammette che, durante la lavorazione del film, il personaggio di Angy si è imposto ai suoi occhi con la sua presenza scenica. Lei è la più diretta e fisica, per questo spezza l’inerzia di Chela e ne innesca il cambiamento.
L’essenzialità dei dialoghi e delle scene non rendono noioso il film, che scorre veloce. Anche grazie alla capacità delle interpreti di esprimere tutto con il volto l’attenzione del pubblico resta vigile.
“Le ereditiere” è il film candidato per il Paraguay all’Oscar come miglior film straniero. Per raggiungere la cinquina finale, tra gli altri, dovrà vedersela anche con il bellissimo “Dogman” di Matteo Garrone. La battaglia è aperta tra due pellicole d’autore, originali e non banali, che non possono lasciare indifferenti lo spettatore.
Stefania Fiducia