Lo scorso 22 Maggio è uscito nelle sale il tanto atteso remake di Aladdin, dove abbiamo ritrovato gli stessi protagonisti del 1992.
Sull’efficacia del riadattamento si è già espresso il nostro Emanuele. Per la generezione dei trentenni, sarà davvero come fare un salto nel passato per un paio d’ore: Jasmine disney
Conoscere Aladdin a memoria, parola per parola, induce ad entrare in sala con una certa diffidenza, generata dal timore che le proprie aspettative vengano deluse. In fin dei conti, è legittimo pretendere che il film sia identico al cartone animato, se è esattamente questo che vogliono presentarci.
Se vuoi ripropormi lo stesso piatto, devi farlo con le stesse dosi e gli stessi ingredienti. Se cambi qualcosa, invece, devi portarmi la giustificazione firmata dai genitori!
All’inizio del film, un dubbio sale immediatamente notando che Jasmine appare durante la prima scena del mercato, scena che nel cartone serve per presentare solo Aladdin.
C’è qualcosa di strano, penso, ma non in senso negativo. La mia mente è ancora invasa dalle note di Le notti d’Oriente per sbuffare.
Il sospetto che ci sia qualcosa dietro, si fa più forte quando Jasmine canta una canzone nuova e non prevista dall’originale e diventa una certezza durante la scena tra Jafar, Jasmine e il Sultano sull’invasione militare di un regno vicino.
Queste scene sono completamente nuove e inserite volutamente all’interno di una cornice che, per tutto il resto, risponde pedissequamente al cartone. Perché?
Pian piano scopriamo che la principessa di Agrabah non vuole sposarsi con l’uomo che ama (intento della Jasmine del ’92). Il matrimonio non le interessa se non secondariamente, ossia perché il matrimonio obbligato implica evidenziare il suo stato di minirità rispetto al marito. Il suo obiettivo è quello di prendere il posto politico che per diritto le spetta. Vuole essere Sultano e succedere a suo padre, perché si è preparata a questo da tutta la vita.
Realizziamo ben presto che è Jasmine la protagonista del film. Aladdin c’è e si fa sentire, ma non ha la metà della potenza di Jasmine.
Tutto, nel film, trasla per raccontare la forza delle donne.
La protagonista è una donna forte, decisa, capace di reagire nonostante abbia intorno chi le faccia presente che è “meglio essere guardata che ascoltata”. Anche la celeberrima canzone Il mondo è mio può essere letta sotto una nuova ottica. Jasmine può prendere il mondo e farlo suo. Non ha bisogno di un uomo per averlo e Aladdin è lì con lei per ricordarglielo.
Riascoltando le canzoni, si esce dalla sala con la tentazione forte di dire che “l’hanno rifatto uguale”. Se ci fermiamo per un po’ a pensare, però, capiamo che così non è: la struttura del capolavoro disneyano si presta per raccontare un’altra storia, quella di una principessa orgogliosa e volitiva.
Il titolo Aladdin può trarre in inganno chi siede in sala, ma un occhio esperto esce consapevole che sulla locandina avrebbero potuto anche aver scritto Jasmine.
Uno scempio? No assolutamente.
Quando un regista vuole rimettere mano ad un film di grande successo, sa che deve fare i conti con la sua fama e le aspettative del pubblico. Certo, può anche puntate sulla curiosità, ma se smontata dopo i primi giorni in sala, potrebbe rivelersi tempo e lavoro sprecato. Toccare un mostro sacro del cinema (animato, in questo caso), è un rischio enorme, come dicevo all’inizio. E poi, perché rifarlo identico, se già c’è?
Rifarlo identico per raccontare una storia nuova, diversa.
E in questo il regista ha pienamente raggiunto il suo obiettivo.
Serena Vissani