Don’t Look Up: Perché preoccuparsi? È soltanto la fine del mondo

don't look up recensione film

Nel corso della nostra esperienza cinematografica a stelle e strisce abbiamo imparato che, nel caso una cometa puntasse dritta sulla Terra, saranno gli Stati Uniti a farsi protettori del genere umano, capitanando l’intera popolazione mondiale per affrontare la mortale minaccia. Purtroppo, il tempo passa e non siamo più negli anni ’90: la sfiducia serpeggia in ogni contesto e la speranza in un futuro migliore è un lontano ricordo con il genere umano non perde occasione per tirar fuori il peggio di sé. Possiamo dunque dimenticarci dell’altruismo e dei sacrifici di Deep Impact o Armageddon, in favore di uno scenario apocalittico che, indipendentemente da ciò che ci casca addosso da lassù, nasce da chi la Terra la abita.

Nel suo ultimo film, disponibile su Netflix dal 24 dicembre, Adam McKay (La grande scommessa, Vice) utilizza dunque il pericolo dato dall’impatto di una cometa “killer di pianeti” per mostrare il volto peggiore della contemporaneità, senza risparmiare nessuno. Sapientemente, scrive e dirige una satira sociale dalle dinamiche surreali che, tristemente, non sono poi così tanto improbabili come vorremmo credere.

Moriremo tutti e non importa a nessuno

Osservando la volta celeste per raccogliere dati sull’espansione dell’Universo, la dottoranda di astronomia Kate Dibiasky (Jennifer Lawrence) scopre una cometa mai avvistata prima. L’avvenimento manda in euforia i presenti all’osservatorio, tra cui l’astronomo Randall Mindy (Leonardo DiCaprio) che la battezza immediatamente come “la cometa Dibiasky”. Calcolandone la traiettoria, gli scienziati si rendono conto che il corpo celeste è destinato a entrare in rotta di collisione con la Terra in 6 mesi e 14 giorni esatti. Terrorizzati, contattano immediatamente gli organi competenti e, in brevissimo tempo, messi su un aereo con destinazione Washington D.C. per essere ricevuti dalla Presidente degli Stati Uniti d’America (Meryl Streep). Incredibilmente, il team presidenziale non sembra prendere sul serio la minaccia, costringendo così gli scienziati a rivolgersi direttamente ai media per divulgare la scoperta. Il risultato è però lo stesso: nessuno si preoccupa dell’imminente estinzione di ogni forma di vita sul pianeta, preferendo dedicarsi alla condivisione di meme e reaction sulla storia d’amore di due divi della musica.

Un cast stellare per un pianeta in crisi

I volti scelti da Adam McKay per mostrare la sua umanità autodistruttiva sono di assoluto richiamo, dove Leonardo DiCaprio ricopre l’inedito ruolo di un astronomo insicuro e farmaco-dipendente. Un outsider che improvvisamente si ritrova necessario e rispettato, tanto di diventare l’oggetto del desiderio delle donne d’America e della giornalista Brie Evante, interpretata da una splendida Cate Blanchett. Se da un lato Randall cadrà lentamente vittima dell’incantesimo mediatico, diventando il volto pubblico di irresponsabili leader politici, dall’altra troviamo colei che ha avvistato per prima la cometa.

La determinata dottoranda, interpretata magistralmente da Jennifer Lawrence, risulta fin da subito il personaggio più lucido della pellicola, capendo ben prima del suo professore che la loro scienza è messa in discussione. Nonostante portino calcoli e studi che accertino l’inevitabile annientamento della vita sulla Terra, il loro lavoro non viene ritenuto attendibile e relegato all’ennesima esagerazione di una “potenziale” minaccia a milioni di kilometri di distanza. I media e i social reagiscono dunque nell’unico modo che conoscono, ridicolizzandola e ridendo di lei. La condivisibile crisi isterica di Kate diviene immediatamente un meme e vengono scritti articoli su chi sia “la scienziata pazza” apparsa in Tv. Qualsiasi cosa viene fatta pur di non credere alla realtà per la paura di una società intera di affrontare la propria, e sempre più egoistica, mediocrità.

Nella sua rappresentazione surreale del mondo contemporaneo, Adam McKay non si ferma però a stuzzicare chi subisce passivamente social e programmi TV, ma va a puntare violentemente il dito contro chi porta tra le mani le sorti dell’umanità: la classe dirigente e i colossi industriali. Per i volti della politica più inadeguata della storia umana, troviamo la coppia Meryl Streep e Jonah Hill, capaci di regalare non pochi momenti di ilarità e stupore. Nonostante Janie Orlean venga caratterizzata ispirandosi all’ex inquilino della Casa Bianca Donald Trump, attraverso i suoi abiti (unicamente rossi repubblicani o blu democratici) ci rendiamo conto che McKay non vuole fare una discriminazione partitica. Attacca con forza la totale mancanza di lungimiranza della classe politica per le sorti del mondo, inteso sia come popolazione che pianeta Terra, unicamente interessata ad aumentare il suo consenso agendo sulla pancia dell’elettorato. Così viene spinta la cittadinanza a dividersi e schierarsi, nelle medesime modalità di un evento sportivo, abbassando il livello della comunicazione fatto unicamente di slogan e frasi a effetto, come quella che darà titolo alla pellicola: Don’t look up! Che, dietro le quinte, suonerebbe più come un: “Siamo inetti ma non guardate noi: i cattivi sono loro!“.

Tuttavia, si ha come l’impressione che ogni attore sia stato scelto appositamente per il ruolo in base anche a dinamiche che affondano nel reale. Di Caprio è da sempre impegnato alla lotta per il cambiamento climatico e non poteva dunque ricoprire nessun altro ruolo se non quello dello scienziato che cerca di aprire le menti della comunità. Se Jennifer Lawrence è famosa per il suo essere sopra le righe – spesso maldestramente attaccata per overacting – si rivela dunque era perfetta per sfuriare in diretta nazionale. Così come Meryl Streep, istituzione hollywoodiana diventa l’inquilina della Casa Bianca, con un Jonah Hill rinchiuso nel ruolo di adulto disfunzionale. In quest’ottica però, la scelta più interessante è quella di Timothée Chalamet, attore sulla cresta dell’onda e non ancora compreso da tutti per le sue enormi potenzialità. Inizialmente il suo Yule è dipinto come superficiale e sperduto ma, procedendo con la narrazione, rivelerà un’etica morale e una fede che nessun altro dei personaggi possiede; che gli invidieranno persino. Viene dunque tracciata una linea, un confronto generazionale e se McKay attacca tutti, sembra salvare parte delle nuove generazioni.

Come precedentemente anticipato, nemmeno l’industria ne esce pulita. Non abbiamo bisogno dell’ultimo lungometraggio di Adam McKay (o forse sì?) per realizzare che al benessere del pianeta viene anteposto il desiderio di ricchezza personale di pochi. Attraverso il leader della fittizia azienda B.A.S.H., la cui prima apparizione a schermo è platealmente ispirata a Steve Jobs e ai suoi indimenticabili eventi Apple, lo spettatore entra in contatto con una personalità fortemente deviata dall’innocuo volto di Mark Rylance. Detentore, per sua stessa confessione, delle informazioni di tutti, si scopre essere colui che dispone del reale potere, capace di impartire scellerati ordini persino al Presidente U.S. in carica.

Troppa lucidità o estremo pessimismo?

Tra satira e parodia sociale, “Don’t look up” è capace di far ridere e inquietare lo spettatore allo stesso tempo, suscitando un’immediata l’associazione con Idiocracy di Mike Judge. Riguardando oggi il film del 2006, ci possiamo rendere conto di quanto, nella sua totale “pazzia”, sia stato per certi versi premonitore della società odierna. Risulta dunque scontato chiedersi se, tra qualche anno riguardando l’ultimo lavoro di McKay, avremo la stessa sensazione. Tuttavia, per chi vi scrive, non sarà necessario attendere 15 anni: i segnali sono già ben visibili.

Nelle intenzioni del regista, la cometa Dibiaski è una metafora del surriscaldamento globale, del mancato interessamento della politica e dell’industria ad affrontare seriamente il problema. Tuttavia, con l’attualità pandemica che ci circonda, il tutto assume un diverso sapore e, seppur la sceneggiatura fu completata pre-covid, è assurdo pensare che non sia stata leggermente adattata. La verosimiglianza delle dinamiche è inquietante. Dagli scienziati ospiti fissi in TV, alle battaglie a suon di commenti sui social sulla reale esistenza o meno della cometa, il tutto riporta alla nostra difficile contemporaneità.

Eppure, con l’incedere narrativo, si ha un cortocircuito che non lascia scampo. Se la classe dirigente è la più inadeguata possibile, e urlare in piazza (reale o virtuale che sia) non è la soluzione: che cosa si può fare? A questa domanda McKay non risponde ma, con l’epilogo, ci rendiamo conto di quanto probabilmente abbia perso ogni speranza ma non la lucidità.

Con una scena finale totalmente sopra le righe, che sicuramente farà storcere il naso a tanti (pensate che persino Leonardo DiCaprio palesò al regista i suoi dubbi), il regista ci vuole ricordare come il genere umano sia l’inquilino di una casa di cui non ne è il proprietario, che conta pochissimo e che può essere sfrattato in un istante. Non importa chi tu sia, non importa quanti soldi o potere tu possieda. La fuga dalla drammatica realtà, cercando di rifugio nell’effimero comfort di mondo illusorio, che sia un social o la negazione problema, non è la soluzione. Le minacce vanno affrontate per tempo, senza perdere l’occasione o sarà troppo tardi.

In conclusione, “Don’t look up” è, per chi vi scrive, un ottimo film che dividerà sicuramente sia il pubblico che la critica ma che saprà dire la sua nella cosiddetta stagione dei premi, almeno in fatto di nomination Oscar. La fine del mondo è più attuale che mai nell’ultimo film di Adam McKay ma, per fortuna, non abbiamo una cometa killer diretta su di noi: possiamo ancora fare qualcosa.

Michele Finardi

IL VOTO DEL PUSHER
Regia
Sceneggiatura
Interpretazioni
Area tecnica (trucco, costumi, luci, effetti speciali)
Planner di salotti cinefili pop fin dalla tenera età, vorrei disperatamente vivere in un film ma non riesco a scegliere quale!

1 Commento

  1. È un film SPETTACOLARE.
    Lo dovrebbero mettere in prima visione ogni sera per almeno un paio di anni.
    Magari qualcuno capisce e si sveglia.
    Consigliatissimo.

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