In sala da giovedì 27 il film vincitore di tre premi Goya nelle categorie miglior film, regia e sceneggiatura.
La casa dei libri (The Bookshop) di Isabel Coixet è un film da vedere tutto d’un fiato. Alla fine della proiezione ti lascia con l’amaro in bocca e porta ad un grande quesito: i libri possano essere realmente migliori delle persone?
Il film racconta con semplicità estrema il sogno della caparbia vedova Florence Green: aprire e gestire una libreria nel paese di HardBorough. Difatti, ieri come oggi, aprire un negozio di libri si dimostra un atto di coraggio, carico di profonde responsabilità.
Se per la nostra contemporaneità le difficoltà incontrate da un libraio sono per lo più identificabili con lo sviluppo del commercio online, nel 1959, periodo in cui è ambientato il film, le problematicità erano nella società stessa.
Alle complicanze burocratiche e alle insidie sociali s’intrecciavano inevitabilmente l’osticismo e la diffidenza di un popolo legato agli antichi valori.
Nonostante le novità in vetrina, come Lolita e Fahrenheit 451, la protagonista non riuscirà a scogliere il bigottismo dei suo concittadini.
Una sfida ad armi impari.
L’influente signora Gamart sarà la matrice delle intimidazioni. Si impelagherà nel suo ambizioso obiettivo: confiscare Old House, luogo della libreria, per realizzare (forse) un centro per la musica e le arti.
La potenza della parola scritta in un paese come HardBorough fu temuta.
Soltanto in pochi riuscirono a capire il valore esegetico che l’inchiostro esercitava nelle vite di tutti. Mr. Brundish (interpretato da un eccelso Bill Nighy) e la piccola Christine saranno la chiave di volta per aprire lo spettro evocativo di immagini e sentimenti positivi e al di là del becero opportunismo.
Sicuramente un film da vedere.
La pellicola “La casa dei libri” è basata sul romanzo La libreria di Penelope Fitzgerald del 1978. Una finestra cinematografica aperta sull’importanza dei libri, ieri, oggi e domani.
Alessia Aleo