Saturnino Manfredi, in arte Nino.
Un nome che in sé raccoglie gran parte della storia del teatro e del cinema italiano del dopoguerra, per non parlare della televisione.
Un sorriso capace di far ridere e far pensare. Una voce che trascinava l’ilarità con la stessa semplicità con cui portava con sé le lacrime. Un uomo capace, versatile, di talento. Un attore che ha recitato con tanti registi, quali Risi, Loy, Comencini, Scola e Magni; accanto a moltissimi attori, come Delia Scala, Alberto Sordi, Totò, Ugo Tognazzi, Bice Valori, Marcello Marchesi, Lilla Brignone.
Ma che chi c’era dietro all’attore? Semplicemente Saturnino. Così lo racconta il film “In arte Nino”, di Luca Manfredi (figlio dello stesso attore) che lascia interpretare la parte del padre a Elio Germano.
La pellicola ci racconta la prima vita di Nino.
Parte dai duri anni nel sanatorio del Forlanini, passa per la doppia vita tra la laurea in Giurisprudenza e l’Accademia Silvio D’Amico, gli inizi difficili della carriera, l’incontro con l’amata Erminia, fino a giungere al successo nazionale televisivo di Canzonissima. Una vita dove l’animo semplice non si confondeva con un semplice animo. Uno spirito forte che non si arrende. Un uomo capace di non deludere l’orgoglioso padre maresciallo dei Carabinieri, che lo vuole avvocato; che per amore scaccia importanti provini; che malgrado i mille rifiuti non smette di seguire il suo sogno.
Una storia contornata da mille persone. Tra i primi, la famiglia: come il già citato padre, la madre iper-credente, il fratello (che diverrà un grande luminare della medicina). Seguono i compagni. Da quelli del sanatorio, semplici ma condannati dal male che li accomuna; fino a quelli dell’Accademia, come Rossella Falk, Tino Buazzelli e Gianni Bonagura.
Per parlare del film si deve per forza parlare di Germano. Lui è il protagonista assoluto. Non solo perché ne è l’interprete principale, ma per come gestisce il personaggio.
Non è la prima volta che lo si vede nelle vesti di qualcuno noto al mondo. Le sue interpretazioni vanno dai ‘santi’ (si pensi a Francesco d’Assisi o il giovane Padre Pio) ai ‘dannati’, quali veri delinquenti (come ‘Il Sorcio’ della Banda della Magliana) o semplici spiriti irrequieti (come Giacomo Leopardi).
La Palma d’Oro a Cannes 2010 non delude il pubblico mostrando come sempre la sua capacità attoriale, fondata sul profondo studio del personaggio. Si pensi al finale quando esce dalla macchina. Si guardi l’uso delle mani e delle braccia. Quel movimento libero e trattenuto, quel muoversi sciolto ma con stile: Manfredi al 100%.
E la voce? Non ci si concentri sulla parlata o sulla normalità. Si guardi l’attore durante la litigata con Buazzelli nella stanza. Si vede un Manfredi leggermente acido, con quel volume un po’ alto: il tipico Nino presente in molte pellicole. Un Manfredi difficile da cogliere. Anche durante il canto, Germano riesce a interpretare bene l’attore ciociaro.
Plauso meritatissimo a due attori: al cammeo di Giorgio Tirabassi e a Stefano Fresi, alle prese con un altro attore di talento, celebre, un gigante (a tutti gli effetti) come Tino Buazzelli.
La pellicola, presentata al Roma Fiction Fest 2016, ha visto per la prima volta la messa in onda il 25 settembre 2017.
Oltre a contenere curiosità di un attore che un figlio ha voluto narrare al pubblico, il film presenta anche alcuni omaggi alla stessa attività. Prendiamo, ad esempio, il pezzo della telefonata da Canzonissima. Lui scrive a macchina, lei che da fuori viene a rispondere al telefono, posto al fianco di lui: impossibile non cogliere l’omaggio a Il padre di famiglia di Nanni Loy, nella celebre scena che Manfredi interpretò accanto a Leslie Caron.
Una pellicola che ci racconta di un uomo semplice, paziente, forte e profondamente ottimista, capace (come affermava Dino Risi) di “far sembrare naturale tutto ciò che era calcolato”. Lo stesso che, a fine film, ci saluta e si inchina rispettoso agli spettatori.
Per una sera il pubblico ha rivisto quell’attore talentuoso e quell’uomo che raccontava il mondo attraverso gli occhi espressivi e talentuosi. Una sfida difficile, ma non per Germano, il quale è stato perfettamente all’altezza.
Un omaggio commovente e dagli interpreti capaci. Un film, quindi, che funziona.
Francesco Fario