Ultimo tango a Parigi: bellezza e scandalo in un cult (in)discusso

una scena di Ultimo tango a Parigi

Io non voglio sapere come ti chiami. tu non hai nome, io nemmeno! Nessun nome. Qui dentro non ci sono nomi

Titolo originale: Ultimo tango a Parigi
Regista: Bernardo Bertolucci
Sceneggiatura: Bernardo Bertolucci e Franco Arcalli
Cast Principale: Marlon Brando, Maria Schneider, Massimo Girotti, Maria Michi, Jean-Pierre Léaud
Nazione: Italia
Anno: 1972

Ultimo tango a Parigi fece il suo ingresso nella storia del cinema ormai cinquant’anni fa.

Il pubblico internazionale lo conobbe per la prima volta in occasione dell’anteprima di New York il 14 ottobre 1972, per poi uscire nelle sale italiane il 15 dicembre dello stesso anno.

Il regista Bernardo Bertolucci, autore del soggetto, ne scrisse la sceneggiatura insieme a Franco Arcalli, che avrebbe lavorato successivamente anche a quella di Novecento e di La luna dello stesso regista, nonché a quella di C’era una volta in America.

Inizialmente fu difficile trovare gli attori disposti a interpretare i protagonisti di Ultimo tango a Parigi, un film che negli anni a venire sarà definito erotico, pornografico, osceno. Alcuni attori avevano motivi “oggettivi” per rifiutare: Dominique Sanda era incinta, Jean- Louis Trintignant non voleva recitare nudo. Alain Delon, invece, definì subito il film pornografico.

Forse è stato un bene che nessuno di loro abbia accettato, perché il film si è giovato soprattutto dei volti, dei corpi e del talento di una star celebre come Marlon Brando e di una giovane attrice come la splendida (e sfortunata) Maria Schneider.

Ultimo a tango a Parigi è ad oggi uno dei maggiori successi cinematografici e un’opera artistica di vera bellezza. E mai come in questo caso un film può definirsi iconico, per la storia di censura che ha attraversato e per lo spazio che ha occupato nell’immaginario, ma anche nella fantasia del pubblico.

La trama di Ultimo tango a Parigi

C’è un appartamento sfitto e disabitato, in un palazzo d’epoca a Parigi. Vi si trovano, dopo essersi casualmente incrociati per strada, un uomo di mezza età, Paul (Marlon Brando) e una giovane ragazza, Jeanne (Maria Schneider), che vorrebbe affittarlo per andarci a vivere con il suo ragazzo (Jean-Pierre Léaud).

L’uomo è sconvolto. Quando rientra a casa sua, che in realtà è l’albergo che gestisce, attraverso la governante scopriamo che sua moglie si è suicidata poche ore prima, tagliandosi le vene nella vasca da bagno. La donna sta pulendo e gli racconta cosa ha riferito alla polizia. Dal monologo si viene a sapere che Paul ha avuto una vita avventurosa, ha svolto mestieri molteplici in giro per il mondo, prima di approdare a Parigi e sposarsi.

Intanto Jeanne prende in affitto l’appartamento, dove Paul è venuto a cercarla e dove il desiderio li farà diventare amanti. Lei vorrebbe sapere tutto di lui e dirgli tutto di se stessa. Lui le impone, invece, di restare sconosciuti l’uno all’altra, di dimenticare lì dentro tutto ciò che sono stati fino a quel momento. Si chiedono entrambi se ci riusciranno.

In effetti, il rapporto a due diventa comunque intimo, liberato da ogni sovrastruttura. Servirà a lei per capire meglio cosa vuole da Paul, dal suo fidanzato con cui, nel frattempo, decidono di sposarsi, dalla vita. Risulterà indispensabile a lui per affrontare il doloroso lutto, con l’arrivo della suocera (Maria Michi) di cui non riesce a sopportare le istanze borghesi da un lato (la volontà di offrire un funerale religioso alla figlia che era atea, oltre che suicida) e quelle emotive dall’altro (la necessità di capire i motivi del gesto fatale e di condividere la sofferenza con il genero per consolarsi a vicenda). Inoltre, la moglie Rosa lo tradiva da tempo, sotto i suoi occhi e lui sceglie in questo momento di confrontarsi con l’altro uomo, Marcel (Massimo Girotti) per capire cosa li distingueva e li accomunava agli occhi di Rosa.

Non rivelerò il finale, ma avverto che nella trama i ruoli di forza vengono scambiati, prima lui lascia lei, poi se ne scopre innamorato. Ma la loro vita non può essere insieme, anche se – parafrasando Jeanne – alla fine effettivamente lei e Paul avranno trasformato il caso (che li ha fatti conoscere) in destino.

La costruzione dei personaggi e le interpretazione di Brando e Schneider

Il contrasto tra la calma che i due amanti vivono nell’appartamento (che il critico Morandini definisce efficacemente “una zattera per naufraghi), e ciò che avviene fuori quando Paul rientra a casa è dato proprio dal non sapere niente l’uno dell’altra. Ma i buoni propositi restano in parte non realizzati e molto il film ci racconta dei due.

Paul è un uomo che, parlando del suo passato, confessa di non riuscire mai a trovare un bel ricordo. “La tua solitudine è pesante. Sei un egoista!” lo rimprovera Jeanne.

Lei è una ragazza rimasta innamorata del padre che ha perso durante la guerra in Algeria, quando lei era una bambina (la sua pistola di ordinanza avrà un ruolo cruciale nel film). Ora è una ventenne che si sente sfruttata dal suo maturo amante esigente, così come dal ragazzo cineasta, entrambi accusati di volerle far fare ciò che non ha mai fatto.

L’indiscutibile carica erotica dei protagonisti è parte essenziale della bellezza e del fascino di Ultimo tango a Parigi.

Maria Schneider è indimenticabile in questa pellicola. Aveva solo diciannove anni, ma da qui si capiva quanto sarebbe potuta andare lontano.

Marlon Brando, da solo, è Ultimo tango a Parigi: bellissimo, sexy, perfetto in ogni battuta e inquadratura. A guardare il suo Paul, lo si ama, lo si desidera, lo si detesta.

Personaggi e dialoghi sono al servizio di una sceneggiatura che vuole essere una feroce critica sociale, soprattutto al matrimonio e alle convenzioni borghesi. In questo senso il film è figlio dei movimenti culturali portati dal Sessantotto.

Visto a distanza di cinquant’anni dall’uscita, probabilmente il messaggio liberatorio e culturalmente “rivoluzionario” del film risulta meno potente e ciò che colpisce a livello emotivo è più la parabola discendente di un uomo distrutto dal dolore e di una giovane che deve completare la sua educazione sentimentale e sessuale.

L’erotismo visto con gli occhi di Bertolucci è qualcosa che va preso tremendamente sul serio, all’inizio sembra presentato come salvifico, nel finale come l’unico elemento o fonte di verità della relazione tra un uomo e una donna, che però è anche violenta e distruttiva.

La fotografia e la colonna sonora

Il talento di Vittorio Storaro arricchisce il film di una fotografia impeccabile. Nelle scene degli incontri tra gli amanti nell’appartamento le immagini hanno una palette di colori caldi e avvolgenti. Fuori, l’arancio, il rosso e il giallo cedono il passo ai colori più realistici di un inverno parigino, a partire dal grigio. I toni si fanno, invece, scuri, cupi, tetri, quando Paul fa rientro nell’albergo/casa, dove è costretto ad affrontare i demoni del lutto, che diventa quasi una resa dei conti con i nodi della sua vita coniugale e non solo.

Indimenticabile è anche la colonna sonora, interamente scritta dal compositore e sassofonista argentino Gato Barbieri. Gioca, come è facile immaginare, con i ritmi e le atmosfere del tango, erotico e malinconico come tutta la pellicola. Oggi quella musica potrà risultare datata a un pubblico contemporaneo, non certo più abituato all’uso (o abuso) del sassofono, come quello degli anni ’70 e ’80 del novecento. Tuttavia la colonna sonora è in perfetta armonia con l’atmosfera del film.

Un assurdo caso di censura

Ultimo tango a Parigi è stato il caso più clamoroso di condanna di un film da parte della censura, dopo quello di Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti, che subì il taglio di ben quattro scene (tra cui quelle dello stupro di Nadia e del suo accoltellamento).

La commissione incaricata della censura negò il nulla osta all’uscita del film di Bertolucci, definendolo osceno in almeno dieci punti e proponendo diversi tagli alla pellicola. Dopo l’uscita nelle sale, ci furono delle denunce, a seguito delle quali il Pretore ordinò il sequestro del film.

Seguirono quattro anni di battaglia legale fino alla sentenza della Corte di Cassazione che, nel 1976, confermò la decisione del pretore e ordinò la distruzione della pellicola.

Il regista Bernardo Bertolucci scrisse una lettera aperta paragonando la reazione, ingiustamente oscurantista, delle istituzioni al film addirittura all’Olocausto, con un parallelismo tra un genocidio da un lato e il rogo delle idee dall’altro.

Solo nel 1987 interverrà un’altra sentenza che libererà il film; da quel momento si potrà vedere nella sua interezza, mostrando anche quanto fossero sproporzionate le accuse di oscenità.

Questo tortuoso percorso fu ripagato dal pubblico, con incassi record in Italia per la pellicola sia nella stagione di uscita nel 1972/73, sia alla seconda uscita nel 1987, grazie alla riabilitazione. Anche all’estero il successo di pubblico fu amplissimo.

La pellicola è stata restaurata nel 2018 dalla Cineteca Nazionale del Centro Sperimentale di Cinematografia, con la supervisione del direttore della fotografia Vittorio Storaro e si può vedere in questa versione sulla piattaforma Sky/Now.

Il vero scandalo di Ultimo tango a Parigi.

Ciò che davvero avrebbe dovuto indignare la censura e il pubblico non è quanto si vede sullo schermo, bensì quanto avvenne sul set.

Molti sapranno già che una delle scene di Ultimo tango a Parigi entrate nel mito – anche perché per lunghi anni nessuno la potè vedere –  era la cosiddetta scena del burro, che Paul usa in un rapporto anale con Jeanne. Anche nella finzione della pellicola è chiaro che quello non è sesso consenziente tra i due, ma un vero stupro.

Ma per molti anni nessuno ha immaginato la violenza che aveva subito l’attrice Maria Schneider. Lei non sapeva di dover girare questa scena, semplicemente perché nel copione non c’era. Lo venne a sapere solo pochi minuti prima di girare, a differenza di Brando.

Anni dopo, sia Schneider sia Bertolucci rivelarono che l’attrice era rimasta traumatizzata dalla scena, perché girarla fu come violentarla davvero.

Secondo il racconto dello stesso regista in un’intervista ad una testata specializzata francese nel 2013, sia lui che Brando erano d’accordo che Schneider non dovesse essere a conoscenza di tutti i dettagli della scena di violenza. “La sequenza del burro è un’idea che ho avuto con Marlon al mattino prima di girarla. Sono stato, in un certo senso, terribile con Maria, perché non le ho detto cosa stava per succedere. Volevo che avesse una reazione spontanea, da ragazza, non da attrice (…) Volevo che venisse fuori la sua umiliazione“. Bertolucci si dichiarava “molto in colpa”, ma in ultima analisi non rimpiangeva di aver preso quella decisione.

Maria Schneider, morta prematuramente nel 2011, rivelò da parte sua che quella scena la fece sentire umiliata e “un po’ violentata”. Dopo le riprese né Brando né Bertolucci le chiesero scusa. Dichiarò anche che era un’attrice ancora inesperta, non aveva capito del tutto il contenuto erotico del film. Avrebbe dovuto fare intervenire il suo agente o il suo avvocato, perché non si può costringere un attore o un’attrice a recitare scene non contenute nella sceneggiatura. Ma lei era alle prime armi nel mondo del cinema e non lo sapeva.

Forse dovremmo ricordarci di cosa è avvenuto sul set di un capolavoro come Ultimo tango a Parigi, dove tutti erano professionisti pieni di talento artistico, ogni volta che riteniamo opportuno commentare con dileggio o facendo i “dovuti distinguo”  un movimento come il “Me too”, partito proprio dal mondo del cinema.

3 motivi per guardare il film:

  • per la scena nella sala da ballo durante la gara di tango, che da il titolo al film;
  • perché è un film “a cui è successo di tutto e ha fatto succedere tutto” (Tatti Sanguineti);
  • per l’interpretazione magistrale e la bellezza di Marlon Brando.

Quando vedere il film:

in un pomeriggio d’autunno, magari con il partner.

Stefania Fiducia

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IL VOTO DEL PUSHER
Regia
Sceneggiatura
Interpretazioni
Area tecnica (fotografia, trucco, costumi, luci)
Splendida quarantenne aspirante alla leggerezza pensosa. Giurista per antica passione, avvocatessa per destino, combatto la noia e cerco la bellezza nei film, nella musica e in ogni altra forma d'arte.

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