“Il seme dell’uomo”, la favola nera di Marco Ferreri

il seme dell'uomo recensione film

Titolo originaleIl seme dell’uomo
Regia: Marco Ferreri
Sceneggiatura: Marco Ferrei e Sergio Bazzini
Cast principale: Anne Wiazemsky, Marco Margine
Nazione: Francia, Italia
Anno: 1969

È un viaggio al termine del mondo il film più straniante, intenso e rivelatore di Marco Ferreri. Un’opera poderosa, che anticipa i moduli della distopia e dà un altro corpo all’attrice feticcio della Nouvelle Vague, Anne Wiazemsky, prima moglie di Jean-Luc Godard. Nessun prodotto culturale ha saputo narrare così bene la fine del mondo, riassumere – in forma raffinata e sarcastica – il timore di un’apocalisse che si avverte imminente, che da anni scuote le nostre coscienze.

Tra dissacrazione e rifiuto

Il seme dell’uomo, in tal senso, è una duplice summa: dello sguardo dissacrante di Marco Ferreri – il più istintivo dei nostri registi – e dei fantasmi dell’uomo novecentesco, segnato da un senso di colpa che procede dalla minaccia atomica come dimostra, del resto, il recente conflitto in Ucraina.

Si tratta di una favola post-apocalittica, in cui i protagonisti Cino (Marco Margine) e Dora (Wiazemsky) appaiono come novelli Adamo ed Eva del dopo bomba. In riva al mare, lambiti non a caso dall’elemento generativo per eccellenza (l’acqua), i due tentano di sopravvivere incarnando opposte visioni del domani: lui vorrebbe riequilibrare il mondo, conservandone le meschinità e gli idoli (la Chiesa, lo Stato, i meccanismi di affermazione/sopraffazione), mentre lei sfugge al suo ruolo, si rifiuta di proseguire nella riproduzione della specie conservano la sua verginità finché le sarà concesso.

Il seme dell’uomo: rompere la ciclicità?

Il tutto in forma dilatata, temporalmente sospesa, come a rendere ritmicamente l’assenza di mesi, giorni, ore. Tutto è saltato, nell’universo post-atomico, e tutto è intrecciato con il rifiuto delle convenzioni. Che Ferreri guardi con simpatia la posizione di Dora non stupisce, essendo egli dissacratore di ipocrisie e dati ‘certi’. Il progetto d’estinzione consapevole, quel rifiuto strenuo, all’apparenza naive, di cedere alle lusinghe del sesso, è il più potente atto d’accusa verso la società borghese. La giovane, sembra dirci il regista, ha capito che il seme dell’uomo produce empietà.

Nessun individuo nuovo potrà invertire il corso del mondo, cancellare lo stigma della colpa. E non è un caso che Cino fecondi infine la donna con l’inganno, confermando la meschinità, o peggio ancora la grettezza dell’uomo soggetto agli obblighi sociali, a ritmi di vita predisposti da altri, cicli ripetitivi che si compongono di nascita, sopravvivenza, riproduzione, morte.

Reliquie di umanità

Il museo dell’umanità predisposto da questi è piuttosto una gipsoteca inquietante, densa di reliquie, di simulacri abusati: frammenti di umanità che meritano la cancellazione. Nulla è lasciato al caso, nell’apologo di Ferreri, come a voler creare un manifesto programmaticamente interminabile, aperto – riguardo al medesimo tema – da Dillinger è morto (1969) e portato a un compimento ideale ne Il futuro è donna (1984), chiaro emblema di una visione libera, quasi – e qui si azzarda – diversamente femminista.

Questo sguardo impuro, controcorrente, da battitore libero ed eretico, fa di Marco Ferreri un autore prezioso, capace di fotografare la ciclicità degli errori umani attraverso un lucido – e quanto mai attuale – grido d’allarme contro l’apocalisse.

Tre motivi per vedere il film

  • L’estetica anni Sessanta
  • L’attualità dell’apocalisse nucleare
  • Lo sguardo disincantato di Ferreri

Quanto vedere il film

In questi tempi strazianti, di guerra e minaccia atomica

Ginevra Amadio

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IL VOTO DEL PUSHER
Regia
Sceneggiatura
Interpretazioni
Area tecnica (fotografia, effetti speciali, luci, scenografia)
Giornalista pubblicista, laureata in Lettere e Filologia Moderna. Lettrice seriale, amante irrecuperabile del cinema italiano e francese.

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