“Il potere del cane”, del cinema, dell’inconscio

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Il potere del cane sta conquistando diversi riconoscimenti importanti. Dopo il Leone d’argento per la regista Jane Campion alla Mostra del cinema di Venezia 2021, sono arrivati ben tre Golden Globe: miglior film drammatico, miglior attore non protagonista (Kodi Smit-McPhee) e miglior regia.

Un titolo certamente curioso che ha portato i fan di Jane Campion, di Benedict Cumberbatch e i curiosi prima al cinema (l’uscita in sala risale al 17 novembre 2021) e poi su Netflix dove il film è ora disponibile. E proprio dal titolo bisogna partire per rendersi conto che qui siamo davanti a un’opera cinematografica fortemente simbolica che permette di penetrare nei meandri più oscuri della coscienza di un essere umano.

Il film è lungo, ha un ritmo lento, manca di scene di forte impatto emotivo e richiede una soglia di attenzione molto alta per essere compreso e apprezzato in tutte le sue sfumature. Potrebbe non piacere, ma è innegabile che siamo davanti a un prodotto realizzato con cura e coerenza e che vuole passare un messaggio importante attraverso un linguaggio complesso, profondo e archetipico.

La trama (contiene spoiler)

Il film è tratto dal romanzo omonimo dello scrittore Thomas Savage, pubblicato nel 1967. È ambientato in Montana, nel 1924, e racconta la storia dei fratelli Burbank, Phil e George (Benedict Cumberbatch e Jesse Piemons). I due sono stati cresciuti e educati da Bronco Henry che ha spiegato loro tutto quello che dovevano sapere su come gestire un ranch, attività che ora i due fratelli fanno con grande abilità.

La routine dei due viene sconvolta nel momento in cui George decide di sposarsi con Rose (Kirsten Dunst), una donna vedova con un figlio adulto, Peter (Kodi Smit-McPhee), dall’apparente natura fragile e timida. I due hanno vissuto un vero e proprio trauma: il primo marito di Rose era alcolizzato e si è suicidato, lasciando moglie e figlio da soli a gestire una locanda del posto.

Phil non è affatto contento della scelta di George. Odia sua cognata poiché la ritiene un’opportunista, un’arrampicatrice sociale e non perde occasione per tormentarla. Rose, vedendosi continuamente attaccata finisce per diventare a sua volta alcolizzata. Quando Peter arriva al ranch, Phil, che in un primo momento si era accanito anche contro il ragazzo prendendolo in giro per la sua corporatura gracile e i suoi modi poco virili, decide di proporsi come suo mentore e di insegnargli a essere un uomo. Peter sembra accogliere questo processo di formazione, ma si scoprirà che si tratta solo di una messa in scena architettata con lucidità e cinismo. Il ragazzo, infatti, non ha altro obiettivo che quello di proteggere la madre. Saprà sfruttare al meglio la latente omosessualità di Phil per portarlo a fidarsi di lui e ucciderlo alla prima occasione utile. La vittima si trasformerà così in carnefice e viceversa.

Il significato del film a partire dal titolo: Il potere del cane

In tutto il film, si parla di “cane” solo nel momento in cui Phil e Peter guardano e commentano la forma della collina rocciosa che si trova di fronte al ranch (che ricorda quella di un cane, appunto). Ma il titolo è ripreso da un versetto dei Salmi.

Salva l’anima dalla spada, salva il cuore dal potere del cane”

Versetto 22:20

Per capire il senso, bisogna uscire dall’idea che abbiamo del cane come migliore amico dell’essere umano e fare propria l’interpretazione che ne davano nel mondo antico. Il termine “cane” era spesso usato come insulto, come si vede chiaramente da alcuni versi omerici. Il cane, prima di essere un animale domestico, era una bestia da branco. Per questo motivo, potrebbe essere un’ottima immagine per indicare l’assedio. Nella citazione biblica da cui Savage riprende il titolo, i cani non sono altro che gli assalitori di Cristo, pronti a condurlo alla croce.

Nel libro e nel film, il potere del cane diventa il potere dell’inconscio, delle pulsioni latenti che assediano il protagonista, Phil (e probabilmente anche Peter, pur se in modo diverso). Una volta capito questo, tutto ciò che vediamo nel corso delle due ore di visione acquista senso, profondità e bellezza.

Un protagonista minacciato dai suoi desideri

Phil è un personaggio che da subito si rende antipatico allo spettatore. Si presenta come il maschio alfa, il tipico cowboy che ha degli atteggiamenti da leader e da uomo privo di emozioni o di scrupoli (lo vediamo castrare un vitello senza guanti, con movimenti fermi e precisi, azione simbolica che allude anche a ciò che lui sta facendo a se stesso). È crudele nei confronti di Peter. Lo prende in giro chiamandolo “ragazzina” perché nei modi e negli interessi non sembra abbastanza virile.

Eppure, sin da subito possiamo cogliere anche un altro aspetto di Phil, l’abitudinarietà. Questo tratto è come una crepa in una superficie di ghiaccio. Partendo da lì possiamo scavare per arrivare a cogliere ciò che l’uomo ha rimosso e tentato disperatamente di cancellare. La sua attrazione per gli uomini, la sua emotività, le sue fragilità. Tutto è stato tagliato fuori dall’educazione tossica e fortemente maschilista di Bronco Henry che Phil venera oltre ogni misura, sublimando così l’attrazione sessuale che nutriva nei suoi confronti. Tutto ciò che spaventa Phil è rappresentato da Peter e da sua madre Rose. Quest’ultima, in quanto donna, è oggetto di persecuzioni e di vessazioni che la porteranno sull’orlo del baratro. Nel prendersela con lei, Phil sta cercando disperatamente di negare le sue pulsioni e i suoi istinti e anche di preservare quel tempo della sua giovinezza in cui, anche se costretto a diventare qualcuno che non era, aveva la possibilità di stare con chi amava.

Grazie all’incredibile interpretazione di Benedict Cumberbatch, vediamo piano piano la maschera di questo personaggio venire meno, rompersi, frantumarsi. Fin quando non diventa vittima della sua stessa crudeltà. Phil muore per colpa di un’infezione batterica, l’antrace, contratta venendo a contatto con la pelle di una mucca malata che Peter gli fornisce senza dirgli ovviamente la provenienza. Il batterio infetta il sangue di Phil, si insinua dentro di lui e lo uccide pian piano. E non c’è metafora più bella. L’educazione di Phil che si è insinuata in lui andando a comprimere le sue pulsioni è ciò che l’ha soffocato per anni e l’ha inevitabilmente condotto verso un processo di auto-distruzione.

Il genere western accoglie la psicologia

La cosa più interessante è che questa storia avvenga nella cornice di un western. Il genere che per tanto tempo ha portato avanti stereotipi (l’uomo forte e virile) e messaggi discutibili (l’evidente razzismo nei confronti degli indiani, sempre raccontati come nemici) fa sua la dimensione psicologica (quasi sempre assente in film simili) e costruisce una storia che mette alla luce i limiti e la tossicità delle immagini che il genere stesso ha contribuito a realizzare.

Il vero cowboy del film, l’assassino senza scrupoli, è il personaggio che fisicamente e praticamente si allontana più di tutti dall’immagine classica. Peter non ha nulla a che spartire con i personaggi portati sullo schermo da John Wayne. È privo di muscoli, incapace nelle attività pratiche e amante dello studio. La cosa che lo contraddistingue, però, è un certo sadismo e una freddezza nell’uccidere che lo rende un perfetto killer. Anche con il suo personaggio possiamo parlare di pulsioni non del tutto sedate per il suo rapporto molto strano e particolare con la madre. Peter non si trasforma, ma si rivela. E ciò che troviamo è un uomo pronto a tutto, un uomo che sa ribellarsi ai soprusi subiti.

Un film poetico

Le ambientazioni del film sono poetiche, proprio come il contenuto del film stesso.

È una pellicola che lavora sull’essenziale. Le battute sono tutte costruite per arrivare, pian piano, a delineare il tema della storia e per permettere allo spettatore e alla spettatrice di capire man mano cosa sta succedendo. Arrivare al cuore della narrazione richiede tutti i 128 minuti di proiezione. D’altra parte, raggiungere l’inconscio non è roba da cinque minuti.

Tutto è delicato e misurato. La regia è attenta, lucida, ma allo stesso tempo potente nel trasmettere un senso di oppressione, di chiusura, di malessere. È un film che arriva. Un film che sicuramente merita i premi che sta ricevendo.

Federica Crisci

IL VOTO DEL PUSHER
Regia
Sceneggiatura
Interpretazioni
Consigliato
Federica Crisci
Sono laureata Lettere Moderne perché amo la letteratura e la sua capacità di parlare all'essere umano. Sono una docente di scuole superiori e una SEO Copy Writer. Amo raccontare storie e per questo mi piace cimentarmi nella scrittura. Frequento corsi di teatro perché mi piace esplorare le emozioni e provare a comprendere nuovi punti di vista. Mi piace molto il cinema, le serie tv, mangiare in buona compagnia e tante altre cose. Passerei volentieri la vita viaggiando in compagnia di un terranova.
il-potere-del-cane-recensioneIl film è lungo, ha un ritmo lento, manca di scene di forte impatto emotivo e richiede una soglia di attenzione molto alta per essere compreso e apprezzato in tutte le sue sfumature. Tuttavia, sa penetrare i meandri della coscienza umana con delicatezza e profondità.

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